Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  maggio 31 Giovedì calendario

Biografia di Luciano Ligabue

• Correggio (Reggio Emilia) 13 marzo 1960. Cantante. Autore. Regista. Scrittore. «Sono contento di sentir dire che le mie canzoni sono facilmente riconoscibili. Sono canzoni che non stanno cambiando la musica, sono semplicemente la voce di uno che vuole dire delle cose».


• Vita «Sono nato in un appartamento di via Santa Maria, una strada del centro. È stato un parto a rischio. Fin dal principio io non ho scelto la via più facile per vivere... L’ostetrica che ha aiutato mia madre s’è accorta in ritardo che avevo il cordone ombelicale intorno alla testa, così sono nato cianotico. E poi mi hanno chiamato Lu...ciano» (a Gianni Poglio).

• «A cinque anni ho rischiato di perdere la voce per un’operazione alle tonsille. Da allora, la gola è la mia parte più vulnerabile».

• «Mia madre era una contadina, mio padre invece è sempre stato una testa libera. Non si è mai precluso niente e ha fatto mestieri molto diversi. Di base era un commerciante che ha venduto casa per casa dal riso alla frutta e verdura. Poi ha cambiato genere e s’è lanciato nell’avventura di aprire un negozio: Ligabue tessuti e confezioni. Ma è stato anche il gestore di una balera e di un deposito per pellicce. Ricordo anche periodi in cui non lavorava o si dedicava a intermediazioni di immobili. Appena sentiva il soffio della noia, cambiava aria».

• «Mio padre andava al cinema quasi ogni sera. E un paio di volte mi portava con lui. Vedevamo western, sempre con lo stesso rito: i bruscolini comprati nei sacchettini fatti apposta dal buon vecchio Bonacini di fronte all’ingresso del Politeama, due biglietti per la platea, poi io che mi esaltavo per il film e mio padre che all’uscita commentava “che baggianata” (anche se la sera dopo voleva tornare)» (a Bruno Ventavoli) [Sta 15/5/2016].
• «Il regalo più bello che ricevetti a sei anni fu un proiettore di diapositive, il Festacolor, un giocattolo per proiettare i personaggi dei cartoni animati. Era una magia fare il cinema nella mia cameretta».
• «Ho imparato a leggere su Trottolino, Tiramolla, Soldino, Topolino. Via via sono passato a Tex e Zagor (che preferivo) e ai supereroi della Marvel. Il primo Uomo Ragno fu amore a prima vista. I fumetti americani umanizzavano i supereroi. Da grandi poteri derivano grandi responsabilità. E sensi di colpa».
• «A dodici anni ho capito che c’era qualcuno che poteva fare le canzoni in modo diverso, erano i cantautori. In particolare Theorius campus, di Venditti e De Gregori, ha cambiato la mia percezione. Tre anni dopo, mio padre, che gestiva una balera coi gruppi di liscio, e per tutta la vita mi aveva detto: I musizéssta i én tótt murt ed fãm, i musicisti sono tutti morti di fame, contravvenne alle sue convinzioni e mi regalò una chitarra. Poi la nascita delle radio libere, la consapevolezza che uno poteva far sentire la sua voce».
• «Quando Paolo Casarini, che era il mio prof di Lettere a Ragioneria, ci disse: “Ragazzi se qualcuno di voi ha un’ambizione da coltivare questo è il momento”, io sentii che stava proprio parlando con me, ma poi per trovare la voce della mia voce ci ho messo dieci anni».

• Debutto nel 1987 con il gruppo Orozero. Partecipano a diversi concorsi regionali. Cantano Bar Mario, Sogni di rock’n’roll ecc. Pierangelo Bertoli, dopo aver messo in un suo album i Sogni, lo presenta al produttore Angelo Carrara. Primo singolo Anime in Plexiglass (1990). Vinile, introvabile, è una rarità da collezionisti.

• «Ho debuttato a 30 anni, un’età generalmente da pensione per chi fa musica. Credo che fosse pudore, pudore di quello che scrivevo. Ho scritto tante cose, ma le suonavo per me. Poi, un giorno, trovai il coraggio di farne ascoltare una a Claudio Maioli, che lavorava con me in una radio di Correggio. È stato lui a convincermi».

