31 maggio 2012
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Biografia di Filippo Mancuso
• Palermo 11 luglio 1922 – Roma 30 maggio 2011. Magistrato. Giurista. Politico. «Detesto quelli che dicono: prima di tutto la salute. È una menzogna materialistica che storpia il significato della vita. Prima di tutto è la coscienza, l’uso libero e pieno della coscienza, solo così si misura la statura di un uomo».
• Figlio di due maestri elementari («mio padre mi diceva: “Cervantes ci fa capire gli uomini come se ce li mangiassimo con il cucchiaino”»), studiò prima al Convitto Guglielmo II di Monreale e poi – «non sopportando la cattività» – a Palermo. Famiglia povera, ragion per cui «feci il mestierante. Su presentazione di Sandro Paternostro, mio compagno universitario, feci il correttore di bozze all’Ora. Un piccolo stipendiuccio, 500 lire. Poi insegnai ginnastica. Avevo attitudine per calcio, ciclismo, podismo. Anche pugilato, un anno alla palestra Pandolfini».
• Già alla guida della Corte d’Appello di Bari e della Procura generale di Roma, fu ministro di Grazia e giustizia nel governo Dini (1995-1996): poiché il suo predecessore Alfredo Biondi (Berlusconi I) aveva mandato gli ispettori alla Procura di Milano e alla Procura li avevano accolti con la minaccia di incriminarli, mandò una nuova ispezione dichiarando che quel comportamento dei magistrati costituiva «un enorme caso di abuso continuato della posizione d’ufficio». Gli ispettori tornarono dichiarando di non aver riscontrato irregolarità e lui li licenziò. Su questo, il centrosinistra diede battaglia, considerando persecutoria l’iniziativa di Mancuso e votandogli in Senato una sfiducia individuale, primo e unico caso del genere nella storia repubblicana. Alla richiesta di sfiducia, Mancuso rispose con queste parole, piccolo esempio della sua oratoria contorta: «La menzionata richiesta (attesone il contenuto e la perentorietà) suona immeritata offesa per la presidenza del medesimo Dini». Mario Ajello: «Alla parola “attesone” ci fu un momento di estatica sospensione nell’uditorio». Votata la sfiducia, Mancuso ricorse alla Corte Costituzionale e perse (ultimi mesi del 1995). Il caso è giuridicamente di grande interesse perché configura la possibilità da parte di una delle due Camere di licenziare un ministro senza far cadere il governo.
• «Si prese del “cane ringhioso” e del “vecchietto bizzoso” da Lamberto Dini (in compenso Mancuso aveva consegnato a Dini e al Capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro, il titolo di “compagni di merende”)» (La Stampa). Definì Gaetano Pecorella «badante tuttofare» (Liberazione).
• Soprannomi dati a Oscar Luigi Scalfaro: «quacquaracquino», «Grande Chiericuto», «Despota» (Gian Antonio Stella) [Cds 24/4/2002].
• Romano Prodi sì presentò da lui dopo essere stato interrogato da Antonio Di Pietro per chiedere un parere sulla linea difensiva: «Prodi era prostrato. Appena mi vede, mi si abbandona addosso e implora: ”Eccellenza, mi salvi” » (Il Giornale).
• Fu anche consulente giuridico dell’Iri (Stefano Cingolani).
• Deputato dal 1996 al 2006 (Forza Italia), nel 2002 Berlusconi lo candidò alla Corte Costituzionale: non passò per l’opposizione fermissima della sinistra e per qualche tradimento dei suoi.
• «Un grande giurista, uno straordinario oratore, un uomo certamente onesto, un politico di vetusti principi. Tanto è così che l’hanno fregato non una, ma due volte, da ministro e da aspirante giudice costituzionale, prima il centrosinistra e poi il centrodestra» (Filippo Ceccarelli).
• «Noto per il suo garantismo e il suo eloquio barocco» (Il Foglio).
• «È il nostro Mallarmè in quanto il suo maccheronico ma non inelegante linguaggio mezzo latino è difficilmente esprimibile in italiano» (Mario Ajello).
• In un intervento parlamentare invitò a dire “tommasei” per significare testicoli (Gian Antonio Stella).
• Vladimir Luxuria lo considera il più galante incontrato in Parlamento: «Me lo presentò Franco Grillini, il presidente dell’Arcigay. Mancuso mi scambiò per una donna. Mi baciò la mano facendomi tanti complimenti. Disse: “Che piacere conoscere questa bella signora. Come si chiama?”» (Claudio Sabelli Fioretti).
• Poco più alto di un metro e 60, grande latinista, parlava in latino con la moglie Armanda Costa (a sua volta grande latinista e sorella dell’italianista Savino Costa), appassionato di musica. Un figlio, Giovanni, che fa il consulente finanziario. Tifava Juventus («come tutti quelli che vengono dai ceti poveri»). Non festeggiava i suoi compleanni, ma quelli del nipote, anch’egli Filippo Mancuso.