31 maggio 2012
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Biografia di Giuseppe Lipari
Palermo 21 maggio 1943. Mafioso, consigliere economico dei corleonesi, poi anche prestanome di Bernardo Provenzano (vedi Antonino Giuffrè). Detto “Pino”, soprannominato secondo alcuni “l’Ingegnere”. Geometra, ex dipendente Anas. Sposato con Marianna Impastato, tre figli (Cinzia, Arturo, Rossana). Detenuto dal 19 settembre 2007.
• Arrestato per la prima volta il 27 novembre 1983 per associazione mafiosa, cominciò a coinvolgere la figlia maggiore, Cinzia, ventunenne, conferendole procura generale a proprio nome. Ebbe la prima condanna per mafia nell’87, in quel maxiprocesso concluso in Cassazione il 30 gennaio 92, che costò la vita ai pubblici ministeri Giovanni Falcone e Paolo Borsellino (strage di Capaci, 23 maggio 1992, strage di via D’Amelio, 19 luglio 1992, vedi Salvatore Riina). Dopo la prima condanna continuò a fare quello per cui era
stato condannato, investire soldi della mafia nel settore sanitario, su disposizione di Bernardo Provenzano, cioè creava società per le forniture alla sanità pubblica (nel 93, su richiesta del questore di Palermo, alcune di queste società intestate a lui vengono messe sotto sequestro in esecuzione di misura di prevenzione).
• Nell’89 subentra ad Angelo Siino (vedi scheda), nel ruolo di ministro dei lavori pubblici di Cosa Nostra, cioè nella spartizione mafiosa dei pubblici appalti (insieme a lui, al cosiddetto tavulinu, siedono Antonio Buscemi, capomandamento di Passo di Rigano, Gianni Bini, rappresentante in Sicilia della Calcestruzzi di Raul Gardini, e il costruttore agrigentino Filippo Salomone). Da allora, per un decennio, distribuisce il 40 per cento degli appalti dei lavori stradali Anas tra undici famiglie mafiose, per un valore di 350 miliardi di lire (il restante 60 per cento è diviso tra 500 imprese).
• Su consiglio suo e di Tommaso Cannella (vedi scheda), Provenzano investe direttamente nelle imprese, limitando il sistema delle estorsioni. «Negli ultimi anni, con la collaborazione dei fidati consiglieri, il capo dei capi aveva rielaborato strategia e tattica del rapporto di Cosa Nostra (...) Pino Lipari e Tommaso Cannella avevano detto la loro. Il modello parassitario doveva rimanere un ricordo del passato» al massimo limitato «ai margini dei quartieri di periferia».
• Viene arrestato per associazione mafiosa di nuovo nell’agosto 98. Dal carcere continua la sua attività comunicando attraverso pizzini cuciti nella biancheria che fa consegnare ai familiari dagli agenti della penitenziaria (mezzo pizzino per volta, caso mai venissero scoperti). Fuori dal carcere, il figlio Arturo (architetto) scambia i pizzini per conto del padre con Bernardo Provenzano, attraverso una catena di postini, tra i quali anche il cognato Giuseppe Lampiasi, marito di Rossana, di professione rappresentante di apparecchiature elettromedicali e forniture ospedaliere (una telecamera lo riprende in ascensore mentre si scambia un pizzino baciandosi con Vito Alfano ).
• Nel 98 viene intercettato nella sala colloqui del carcere mentre rimprovera il figlio, perché l’ultima volta non gli ha ricopiato per intero un pizzino scritto da Provenzano. Figlio: «C’erano un sacco di ave maria». Padre: «Un’altra volta, tutta, perché in mezzo all’ave maria io devo capire, capisco qualche cosa... hai capito? Hai capito?».
• Il 15 gennaio 1999, mentre gli spiega come disseminare i pizzini di errori grammaticali: «Io magari cerco di fare tutto il possibile per renderla... però tu che sei estraneo a quella situazione quando lo rivedi... è scritto mezzo sgramma... Io sgrammaticatizzo... è fatto apposta, hai capito? Sbagliare qualche verbo, qualche cosa... mi hai capito, Arturo?».
