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 2012  maggio 31 Giovedì calendario

Biografia di Anna Marchesini

• Orvieto (Terni) 18 novembre 1953 – Orvieto 30 luglio 2016. Attrice. Esordio nel 1976 con Tino Buazzelli ne Il borghese gentiluomo di Molière, poi un’intensa attività di doppiatrice (Il Mago di Oz, Happy days, La casa della prateria ecc.). Ebbe grande popolarità con Tullio Solenghi e Massimo Lopez nel Trio comico più amato dagli italiani negli anni Ottanta, dove interpretò un centinaio di personaggi (dalla signorina Carlo, portata poi anche a Quelli che il calcio, all’insegnante di educazione sessuale, da Merope Generosa alle signorine buonasera). Leandro Palestini: «Nacque alla radio nell’83 con Helzapoppin e in tv continuò fino al 1990 con I Promessi Sposi, seguì l’appendice teatrale In principio era il Trio (1993), poi ognuno se ne andò per la sua strada». Dal 1997 ha partecipato a diverse edizioni di Quelli che il calcio, poi soprattutto teatro: Parlano da sole (1999-2000), Una patatina nello zucchero (2002), La cerimonia nel massaggio (2003), Le due zittelle (2006, colpita da una grave forma d’artrite, sospenderà la tournée). Nel 2009 Giorni felici di Samuel Beckett: «Il mio punto d’arrivo». Da ultimo ha girato l’Italia, dal Piccolo di Milano all’Argentina a Roma con il reading del racconto Cirino e Marilda. Insegnava all’Accademia nazionale d’arte drammatica di Roma. «Sono così obesa di vita, che m’interessa pure la morte».
• «Ero una bambina insospettabile, molto estroversa, molto amante del cibo, molto socievole, molto simpatica, facile negli studi, ma succedeva anche che da giovane non fossi creduta, al punto che le mie amiche di scuola mi dicevano che avevo trasformato il liceo in un teatro, imitavo gli insegnanti, avevo battute ironiche, amavo mostrarmi sempre in modo allegro. E mi sono portata appresso un desiderio di non sottostare al quotidiano. La laurea in psicologia doveva aiutarmi a cercare meglio nel territorio della conoscenza. Poi provai con la recitazione, e prima di fare l’Accademia fui bocciata due volte (una volta perché ero "troppo alta"). Credette in me Lorenzo Salveti, e mi lasciai andare, feci molta palestra di grottesco, di surreale, di assurdo, lavorando sull’eccesso. Rubai il mestiere a Buazzelli, feci poi un Platonov, e per una dozzina d’anni ce l’ho messa tutta col Trio, trovando forza e motivazione. Pensavo che saremmo potuti diventare una compagnia di prosa, ma non è andata così. Ho continuato un po’ con Tullio Solenghi. Poi, a parte i miei monologhi di Bennett e Ruccello, mi sono moltiplicata in Le due zittelle di Landolfi, e ho coronato il mio sogno con Winnie di Giorni felici di Beckett (mi commuove, la vita nel tempo freddo, la morte che ti contiene la vita, mentre siamo abituati che una cosa escluda l´altra)» (a Rodolfo Di Giammarco) [Rep. 26/6/2011].
• «Non amo il Carnevale. I miei genitori compravano a me e mia sorella solo un pacchetto di coriandoli, "tanto che li prendi a fare, poi li devi buttare per terra"; per il resto ci dovevamo arrangiare a fare a pezzetti Famiglia Cristiana o altri giornali, oppure raccoglievamo coriandoli da terra. Una tristezza» (a Rory Cappelli nel 2001).
• «La sua ironia era tale da farla giocare anche con la sua bellezza. Anna poteva essere sexy con i suoi accavallamenti di gambe, e un attimo dopo essere la strega di Biancaneve» (Tullio Solenghi).
