31 maggio 2012
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Biografia di Antonio Manganelli
• Avellino 8 dicembre 1950 – Roma 20 marzo 2013. Capo della polizia (dal 25 giugno 2007 fino alla morte, al posto di Gianni De Gennaro).
• Laureato in Giurisprudenza a Napoli, specializzato in Criminologia clinica presso la facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università di Modena. È stato docente di Tecnica di polizia giudiziaria presso l’Istituto superiore di polizia e autore di pubblicazioni scientifiche in materia di sequestri di persona e di tecnica di polizia giudiziaria, tra cui il manuale pratico delle tecniche di indagine Investigare (Cedam, 2007), scritto con il prefetto Franco Gabrielli, direttore del Sisde. Ha diretto il Servizio centrale di protezione dei collaboratori di giustizia. È stato questore di Palermo e di Napoli.
• «Le biografie lo descrivono come un lavoratore indefesso, molto metodico, grande capacità organizzativa. (...) Lo chiamano il bell’Antonio perché ci tiene a vestir bene (anche se negli anni Settanta girava con le giacche a quadrettoni tipiche di quel momento, sostituite poi da inappuntabili abiti grigi) e perché sa rendersi simpatico a tutti, cosa che deve avergli giovato parecchio – insieme con la fortuna – nel corso della carriera (...) La sua ascesa comincia infatti quando pizzica le bande che in Toscana, un quarto di secolo fa, avevano messo su un’industria dei sequestri molto determinata. Libera prima un rapito, poi un altro, poi un terzo... A un certo punto lo aggregano alla Squadra Anticrimine di De Gennaro, quella che sarà formata da poliziotti diventati poi famosi, l’attuale prefetto di Roma Achille Serra, Alessandro Pansa, Nicola Cavaliere, Francesco Gratteri. È stato Manganelli a scortare Tommaso Buscetta nell’aula del maxiprocesso. Ed è stato lui, con De Gennaro, a sgominare la banda della Magliana. Quando si trattò di catturare Nitto Sanpaola radunò i suoi e fece un discorso rimasto celebre per la sua durata: trenta secondi in tutto. Le ultime tre parole erano queste: “Chi sbaglia paga”. Santapaola, naturalmente, fu preso» (Giorgio Dell’Arti) [Gds 24/6/2007].
• «È stato uno dei poliziotti (non tantissimi) a cui va dato il merito di aver “defascistizzato” – scusate la parola desueta – la polizia italiana, a lungo condizionata da un ordine pubblico che nel dopoguerra risentiva dell’ossessione del “pericolo rosso”. Per anni gli “sbirri” avevano abbandonato il dovere istituzionale delle inchieste antimafia e in difesa della “giovane costituzione repubblicana”, per dedicarsi al contenimento dell’avanzata socialcomunista. Fino all’avvento di un gruppo di “sbirri diversi” che si gettarono a capofitto nelle grandi inchieste sul potere mafioso-politico, dopo il tramonto definitivo del terrorismo. Ecco, tra gli sbirri “diversi” (da Gianni De Gennaro ad Alessandro Pansa, a Nicola Cavaliere) Manganelli era considerato lo “sbirro gentile”. Certo, per via del suo sorriso comunicativo ma anche per la sua estrema compostezza nell’affrontare anche le insidie più difficili. Mai al di sopra delle righe, mai un decibel in più del consentito, mai un atteggiamento di prevenzione neppure in direzione dei sospettati più compromessi. Seguiva le regole, Manganelli. Non forzava il codice, non tentava il condizionamento del magistrato titolare di un’indagine» (Francesco La Licata) [Sta 21/3/2007].