• «Ottobre del 1990. Era uscito da pochi mesi l’album Ligabue, ero finito a suonare a una Oktoberfest ad Alessandria, la prima volta fuori dalla mia regione, l’ingresso era diecimila lire compresa la birra, e c’era la gente che cantava tutte le canzoni. Quella cosa lì mi ha insegnato il peso che possono avere le canzoni, la più grande lezione sulla responsabilità. Una rottura di palle immane ma ti ci devi confrontare. Se tu dici in una canzone che “cinque ragazzi sono su una macchina e inseguono una striscia invitante talmente accogliente da perderci il fiato” (in Sogni di rock’n’roll) non puoi permetterti di essere così ingenuo da non pensare che alcuni possano pensare che quella striscia sia una striscia di coca. La mia intenzione era diversa, ma poi mi sono ritrovato gente sotto il palco che faceva il gesto di sniffare».

• «Prima di salire su un palco, sono stato metalmeccanico, ragioniere, bracciante agricolo, commerciante, consigliere comunale, promoter, dj. Mestieri che sono durati mesi, mai anni. Quello attuale dura, forse grazie all’esperienza accumulata con gli altri. Giustamente i saggi del mio paese, Correggio, non lo considerano un mestiere. Dicono “quello canta invece di lavorare”. Le fasi emozionanti sono due: potersi esprimere e vedere e aver di fronte a sé qualcuno che ti dice “ricevuto”. Il tuo mestiere è comunicare. Io sono molto spaventato dallo snobismo, dalle patenti di qualità rilasciate dalle élite dotate di speciali strumenti culturali. Io credo nel rock come espressione popolare, senza velleità di essere arte in senso assoluto. Il giudice è la gente che dice: “Questo ha senso, quest’altro no”» (da un’intervista di Mario Luzzatto Fegiz).
• «Papà l’ho perso nel 2001. Diceva: dopo i 70 ogni anno è regalato. È morto a 71. Tumore all’intestino. Quattro mesi dalla diagnosi. Io stavo girando un film, Da zero a dieci. Ci siamo parlati più in quei mesi che in tutta la vita. Mia madre, dopo, sembrava che volesse morire anche lei. Poi si è attaccata a mio figlio Lenny, e dopo è venuta Linda»
.
• Ha duettato con Pavarotti al Pavarotti & Friends del 2006 (hanno cantato Certe notti, il singolo che ha venduto un milione e 200 mila copie, disco di platino europeo).