• «Più che una donna è un vero e proprio clown, maschera esilarante, portatrice di una comicità surreale. Incespica nei suoi difetti, sovverte l’ordine del mondo, facendo diventare sensato l’insensato e illogico tutto ciò che è normale. Dalla signorina Carlo alla sessuologa maliziosa, i personaggi ideati dalla vulcanica Anna Marchesini ne sono un validissimo esempio» (Federica Lamberti Zanardi).
• Alcuni dei suoi personaggi: la Sora Flora, la sessuologa Merope Generosa, la Signorina Carlo, la Bella Figheira, Cameriera Secca dei signori Montagné e, soprattutto, la Lucia manzoniana meritevole d’aver riconciliato gli studenti con I promessi sposi [Cinzia Romani, Grn 31/7/2016].
• «In quella sala prove vidi che Anna aveva un modo di improvvisare in sintonia con il mio ideale dell’attore comico. Quel varietà non era granché, quindi la salutai con la promessa che se avessi avuto un bel progetto l’avrei richiamata. Accadde un anno dopo, quando mi diedero una trasmissione tutta mia su Radio2, Helzapoppin. Le scrissi una lettera – all’epoca non c’erano le mail – e lei accettò, portandosi dietro anche Massimo Lopez, con cui faceva doppiaggio e, mi disse lei, aveva talento nel fare suoni e imitazioni. Così è nato il Trio, dove però abbiamo sempre mantenuto le nostre identità» (Tullio Solenghi) [Sara Faillaci, Vty 9/8/2016].
• «Un terzo occhio? Lo condivido con Massimo Lopez che ho conosciuto mentre doppiavamo i cartoni animati, era uno scherzo continuo, eravamo anche un po’ pazzi. Con Massimo ci capiamo al volo, siamo animali della stessa razza. Ma anche le gaffes sul palcoscenico sono state inesauribile fonte di divertimento» (a Mirella Serri) [Sta. 29/1/2011].
• Quella volta che con il trio rischiarono l’incidente diplomatico con il’Iran: «Se si riferisce allo sketch in cui Lopez faceva il presidente Ronald Reagan, Solenghi l’ayatollah Khomeini e io la sua mamma, la “Sora Khomeini”, noi non volevamo offendere nessuno. Però per protesta l’Iran-Air chiude i voli per l’Italia e a Teheran l’ambasciata italiana se la vede brutta. Per molto tempo ci siamo sentiti sotto tiro, poi è passato tutto. Avrei voluto comunque che la rivista Variety si occupasse del trio non solo per questo incidente internazionale» (a Mirella Serri).
Allacciare le cinture di sicurezza (1987) valse il Biglietto d’oro ai tre comici. In principio era il Trio, altro grande successo del ’91, fu l’ultimo exploit: nel 1994 il Trio si sciolse, perché Massimo Lopez volle fare il solista: «Il Trio non è stato programmato: è nato per caso e per caso s’è sciolto, ma noi non ci siamo mai lasciati sul serio. Ridiamo solo a sfiorarci. L’intesa è perfetta. Stare insieme ci rende felici». Nel 2008 di nuovo con Solenghi e Lopez nel programma Non c’è più la mezza stagione (su Raiuno il sabato alle 21.15). Aldo Grasso: «Aria da funerale. Non funzionano più».
• Quel 2 novembre del 2014 quando da Fazio raccontò dell’obitorio di Orvieto, di «mamma che amava tanto vestire i morti», con un cinismo mai offensivo, sorridente anche quando si alludeva al sipario chiuso per sempre [Serra, Rep. 31/7/2016].
