31 maggio 2012
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Biografia di Arrigo Levi
• Modena 17 luglio 1926. Giornalista. Scrittore. Esordio con l’Italia libera di Buenos Aires (dove nel 1942 si era trasferito con la famiglia per sottrarsi alle persecuzioni razziali), laurea in Filosofia. Arruolatosi nell’esercito israeliano combatté la prima guerra d’indipendenza contro i Paesi arabi (1947-1949). Un’esperienza alla sezione italiana della Bbc, collaborò alla Settimana Incom per poi passare alla Gazzetta del Popolo e al Corriere della Sera (1955, come corrispondente da Londra, poi da Mosca). Inviato del Giorno, dal 1973 al 1978 diresse la Stampa. In tv fu conduttore e coordinatore del Tg Rai, memorabili i suoi servizi sulla Guerra dei sei giorni combattuta nel 1967 tra arabi e israeliani, nell’81 condusse (con Vittorio Citterich) il settimanale Tam tam, dall’82 all’87 fu in Fininvest (Punto sette, Tivù tivù). Tornato in Rai collaborò, tra l’altro, con Mixer. Dal 1999 al 2006 consulente per la comunicazione della presidenza della Repubblica (settennato Ciampi), poi consulente personale del presidente Napolitano fino al 2013. Scrive su La Stampa.
• «Arrigo Levi ebreo e laico, modenese e italiano, giornalista e scrittore, studioso di teologia e non credente. Arrigo Levi argentino e israeliano per scelta ma non sionista, inglese per vocazione e ammiratore di Churchill ma non conservatore, di nuovo italiano ma impermeabile ai vizi nazionali della piaggeria e del quieto vivere» (Dario Fertilio) [Cds 1/5/2009].
• «Saggista e inviato poliglotta di vasta esperienza internazionale, a lungo titolare di un’autorevole rubrica sulla rivista americana Newsweek (e poi sul Times di Londra - ndr), volto popolare e molto rimpianto d’un giornalismo televisivo di alta qualità. Direttore della Stampa nei più drammatici anni di piombo, ebbe l’idea di fondarvi Tuttolibri, il primo settimanale italiano interamente dedicato alla produzione editoriale» (Alberto Sinigaglia).
• «La teoria di Ruggero Orlando, che metteva puntualmente in pratica, era che bisognava arrivare in ritardo in ufficio e scrivere il testo all’ultimo momento, qualche volta senza avere neppure il tempo di completarlo, soprattutto, in modo da non riuscire a rileggerlo. Quel tanto di improprietà ed errori che si insinuano in un pezzo scritto alla garibaldina e non riletto sono infatti per l’ascoltatore la garanzia dell’autenticità, lo rendono credibile e comprensibile come non lo sarebbe un testo più limato e raffinato».
• Ha scritto numerosi libri, tra cui: Dialoghi sulla fede (2000), America Latina: memorie e ritorni (2004), Cinque discorsi fra due secoli (2004), Un paese non basta (2009), Da Livorno al Quirinale. Storia di un italiano (2010, racconto della vita di Carlo Azeglio Ciampi), tutti per Il Mulino, e Gente, luoghi, vita (Aragno, 2013). Ha ottenuto il Premio Trento per il giornalismo (’87), il Premio Luigi Barzini come miglior corrispondente (’95) e il Premio Ischia Internazionale (2001). Nel maggio 2008 vinse la seconda edizione del premio letterario Giorgio Calcagno. Nel maggio 2012 il premio giornalistico nazionale «Novara diventa - La tradizione di innovare». Nel 2013 il premio di cultura politica Giovanni Spadolini.
• «Ma come è difficile essere ebrei! So bene che lamentarsi dei problemi che derivano oggi a chi è ebreo in un Paese civile come l’Italia è, per un sopravvissuto come me, addirittura imbarazzante, e quasi vergognoso (...) Perfino un laico miscredente come me è talvolta tentato di rimetter piede in sinagoga! (Debbo a un amico monsignore di aver partecipato, qualche mese fa ad Assisi, dopo tempo immemorabile, a una preghiera ebraica. Mi pregò di farlo, perché senza di me in tutta Assisi c’erano soltanto nove ebrei, e ancorché tutti fossero gran rabbini del loro Paese, sarebbero stati impotenti senza un decimo ebreo; sicché mi toccò di esser presentato agli altri dall’amico rabbino Di Segni, che non è così serio come sembra, dopo qualche esitazione, come “il rabbino del Quirinale”. Quante cose capitano quando accade di vivere un po’ a lungo!)» (nel febbraio 2007 su La Stampa).
• «Il fatto di non avere avuto alcuna educazione religiosa, più tardi nella vita, l’ho un poco rimpianto. Da adulto pensai che era difficile credere in Dio per chi non ci avesse creduto da bambino. Talvolta avrei voluto che mi fosse stato insegnato a credere»; «non dimentichiamo che sono anche un gran ballerino (…) ho vinto un premio di samba lo stesso giorno in cui, la mattina, sono stato promosso all’esame di filosofia teoretica all’Università di Bologna. In realtà a partecipare alla gara di ballo furono solo tre coppie»; «Parlo e scrivo quattro lingue: italiano, francese, inglese e spagnolo»; «La dote di giornalista che le ha fruttato di più? “Direi il dubbio. Il non avere mai l’arroganza e la certezza di avere ragione”» (da Un paese non basta).
• «La vecchiaia è una condizione più sociale che fisica».
• Arrigo Levi ha scritto che il giornalista Domenico Bartoli era «il migliore dei corrispondenti politici: brevità, limpidezza, essenzialità di fatti e giudizi, lingua di ammirevole purezza». E ha «sempre invidiato, io che scrivo tutto piegato in avanti sulla tastiera, come scriveva Bartoli, appoggiato con britannica flemma allo schienale della poltroncina» [Cds 15/1/2012].
• «L’ottantaseienne Arrigo Levi è, assieme a Eugenio Scalfari, l’ultimo dei grandi vecchi del giornalismo italiano della Prima Repubblica (…) è stato un testimone molto più importante della storia internazionale. Specie della Guerra fredda. Le sue pagine ci parlano dell’America di Kennedy e della lotta per i diritti civili, della Primavera di Praga, della Ostpolitik, della regina Elisabetta, di pericolo atomico e dialogo tra le fedi» [Fog 25/5/2013].
• «Levi è soprattutto un maestro di lucidità e sottigliezza nell’analisi politica, sul versante internazionale e interno. Fedele all’idea che chi fa informazione, e pratica dunque il «mestiere di capire», deve sempre ispirarsi a un principio: “Combattere i miti”. Lui l’ha fatto. Ogni giorno. Dovunque si trovasse nel mondo» (Marzio Breda) [Cds 13/7/2013].
• Sposato con Carmela Lenci, una figlia, Donatella.