• È diventato il primo rocker italiano a suonare per sette volte nel giro di dieci giorni nella stessa città: prima a Roma (al PalaEur dal 17 al 26 novembre 2007) poi a Milano (dal 12 al 21 dicembre 2007 al Forum) per lanciare un “best of” in due parti: Primo tempo (2007, con gli inediti Buonanotte all’Italia e Niente paura), Secondo tempo (2008, con gli inediti Il centro del mondo, Il mio pensiero, Ho ancora la forza). Il primo album è rimasto per sei settimane in testa alla classifica dei più venduti, mentre il singolo Niente paura ha conquistato la vetta per 14 settimane consecutive. Il secondo, con i successi dal 1997 al 2005, uscito il30 maggio 2008 è entrato in classifica subito al primo posto. Ancora con questi titoli il tour estivo 2008 negli stadi (Meazza a Milano, Olimpico a Roma ecc.)
• Ha fatto il suo primo tour europeo (suonando nei club): Amsterdam, Parigi, Berlino, Londra ecc. «Quando vado in tour non vorrei smettere più. Sono un tossico dei concerti. Per il resto mi sono fermato alle canne» (a Michela Proietti). Ha scritto per Elisa Gli ostacoli del cuore (e ne ha diretto il video).
• Nel maggio 2008 incontrò centinaia di studenti nell’aula magna dell’Università La Sapienza e rispose alle loro domande. Due anni prima, nella stessa sede, fu costretto a rifugiarsi nello studio del rettore per i troppi fans presenti e proseguì affacciato alla finestra la presentazione della sua raccolta di poesie Lettere d’amore nel frigo.
• Sempre nel 2008 Sette notti in Arena, all’Arena di Verona accompagnato dall’Orchestra diretta da Marco Sabiu, evento che si ripeterà nel 2009 e nel 2013.
• Nel 2010 ha pubblicato Arrivederci, Mostro! (l’album si aggiudica la Targa Tenco per la versione unplugged), mentre il 2011 è l’anno di Campovolo 2.0, nuovo mega-concerto da cui è tratto il primo film italiano che racconta uno show musicale in 3D e il triplo album Campovolo 2.011. Nel 2013 ha pubblicato prima insieme a Giuseppe Antonelli il libro-intervista La vita non è in rima (per quello che ne so), poi il decimo album di inediti, Mondovisione. Ha aperto l’edizione 2014 del Festival di Sanremo cantando Crêuza de mä di Fabrizio De André, accompagnato da Mauro Pagani al bouzouki. Nello stesso anno anche il suo primo tour americano nei club, prima in Canada, a Toronto, poi a New York, Los Angeles, San Francisco e Miami «L’America, per uno come me, è uno straordinario emporio dal quale sei libero di prendere ciò che vuoi. L’essenza della musica del Ventesimo secolo viene dagli Stati Uniti: il blues, che è la sorgente di tutto, il rock e suoi derivati. Amo Bob Dylan, Chuck Berry e cento altri protagonisti della scena del rock’n’roll, anche se poi mi sento più vicino a Elvis Presley, a una musica che è una vera celebrazione della vita. Vengo spesso qui ma non mi ero mai esibito. Poi, con l’ultimo tour che abbiamo chiamato “Mondovisione” ci siamo detti che era venuto il momento di farsi coraggio» (a Massimo Gaggi) [Cds 21/10/2014].
• Il 19 settembre 2015, per festeggiare i venticinque anni di carriera e i venti dall’uscita di Buon Compleanno Elvis, è tornato per la terza volta al Campovolo di Reggio Emilia, incassando sette milioni e mezzo di euro: sul palco un megaschermo concavo superdefinito di 780 metri quadrati, per consentire a tutti di poter vedere quello che stava succedendo. Qualche giorno dopo, il 22 settembre, è stato ospite all’Arena di Verona al concerto evento “Rimmel2015” di Francesco De Gregori.
• Il 24 e il 25 settembre 2016, in occasione dei 25 anni di Urlando contro il cielo, terrà un evento, il “Liga Rock Park”, al Parco di Monza, uno tra i maggiori parchi storici europei.
• Album: Ligabue (1990, cinque dischi di platino), Lambrusco, coltelli, rose & popcorn (1991), Sopravvissuti e sopravviventi (1993), A che ora è la fine del mondo? (1994), Buon compleanno Elvis (1995), Su e giù da un palco (1997, live), Radiofreccia (1998), Miss Mondo (1999), Fuori come va? (2002), Giro d’Italia (2003, live), Nome e cognome (2005), Primo tempo (2007), Secondo tempo (2008), Sette notti in Arena (2009), Arrivederci, mostro! (2010), Campovolo 2.011 (2011), Mondovisione (2013). Per la fine del 2016 è prevista l’uscita del suo undicesimo album di inediti, Made in Italy, ventesimo della carriera e primo concept album: «Perché è una dichiarazione d’amore frustrato verso questo Paese raccontata attraverso la storia di un personaggio» (Pasquale Elia) [Cds 12/7/2016]. Film: Radiofreccia (1998, presentato fuori concorso al Festival di Venezia, tre David di Donatello, uno dei quali allo stesso Ligabue per la regia, e Nastro d’argento come miglior regista debuttante), Da zero a dieci (2002, Nastro d’argento). Libri: Fuori e dentro il borgo (Baldini & Castoldi, 1997), La neve se ne frega (Feltrinelli, 2004, 200 mila copie vendute, ne è stato tratto anche un fumetto, ha vinto il premio Fernanda Pivano), Lettere d’amore nel frigo (Einaudi, 2006: «Avevo da poco perso mio padre e stavo affrontando la separazione da mia moglie. Eventi luttuosi che mi hanno messo all’angolo e per uscirne ho usato la poesia e non le canzoni»), Il rumore dei baci a vuoto (Einaudi, 2012, raccolta di 13 brani di contenuto autobiografico aventi come filo conduttore il tema dell’amore nella sua totalità), Scusate il disordine (Einaudi, 2016, una raccolta di sedici racconti sulla vita della provincia: «Come recita il titolo è un lavoro disordinato. È disordinato lo stile che uso in ogni capitolo; è disordinato il metodo che applico in ogni racconto; sono disordinate le storie perché all’interno di ognuna succede qualcosa di surreale. È stata un’esperienza di piacere dello scrivere e di piacere dell’inventare. È un libro della vacanza» [Elia, cit.]).
• Ha raccontato di essere cresciuto in una casa senza libri, «a parte certi manualacci tecnici, che mio padre comprava chissà perché». Il primo libro glielo fece leggere la maestra, Michele Strogoff. «Dopo la naja decisi di capire che cosa fosse la letteratura. Forse per capire meglio me stesso. Ho iniziato a leggere sistematicamente i classici. Volli, fortissimamente volli. Come l’Alfieri, per l’Ulisse di Joyce, m’incatenai alla scrivania. L’Ottocento russo, e tanto Cecov. I francesi, Zola, Balzac, Proust. Mi costringevo talmente a divorare un tanto di pagine al giorno che spesso non riuscivo a entrare nella bellezza del testo. Per correggere la visione del mondo di Kafka, uscivo la sera con gli amici operai, che avevano poco tempo per le pippe mentali, e si faceva di tutto per stare il meglio possibile, che per me è sempre stata una medicina importante» (da un’intervista di Bruno Ventavoli) [Sta 15/5/2016].
• Nel maggio 2004 ottenne una laurea honoris causa in Editoria, comunicazione multimediale e giornalismo dall’Università di Teramo.
• Due figli: Lorenzo Lenny, dalla prima moglie Donatella Messori (separazione nel 2002 dopo 15 anni di matrimonio), Linda da quella attuale, Barbara Pozzo (la sua ex fisioterapista). «I loro nomi iniziano con la L, come mi ha chiesto mio padre, perché secondo lui avere iniziali uguali porta fortuna». A Donatella, che occupa sempre un ruolo importante nella sua vita, ha dedicato L’amore conta.
• «Lenny non vive con me, Linda sì. Lenny ha un grandissimo talento musicale, a due anni teneva il tempo dei Nirvana con le bacchette, ha molto più orecchio di me, vuol fare da solo, naturalmente. Linda è vanitosa, ingenua, molto popolare fra le amiche. Li amo. Ne avrei voluti altri, di figli. Tanti. Ne ho persi tre. Due nel passato, uno pochi anni fa da Barbara, la madre di Linda. Al sesto mese di gravidanza. Un lutto che non trova casa, nessuno lo considera un vero lutto».

