31 maggio 2012
Tags : Giorgio Lotti
Biografia di Giorgio Lotti
• Milano 1937. Fotografo. Un suo ritratto di Zhou En Lai ancora oggi è considerato l’immagine più riprodotta al mondo. «Il problema non è diventare un buon fotografo ma rimanere un buon fotografo». Collaboratore free-lance per alcuni quotidiani e settimanali quali Milano sera, La Notte, Il Mondo, Settimo giorno e Paris Match, nel 1964 entra nello staff di Epoca dove lavora per oltre trent’anni, realizzando alcuni tra i servizi fotografici più belli della storia italiana. «In realtà dovevo diventare disegnatore di gioielli. Adoravo il cinema e spesso rivedevo lo stesso film due o tre volte, rimanendo in sala dal pomeriggio fino a tarda sera. Mia madre fraintese quella passione e credendo che il cinema avesse a che fare con la fotografia mi spinse in questa direzione. Seguii il suo consiglio ed è stata la mia fortuna. Ho studiato presso delle scuole private, fui chiamato dal prof. Cleff Edon della Columbia University, dove trascorsi alcuni mesi ed ebbi l’occasione di completare i miei studi e perfezionare la tecnica. Devo molto a questo professore» (a Erika La Rosa). Altro maestro, Bruno Munari: «Mi ha insegnato a leggere la semplicità, una lezione che è stata fondamentale per tutti i miei lavori. Grazie a lui ho conosciuto anche Luigi Veronesi, che mi ha spiegato al teoria dei colori. Sono convinto che la tecnica sia importante ma è soprattutto l’arricchimento personale che ti permette di compiere un buon lavoro». Il suo ritratto di Zhou En Lai del 1973 si è imposto nel mondo intero come il ritratto ufficiale dell’uomo politico cinese. «Ero a Pechino e grazie all’ambasciatore italiano partecipai ad una festa in cui era presente Zhou en Lai. L’ambasciatore mi raccomandò di non portare la macchina fotografica perché vi era l’assoluto divieto. Io però non ebbi il coraggio di lasciarla a casa e da buon fotografo la infilai in tasca. All’ingresso una lunga coda di persone aspettava di salutare il primo ministro. Io ero circa a metà e pensai che l’unica occasione per poterlo fotografare era nel momento del saluto. Uscii dalla coda e mi misi per ultimo; non avrei potuto chiedergli uno scatto se avesse dovuto ricevere altre persone. Il mio pensiero era come riuscire a comunicare, la fortuna volle che Zhou en Lai avesse studiato in Francia e conoscesse alla perfezione il francese. Quando arrivai al suo cospetto mentre gli chiedevo di poter fare un ritratto lo invitai ad accomodarsi su una poltrona. Sapevo di avere la possibilità di un solo scatto come da cultura cinese. Il primo ministro accettò di farsi fotografare ma non essendo molto convinto della prima fotografia gli chiesi la possibilità di scattarne un’altra. In quel momento il suo assistente gli comunicò che in sala lo stavano aspettando e lui tolse lo sguardo dall’obbiettivo per guardare lontano. Così nacque il ritratto. Una volta tornato in Italia l’ambasciatore cinese mi chiese una copia della foto su richiesta esplicita di Zhou en Lai. Inviai la foto ma solo dopo tre anni seppi che era diventato il ritratto ufficiale. Un mio caro amico era in Cina quando il Primo Ministro morì e partecipò ai funerali in piazza Tienanmen. Tornato in Italia mi fece vedere le foto scattate alla folla. Tutti tenevano in mano la foto di Zhou en Lai scattata da me anni prima. Dopo averla vista, infatti, Zhou en Lai la scelse come ritratto ufficiale permettendo una diffusione grandissima. In Cina, si sa, vivono milioni di persone e la riproduzione del ritratto ha superato oltre cento milioni di copie, diventando più diffusa del ritratto di Che Gevara» (a Erika La Rosa). «Ridurre però Lotti a un’unica immagine significa dimenticare l’incredibile qualità di un lavoro che ha rilevato e rivelato i momenti topici della contemporaneità. Fotografo di profonda coscienza sociale, già a partire dal 1968 quando la parola “ecologia” era ancora da coniare, ha denunciato per primo in Italia e nel mondo i pericoli dell’inquinamento con esaustive ricerche su Venezia, Milano, il fiume Ticino. E sempre in immagini di una qualità stilistica e formale da essere esempi incomparabili per tutti coloro che pretendono di fare fotografia giornalistica e riescono unicamente a produrre documenti. Infatti, le fotografie che Lotti ha ripreso sullo sbarco degli albanesi a Brindisi, il suo ultimo impegno di rilievo, sono di un invidiabile equilibrio. E se esiste un segno che contraddistingue l’opera di questo fotografo è proprio nell’evidente coinvolgimento emotivo. Lotti non si limita a testimoniare, ma entra in sintonia con i problemi del suo soggetto» (Giuliana Scimè). Ha un sogno: «Far nascere in Italia una Fondazione della fotografia che raccolga gli archivi dei fotografi più bravi. Il rischio è che altri paesi o collezionisti privati acquistino questo patrimonio inestimabile, che non è solo un insieme di foto ma la storia di un paese, di una società, è la storia della storia». Abita a Varese: «Da bambino ho frequentato il collegio a Comerio. Per me era sempre una gioia immensa fermarmi ad ammirare gli stupendi tramonti sul Lago di Varese. Fin da giovane sono sempre stato affascinato dall’acqua».