• Intanto la figlia Cinzia è diventata avvocato e, assunta la difesa del Lipari, ha agio di parlargli in libertà nelle salette riservate ai colloqui coi legali.
• La moglie Marianna, intercettata in carcere durante il colloquio col Lipari, il 3 novembre 1998, mentre maledice Bernardo Provenzano: «Qua ci vorrebbe Santa Brigida, se fosse un uomo coi coglioni a presentarsi, a dire, qua sono io... ormai che ha più da perdere, tanto sta morendo pure... e liberare i padri di famiglia».
• Scarcerato nel novembre 99, viene arrestato di nuovo il 24 gennaio 2002, questa volta con moglie, figlio, figlia e genero (che gli avevano permesso di continuare la sua attività di consigliori della mafia mentre era in carcere).
• La figlia Cinzia a sei mesi dall’arresto: «Fino al 25 gennaio del 2002 ero una donna incensurata, avvocato da 12 anni, nonché madre di due bambine, di cui una in tenerissima età, morbosamente legata a me... In carcere sono caduta in un grave stato di depressione ma oggi mi rendo conto che una terribile valanga si è abbattuta sulla mia famiglia... mio padre non aveva altre scelte ed io capivo il perché. Ma sono cresciuta in ambienti molto cattolici, e mi hanno insegnato: onora il padre e la madre. Questo ho sempre fatto. Ho aiutato mio padre a togliersi un fardello molto pesante... ma adesso vi dico che quest’uomo maledetto (Provenzano – ndr) ha distrutto la nostra famiglia. Se io oggi sapessi dove si nasconde ve lo consegnerei in 24 ore (...) Ne avevamo parlato, con mia madre mio fratello di liberarci di questo fardello... dovevamo aiutare papà a togliere quelle cose di mezzo... preferivo non chiedere, non essere cosciente, che voleva dire fare compromessi».
• Nel novembre 2002 manifesta l’intenzione di collaborare con la giustizia (intanto il pentito Antonino Giuffrè ha rilasciato dichiarazioni contro di lui). In realtà si limiterà a negare l’innegabile nella speranza di avere qualche sconto di pena.
• L’8 giugno 2005 viene condannato, nel processo in cui è coimputato con i suoi congiunti, alla pena di 11 anni e due mesi di reclusione in continuazione con una condanna inflitta per lo stesso reato nel 2001. Espiata la pena, quando viene scarcerato, il 13 aprile 2006, due giorni dopo l’arresto di Provenzano, si dà subito da fare (come lo accuseranno i pm), per vendere un appezzamento di terreno di Provenzano medesimo, nelle campagne di Carini (Palermo), del valore di tre milioni di euro. Il 19 settembre 2007 viene di nuovo arrestato per associazione mafiosa, a far tempo dal 15 ottobre 2002, «per avere in rappresentanza di Provenzano Bernardo, Riina Salvatore e Bagarella Leoluca, gestito ed amministrato il patrimonio accumulato dai capimafia corleonesi, così contribuendo al finanziamento e al sostentamento dell’associazione mafiosa».
• Il 22 novembre 2006 sono stati condannati in via definitiva per associazione mafiosa i figli Cinzia e Arturo, e il genero, Lorenzo Agosta (rispettivamente a cinque e quattro anni di reclusione).
• Ultime Condannato in via definitiva il 10 gennaio 2012 per associazione mafiosa, reato consumato dal 15 ottobre 2002 al 17 settembre 2007. Il 12 gennaio 2011 è diventata definitiva anche la condanna della moglie, a quattro anni di reclusione, per concorso esterni in associazione mafiosa.
• È testimone nel processo sulla c.d. Trattativa Stato-Mafia, per avere riferito al Pm di Palermo quanto gli era stato detto da Vito Ciancimino (vedi scheda del figlio Massimo), a proposito del “papello” contenente le richieste della Mafia allo Stato: Riina aveva fatto pervenire il papello, tramite Antonino Cinà (vedi), a Vito Ciancimino, che a sua volta lo aveva consegnato al capitano De Donno. (a cura di Paola Bellone).