• Suo fratello Marco (Correggio, 16 maggio 1970) suona come chitarrista nel gruppo dei Rio.

Critica «Supereroe della musica nazionale» (Marco Molendini), secondo i detrattori da Buon compleanno Elvis (best seller del 1995) ripete se stesso: chitarra basso e batteria, alternanza di rock tirati e ballate morbide (dove dà il meglio): «Forse la vena creativa è prosciugata, il bestiario esaurito. È però possibile che questa ripetitività, riscontrabile in molti cantanti over 40, sia percepita dal suo pubblico come fedeltà a se stesso, a un suono e un modo di essere. A chi gli dà del cantautore, Ligabue risponde di ambire, casomai, all’etichetta di “nuovo Battisti”, obiettivo raggiunto per quella generazione che a scuola dovette scegliere tra lui e Marco Masini (sì, erano tempi così). Se proprio deve fare il nome di un cantautore, cita l’amico Francesco Guccini, come lui emiliano. Quell’Emilia che è terra dai confini indefiniti, il sud del nord e il nord del sud» (Andrea Scanzi).

• «Nessuno come lui è rimasto così avvinghiato alle radici, le spreme come nettare di ruvida poesia, fino all’ultima goccia. Non si è mai staccato da Correggio, rivendica la sua appartenenza come un marchio dell’anima. Suona accordi americani, indossa stivali del Texas, imbraccia chitarre Fender, ma il suo segreto è tutto lì, nell’appartenenza ai suoi luoghi, nell’ostinazione a definire l’identità come un privilegio da non barattare mai, per nessun motivo» (Gino Castaldo).

Frasi «Scrivo tanto, scrivo anche molte brutte cose, scrivere è un piacere, un’esigenza, ma se metto dodici canzoni in un disco, vuol dire che ne ho scritte settanta-ottanta. Il fatto di ritenere spesso di aver scritto delle gran cagate mi fa pensare di essere abbastanza libero».
• «Adoro le canzoni, sono la riduzione del melodramma, sono scritte per la gente e vanno dove gli pare. Da lì parto e lì torno. Però la scrittura è terapia, consolazione. Persino a me che sono cresciuto nell’epoca del jukebox non mi basta una canzone, qualche volta, per assecondare il piacere di scrivere, per dire quello che c’è».

• «La gente diceva, “Ma tu guarda che stronzo, io lavoro in fabbrica e lui che ha i miliardi fa il mediano”. Non era quello il senso. Una vita da mediano era un brano sull’etica dell’impegno e il singolo di un disco, Miss Mondo, che raccontava una mia crisi dopo il successo».

• «Le canzoni non andrebbero mai spiegate, non saprei dire fino in fondo cosa significa il verso del ritornello: “Con tutto il sangue andato a male e poi di colpo questo andarsi bene”». «Una sera ero a cena con De Gregori e gli ho confessato di essere da sempre un fan della canzone Atlantide, anche perché non avevo capito niente e mi piaceva moltissimo poter pensare di continuare a non capire niente. Lui purtroppo mi ha spiegato cosa vuol dire, e dico purtroppo perché adesso mi piace meno».