• Ha fatto coppia con De Gennaro per tutti gli anni Ottanta, numero uno e numero due del nucleo anticrimine e poi del servizio centrale operativo, indagando su mafia e sequestri di persona, droga e criminalità economica, lavorando al fianco di magistrati come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e collaborando con le polizie di mezzo mondo, dall’Fbi alla Bka tedesca. Nel ’91, quando De Gennaro ha tenuto a battesimo la neonata Direzione investigativa antimafia, Manganelli è diventato il direttore dello Sco, sette anni dopo era questore a Palermo, dal ’99 al 2000 questore a Napoli. «Fu Palermo, per sua pubblica ammissione, la scuola che lo formò. E quando si dice Palermo è da intendere la formidabile sinergia fra Giovanni Falcone e Gianni De Gennaro. Manganelli aveva poco più di 40 anni (...) La guerra contro Cosa nostra andò avanti: un latitante dopo l’altro. Quando lui e Pansa andarono a bussare sulla spalla del dormiente Nitto Santapaola, re della mafia catanese sorpreso in un casolare nelle campagne tra Catania e Siracusa, il boss si arrese e fece i complimenti raccomandando soltanto un trattamento rispettoso per la moglie. Raccomandazione superflua, perché Antonio Manganelli la propria umanità la trasformava in una sorta di valore aggiunto. Nessuno dei boss ammanettati, fosse Piddu Madonia o Pietro Vernengo, ha potuto lamentarsi dello “sbirro gentile”» [Francesco La Licata, Sta 21/3/2007]
• La sua nomina a questore di Palermo, all’inizio degli Anni Novanta, fu accolta come una conseguenza naturale per quello che era stato il suo impegno in Sicilia, dove – tra l’altro – aveva provveduto alla gestione di pentiti di prima grandezza: da Buscetta a Totuccio Contorno, da Leonardo Messina a Francesco Marino Mannoia. Anche con questi, atteggiamento umano ma distaccato, senza cedimenti né ammiccamenti. Se lo ricordano in tanti, Manganelli che entra nell’aula bunker dell’Ucciardone – le gabbie degli imputati del maxiprocesso strapiene e mute – accanto a Tommaso Buscetta, quasi a voler plasticamente rappresentare che don Masino non era più quello di prima, che si era arreso allo Stato e meritava rispetto.
• «Nel curriculum di Manganelli ci sono arresti di latitanti importanti come Pietro Vernengo, Giuseppe Lucchese, Nino e Salvino Madonia, e poi “Piddu” Madonia e Nitto Santapaola, il boss catanese che non fece in tempo a usare la pistola che aveva al fianco quando il poliziotto entrò nel covo dove dormiva con la moglie. Accadde nel maggio ’93, a pochi giorni dal primo anniversario della strage di Capaci, e Manganelli commentò: “Sembra fatto apposta, ed è stata la prima cosa che abbiamo pensato a operazione conclusa; ci viene ancora spontaneo telefonare a Giovanni Falcone”. Quattro anni dopo, da questore di Palermo, seguì passo passo un’altra cattura importante, quella del capomafia Pietro Aglieri, dopo settimane di indagini. Ricevette la telefonata di congratulazioni del presidente della Repubblica Scalfaro nel primo pomeriggio di una giornata cominciata prestissimo, mentre era rientrato a casa per rilassarsi un po’ e stava facendo il bagno alla sua bambina, divertito e tranquillo come è sempre apparso, anche al termine delle inchieste più complicate. Non a caso, considerata l’attitudine ad affrontare anche le problematiche umane oltre a quelle investigative e giudiziarie, fu messo a capo del Servizio di protezione nato dal nulla, a metà degli anni Novanta, quando fu istituito per creare in Italia qualcosa di simile a quello che facevano i “Marshall” negli Stati Uniti. Manganelli aveva già guidato il Servizio centrale operativo della polizia, che non si occupava solo di mafia, ma pure di sequestri di persona e altri gravi reati. Poi passò alla questura di Palermo, e da lì a quella di Napoli, succedendo a un altro sbirro di razza come Arnaldo La Barbera: ancora criminalità organizzata, seppure di diverso genere, camorra invece di Cosa nostra. Anche lì successi, arresti di latitanti, in una realtà dove repressione e prevenzione non riescono a stare al passo con la delinquenza grande e piccola. Nominato vicecapo della polizia nel 2000, una delle prime incombenze fu quella di tornare a occuparsi di Napoli, dove un poliziotto aveva ucciso un ragazzo. In quel caso bisognava dimostrare alla popolazione che le forze dell’ordine sono vicine alla gente anche quando commettono errori: “L’emergenza criminalità non si risolve con i poliziotti-rambo, ma con serenità e determinazione”, disse. Due anni dopo era ancora lì, stavolta per placare gli animi degli agenti scossi dagli arresti di alcuni colleghi» (Giovanni Bianconi).
• Nel 2011, dopo la cattura di Mario Caterino, numero due del clan camorristico dei Casalesi, in un’intervista al Foglio disse: «Senza trionfalismi, ma qualche pezzo lo stanno perdendo» [Il Foglio 21/3/2013].