• «Anna era molto divertente ma anche molto complicata. Se le offrivano l’autostrada a sei corsie, lei sceglieva il sentiero di montagna. E questo ha un prezzo. Si è sempre sottoposta a un rigore e a una disciplina a volte non necessari. Un giorno lavoravamo solo noi due, nella sua bella casa di Roma in Porta Pia che aveva comprato da poco; dopo cinque ore passate sul pavimento perché non era stata in grado di scegliere il divano – ne aveva fatto portare su e giù dall’ultimo piano già una mezza dozzina – le dico: “Prendiamoci un’ora di libertà”. Lei mi guarda e dice: “Sei hai la coscienza tranquilla fai pure”. Oppure, quando scriveva un libro, era capace di passare nottate su una sola pagina. Ha sempre percorso la via più difficile alla ricerca dell’eccellenza. Sarebbe potuta rimanere senza lavoro per tutti i no che ha detto: ogni tanto penso che se non avesse incontrato me e Massimo non sarebbe mai arrivata al grande pubblico. Con noi invece scattò la magia che le fece abbassare la guardia e fare scelte che non avrebbe mai fatto» (Tullio Solenghi) [Sara Faillaci, Vty 9/8/2016].
• Ultimamente si era data soprattutto alla scrittura. Nel 2011 esce il romanzo di ispirazione autobiografica Il terrazzino dei gerani timidi, nel 2013 la silloge di racconti Moscerine, entrambi per Rizzoli: «Anna Marchesini scrive a mano ed evita il computer, usa poco il cellulare, non possiede l’i-pad, non le interessa iscriversi a Facebook, non vede la tv satellitare e non ha neppure l’aspirapolvere» [Simonetta Robiony, Sta. 11/4/2012].
• «C’è qualcosa di infinitamente bello nell’infelicità. L’ho scritto nel mio libro. Perché nella mia esperienza sento che è così. Come quando mi colpì una cosa che lessi, a proposito di sub immersi a profondità abissali, che accendono le luci e scoprono fondali coloratissimi, sconosciuti alla luce del sole. Ecco, i fondali dell´infelicità non escludono i verdi, i gialli e i blu intensi, e anzi sono pieni di incanti e di richiami, tant’è che nel mio apprendistato delle ombre, nel mio camminare sul dolore, io ho conosciuto, e le ho descritte, grandissime gioie della vita, che sono cose insopprimibili» (a Rodolfo Di Giammarco) [Rep. 26/6/2011].
• «Quando veniva da Fabio Fazio a Chetempochefa, ogni anno più gracile e sofferente, assottigliata dalla malattia, ci si chiedeva con ansia crescente come avrebbe potuto affrontare la sua mezz’ora davanti alle telecamere. Dopo un minuto che era in camerino l’ansia era un solo vago ricordo, quel fantasma di osfsa e spirito trasmetteva una vitalità contagiosa. Con il dolore era dignitosa e beffarda, come si conviene ai grandi comici e ai grandi stoici» (Michele Serra) [Rep. 31/7/2016].
• «Il mio genere preferito? Il vaudeville, a cominciare da Eugène Scribe che a Parigi allestisce al Théatre du Gymnase Le Diplomate. Tra gli scrittori con un posto di spicco nei miei scaffali ci sono Arthur Schnitzler, Cechov e Goldoni» (a Mirella Serri).
• La politica «Il potere è diventato la morte dell´ideologia salutata come modernità. Un doppio messaggio: la modernità è un ritorno al Medioevo, e l’ignoranza di fatti critici economico-civili equivale a un movimento reazionario che attacca la cultura e la fa soffrire» (a Rodolfo Di Giammarco) [Rep. 26/6/2011].
• Fede «Non ce l’ho, e anche quando è in qualche modo presente, non la sento come possibilità di speranza, ma solo come richiesta di rinuncia, di inadeguatezza» (a Rodolfo Di Giammarco) [Rep. 26/6/2011].
• Sposata a Parigi nel 1991 e poi burrascosamente separata – per una questione di assegni di mantenimento, tema di gossip nei Novanta – dall’attore tarantino Pasquale “Paki” Valente, padre della loro figlia Virginia (1993), Anna Marchesini dalla vita ha avuto un ultimo regalo: vedere la figlia laureata. [Cinzia Romani, Grn 31/7/2016].
• «Bisognava che morisse, perché ci si ricordasse di lei...» (Sergio Givone) [Esp. 7/8/2016].
• «Siete taaaanto caruuuucci» (così era solita salutare il pubblico che l’applaudiva).