• «Nel rock la cosa più difficile non è immolarsi o essere “maledetti”, ma invecchiare bene. L’idea di cantare a 60 anni Balliamo sul mondo mi spaventa, ma chissà, Jagger dimostra che si può fare».

• «Se faccio rock è perché credo fermamente al senso originale del rock’n’roll, che in gergo nero voleva dire “trombare”, nel senso della celebrazione della vita, tant’è che all’inizio non c’erano neanche le parole, era erotico, selvaggio, vitale».

• «Io sono lento, ho fatto il primo album a 30 anni, il primo figlio a 38».
• «Per parecchi anni ho scritto canzoni troppo influenzate dai cantautori, canzoni che non mi appartenevano, brutte canzoni. Poi un giorno esce Altri libertini di Pier Vittorio Tondelli, un libro straordinario. Lì capisco che anche un angolo di paese poteva diventare così importante da finire in un libro. Fu un’illuminazione. Ecco quello che dovevo raccontare: le cose che avevo sotto gli occhi. La mia prima canzone incisa si intitolava Sogni di rock’n’roll, ed è il racconto di un mio sabato sera».
• «Mi piace l’idea che facciano fatica a darmi un’etichetta. La gente non riesce a chiamarmi regista, ma di fatto ho realizzato due film».

• «Ancor oggi c’è chi non capisce perché vivo a Correggio. La risposta è che qui esistono dei campi dove nelle notti d’estate puoi fermarti a guardare le lucciole».

• «Non credo che pensare alla morte aiuti a morire meglio, casomai a vivere peggio. Però ogni tanto ci penso, come tutti. Quando è morto un cugino che era in realtà un fratello, il protagonista di Lettera a G., ho capito che raccontando lui avrei affrontato anche la perdita di mio padre, avvenuta l’anno precedente. Il momento più brutto della mia vita».

• «Le mie ambizioni le ho vissute tutte, ma a dire la verità c’è una cosa abbastanza assurda che rimbalza tra me e Domenico Procacci della Fandango, ed è il progetto di una rock opera. È talmente assurdo che ogni tanto ci ripenso».

Politica È stato consigliere comunale a Correggio: «Ho partecipato a tre sedute come indipendente del Pds. Mi ero candidato per occuparmi di musica, ma mi sono subito accorto che la musica era l’ultima delle voci in bilancio. Una cosa però l’ho capita: far funzionare le cose attraverso la politica è molto difficile. Ci vogliono diplomazia e pazienza, doti che io non ho. Così, quando ho compreso che non c’entravo niente, ho dato le dimissioni».

• «Quando avevo tra i quindici e i vent’anni a Reggio Emilia nascevano le radio libere e tu potevi farne parte: non c’era alcun filtro. I cantautori erano al loro meglio e gli artisti internazionali più importanti, da Dylan a Neil Young, passavano di qui. Qui Benigni sollevò Berlinguer alla Festa de l’Unità. Gli ospedali, le scuole, gli asili funzionavano. C’era una grande forza popolare che stava dietro una grande idea: quella che fosse possibile cambiare le cose in meglio. Oggi dire “comunista” sembra una parolaccia. Ma io resto fermo a Gaber. In Qualcuno era comunista , canzone che dovrebbero insegnare nelle scuole, diceva: “Qualcuno era comunista perché sapeva che poteva essere felice solo se lo erano anche gli altri”. Ecco: io mi sono formato su quelle parole lì, e oggi non riesco a nascondere la mia disillusione».
• «Da elettore di sinistra quale continuo a essere, una delle cose che più mi irrita è lo snobismo. Essere snob è la cosa meno di sinistra al mondo. Le cose popolari vengono criticate soprattutto dalla sinistra e io con questo aspetto non riesco a farci i conti».

• Nel 2004 la sua canzone Una vita da mediano è stata la colonna sonora della candidatura di Romano Prodi. «Per me i politici non sono tutti uguali (...) Lui sì che ha fatto di tutto per fare il mediano».

Vizi Fissato col numero 7: «È un numero che ritorna nella mia vita. Sette sono le lettere del mio nome e del mio cognome, le mie iniziali sono dei sette rovesciati, il mio onomastico è il 7 gennaio, nell’87 ho fatto il mio primo concerto e nel ’97 il primo stadio».

• Ama il lambrusco, il biliardo, il calcio: da ragazzo ha giocato come mediano nella squadra del paese. Una passione per Elvis Presley: si è fatto incidere il suo nome sul manico della chitarra.

• Tifo Interista, suo idolo Gabriele Oriali, mediano degli anni Settanta/Ottanta. In occasione dello scudetto 2007, il 27 maggio improvvisò un concerto a sorpresa per la squadra allo stadio Meazza.