• Nel 2012 come capo della Polizia guadagnava 621.253 euro. Sergio Rizzo: «Le sue responsabilità sono grandissime. Ma forse non inferiori a quelle del capo di Scotland Yard, Bernard Hogan Howe, la cui retribuzione ammonta a 253 mila sterline: l’equivalente, al cambio di mercoledì 21 marzo, di 303 mila euro». [Sergio Rizzo, Set 20/3/2012].
• La Licata: «A Manganelli è stato contestato un atteggiamento morbido in occasione dello scandalo sul Corvo del Viminale che ha portato alla sostituzione di Nicola Izzo, uno dei suoi vice, indagato. “Nessuna assoluzione preventiva - spiegò Manganelli - ma neppure nessuna condanna sommaria. Saranno i magistrati a stabilire se ci sono colpe o no in una vicenda dove girano parecchi soldi che rendono impalpabile ogni verità”».
• «Sono 38 anni che faccio questo lavoro. È un mondo dove si prendono i latitanti, ma anche dove si fanno contratti e si fanno delle scelte che comportano anche un giro di soldi: è facile essere accusati da un anonimo, o comunque in modo superficiale, ma non mi è mai successo e ne sono felice. Non siamo formati per essere esperti manager che lavorano nel campo amministrativo e della contabilità. Non abbiamo grande esperienza, siamo modesti artigiani in questo campo mentre siamo molto bravi in altro». (a Fiorenza Sarzanini) [Cds 7/11/2012].
• Estraneo ai fatti del G8 di Genova del luglio 2001 (era in ferie all’Elba). La Licata: «Era uscito indenne dalla catastrofe del G8 di Genova che costò molto, in immagine, a Gianni De Gennaro e moltissimo, in senso stretto, a tanti funzionari (Gratteri e Caldarozzi su tutti) lanciati verso i vertici del Viminale. Non esitò - con correttezza istituzionale, cioè dopo la sentenza della Cassazione - a chiedere scusa pubblicamente per ciò che accadde a Genova. E stessa umiltà dimostrò in occasione della tragica fine del tifoso Gabriele Sandri, ucciso da un poliziotto. Disse alla commemorazione: “Porto il peso della responsabilità di quella morte”» [Francesco La Licata, La Stampa 21/3/2007]
• Sposato con Adriana, poliziotta, una figlia, Manuela. Amante dei cani, aveva un pastore svizzero bianco di nome Leo (prima di lui ne aveva avuto un altro che si chiamava Alex).
• Appassionato di canzoni napoletane e musica jazz.
• Nell’aprile 2013 è uscito postumo il suo romanzo poliziesco Il sangue non sbaglia (Rizzoli). «La più incredibile delle sorprese Antonio Manganelli l’ha lasciata in eredità. Una busta da aprire dopo, a cose fatte, come quelle piene di segreti che si lasciano, a volte, ai familiari. Come in certi romanzi, come in certe vite, come in certe indagini. Nella busta di Manganelli c’era un libro (…) Lo ha finito nell’ultimo minuto utile, davvero. È stato proprio l’ultimo dei suoi pensieri e dei suoi gesti. Questione di ore: c’era una cosa che voleva fare ed era questa, non se n’è andato prima di aver finito. Il dovere, del resto, era la regola. Dunque, la più incredibile delle sorprese lasciata in eredità da un uomo che di sorprese aveva scandito l’esistenza – di sollievi repentini e di spaventi improvvisi, di colpi di scena e di svolte imprevedibili – la più inattesa è questa, postuma: il romanzo di Manganelli è bellissimo» (Concita De Gregorio [Rep 17/4/2013].
• Morto nel reparto di rianimazione dell’ospedale San Giovanni di Roma dopo oltre tre settimane di ricovero per un edema cerebrale. Negli ultimi anni aveva lottato contro un tumore ai polmoni che lo aveva portato a passare alcuni mesi negli Stati Uniti per curarsi. Bolzoni: «Con quella faccia da bravo ragazzo non sembrava neanche uno sbirro. Ma è diventato il numero 1 degli sbirri, il capo, quello che ha voluto traghettare tutti i suoi uomini da una polizia a volte un po’ losca a una polizia più evoluta, democratica, più amica dei cittadini. Ci stava provando Antonio Manganelli, morto a Roma dopo un calvario durato anni. Mancherà quest’italiano dal tratto gentile e dalla compostezza di quei meridionali che vengono da un sud sprofondato nel tutto e nel niente» [Attilio Bolzoni, la Repubblica 21/3/2013].