31 maggio 2012
Tags : Francesco Marino Mannoia
Biografia di Francesco Marino Mannoia
• Palermo 5 marzo 1951. Pentito a suo tempo mafioso. Detto “Mozzarella” (per il pallore della carnagione), ma anche “il Chimico” (da quando si mise a raffinare morfina). Già sposato con Rosa, figlia del boss Pietro Vernengo, ha vissuto negli States per vent’anni con una nuova identità negli Stati Uniti, con la sua compagna Rita e due figli, sotto protezione dell’Fbi (per aver reso dichiarazioni anche nei processi al narcotraffico americani). Stipendio statunitense: 8960 dollari al mese. Scontata l’intera pena, nel giugno 2011 è rientrato in Italia, con uno stipendio mensile di 900 euro. Nel 1995 ha subito diversi interventi di plastica facciale per non farsi riconoscere.
• Di padre mafioso, della famiglia di Santa Maria di Gesù, affiliato nel 75, diventa uno tra i picciotti più fidati di Stefano Bontate, detto “il Principe di Villagrazia”. Quando, alla fine degli anni Settanta, i palermitani di Cosa Nostra abbandonano il contrabbando per dedicarsi al traffico di eroina (facendosela mandare dalle famiglie mafiose americane), prendendo esempio dai marsigliesi impara a raffinare la morfina dentro laboratori ricavati in edifici abbandonati, stalle e garage (sapeva produrre eroina pura al 98 per cento, il primo chilo tra la fine del 78 e l’inizio del 79). Lavora un po’ per tutti, ma soprattutto per Stefano Bontate e da quando diventa capomandamento di Passo Rigano e si mette in società col Bontate, anche per Totuccio Inzerillo. Chili di morfina raffinati tra il 1978 e il 1980: settecento. Per ognuno guadagnava cinque milioni di lire. «Un po’ di riposo se lo concedeva per qualche settimana quando non poteva stare chiuso per un altro minuto nell’ambiente acido di un laboratorio. Doveva disintossicarsi. Diventava bianco come un lenzuolo e rosso come se l’avessero frustato. Respirava a fatica. La pelle gli si riempiva di pustole e si grattava come un cane con la rogna. In quei giorni assomigliava più a un morto che a un vivo. Eppure anche in quei momenti gli stavano tutti addosso. Avevano la “pasta” nascosta da qualche parte senza nessuno che la sapesse trattare. Gli chiedevano: “Allora, Ciccio mio, quando potrai lavorare?”» (Attilio Bolzoni, Giuseppe D’Avanzo).
• Arrestato per la prima volta il 2 dicembre 1980, si trova in carcere allo scoppiare della seconda guerra di mafia scatenata nell’81 dai corleonesi contro i palermitani legati a Bontate (ucciso il 23 aprile 1981), e quando evade dal carcere, nell’83, passa dalla parte dei vincitori, cioè di Totò Riina. Arrestato di nuovo nell’86, nell’89 si pente in seguito all’omicidio del fratello Agostino, ma i corleonesi gliela fanno pagare ammazzandogli subito, tutte in una volta, madre, zia e sorella, Leonarda e Lucia Costantino e Vincenza Marino Mannoia (a Bagheria). È il primo collaboratore che non fa parte degli “sconfitti” della seconda guerra di mafia.
• All’inizio ammette solo di far parte di Cosa Nostra, e reati in materia di armi e droga. Nel 93 ammette anche gli omicidi (prima negati perché non avrebbe saputo come spiegarlo alla nuova compagna e alla figlia), e rende la prima dichiarazione su uomini delle istituzioni collusi con la mafia, «Totò Riina era una sola cosa con Lima e Ciancimino» (prima taciuta per sfiducia nello Stato italiano, che non combatteva con efficacia lo mafia).
• Al maxiprocesso istruito dal giudice Giovanni Falcone è stato condannato a diciassette anni di reclusione, con concessione dell’attenuante riconosciuta ai collaboratori di giustizia.
• Nel maggio 2006 il Giornale di Sicilia pubblica la notizia che il pentito lascia il programma di protezione dello Stato italiano, che come buonuscita, dopo 17 anni di collaborazione, gli verserà un milione di euro (la cosiddetta “capitalizzazione”). È stato poi chiarito che Mannoia non l’ha mai intascata, preferendo restare dentro il programma di protezione.
• Dichiarazioni «È sempre stato avvicinabile. Era vecchio amico di Francesco Madonia, detto “Ciccino”, vecchio boss di Vallelunga e padre di Giuseppe Madonia. Attraverso lui e suo figlio si sono sempre avuti contatti con Carnevale» (nel processo a carico di Corrado Carnevale). «La moglie di Carlo Dalla Chiesa non è stata uccisa da un proiettile vagante. È stata appositamente massacrata. (Perché) era una puttana (...) che aveva sposato un generale (...) Non sono parole mie, ma il commento negli ambienti del carcere era proprio quello (...) Dalla Chiesa fu ucciso perché era un vero rompipalle, uno che dava fastidio. Conduceva un lavoro investigativo serio contro la criminalità organizzata, rompendo le scatole in quasi tutta la Sicilia (...) e quando è stato ammazzato all’interno della nona sezione dell’Ucciardone si è brindato, ma non champagne come hanno scritto i giornali. Abbiamo preso delle buste di vini e qualcuno ha detto: “ubriachiamoci alla faccia di Dalla Chiesa”... Se non si riesce a pensare con una mente malefica, allora non si può capire veramente la crudeltà, quel terribile demone che regna dentro Cosa Nostra» (nel processo per l’omicidio del generale Dalla Chiesa, sua moglie e l’uomo della scorta, vedi Salvatore Riina). Nel processo a carico di Andreotti riferì di due incontri del senatore con Stefano Bontate e altri, prima (nel 79), e dopo (nell’80), l’omicidio di Piersanti Mattarella, in cui Cosa Nostra chiedeva e Andreotti glissava (il primo per averlo sentito dire dal Bontate, il secondo per avervi assistito). Coniò una nuova parola nel processo a carico di Bruno Contrada dicendo che l’imputato era un uomo che con la divisa dello Stato faceva parte dell’“Antistato”. Quando i difensori gli contestarono che nel primo interrogatorio, reso in America nel 93, a domanda dei pm aveva risposto di non ricordare nulla di Contrada, lui spiegò di aver risposto così perché, quando glielo chiesero era sotto interrogatorio da ore, si era fatta notte, non ne poteva più e insomma avrebbe solo rischiato di confondersi tra il nome di un poliziotto e un altro.
• Neanche due mesi dopo il rientro in Italia dagli States, i giornali pubblicavano la notizia che Mannoia aveva tentato il suicidio ingerendo cocktail di farmaci. (a cura di Paola Bellone).