31 maggio 2012
Tags : Franco La Cecla
Biografia di Franco La Cecla
• Palermo 1950. Antropologo. Allievo di Ivan Illich.
• Insegna all’Università San Raffaele di Milano e al Politecnico di Barcellona, è stato professore a Parigi e a Venezia. «Ha lavorato con Renzo Piano e poi ha fondato un’agenzia per valutare l’impatto sociale delle opere di architettura, ciò che succede in una città in cui avviene una trasformazione urbana. Ed è stato impegnato in contesti molto diversi, da Tirana a Barcellona» (Francesco Erbani).
• Nel 2008 fece scalpore il suo pamphlet Contro l’architettura (Bollati Boringhieri). Sua tesi: il sistema della moda e dei mass media ha arricchito pochi architetti e ucciso l’urbanistica. «È vero, la moda ha fagocitato il mondo dell’architettura, ha per lo più “ridotto” gli architetti ad artisti creatori di oggetti “alla moda”, deresponsabilizzandoli nei confronti del funzionamento della città e della società. Li ha trasformati in “creatori di trend” (come “stilisti”) al “servizio dei potenti di oggi... Senza Prada e Versace, afferma La Cecla, non ci sarebbero stati i vari Gehry, Koolhaas, Nouvel, Calatrava e Fuksas... Sono state le marche di moda a trasformare l’architettura in moda”. Quello che gli artisti hanno trovato nel sistema delle gallerie, dei curatori e nel mercato dell’arte, gli architetti lo hanno trovato nelle vetrine e negli stilisti. Anzi, afferma La Cecla, gli architetti hanno direttamente “preso il posto della maglietta firmata, sono diventati quella maglietta e quel paio di mutande”. E una volta che sono diventati mutande, anche i mass media si sono accorti degli architetti. Cancellata la critica architettonica e del restauro (anche se siamo il Paese con il 50% dei beni culturali) i media hanno fatto scivolare l’architettura, l’arte e il design dal “giornalismo culturale” al “giornalismo di moda”, direi dell’“intimo”, con responsabilità gravi per il nostro territorio. Tanto che ciò, come nota pure La Cecla, serve da alibi ad alcune “archistar” che finiscono con l’occuparsi “di decoro, di cose carine, come mutande disegnate da calciatori o starlet”. Ma La Cecla accusa anche la “continua presa di distanza” degli architetti dai loro progetti una volta che questi, specie quelli delle periferie, prestano il fianco a situazioni che diventano invivibili. Il riferimento è allo Zen di Vittorio Gregotti ma, in generale, a tutta l’architettura di quegli “apostoli che dagli anni Cinquanta alla fine degli anni Ottanta hanno promosso l’idea che l’abitare andasse risolto con grandi costruzioni condominiali concentrate nelle aree vuote della città”, generando mostruose periferie che ricordano quelle istituzioni totali vituperate da Michel Foucault. Giustamente La Cecla individua nello spostamento di termini da “casa” ad “alloggio” l’orizzonte di questa degenerazione, il cui fallimento ha spianato la strada all’affermarsi del sistema della moda e, di conseguenza, al decostruttivismo internazionale. L’idea tayloristica di stoccare gli individui come ingranaggi di un sistema all’interno di alloggi razionali ha distrutto l’orizzonte storico-simbolico dell’architettura, ovvero quello delle relazioni primarie, ad esempio quella di vicinato, della cui perdita evidente anche gli architetti dovranno pur portare una responsabilità!» (Fulvio Irace).
• Ha curato anche il libro Elogio della bicicletta (Bollati Boringhieri) «Scriveva Ivan Illich, lo scrittore e filosofo austriaco che in un certo modo fu un precursore dei no global: “La bicicletta richiede poco spazio. Se ne possono parcheggiare diciotto al posto di un’auto... Per portare quarantamila persone al di là di un ponte in un’ora, ci vogliono dodici corsie se si ricorre alle automobili e solo due se le quarantamila persone vanno pedalando in bicicletta”». (a cura di Lauretta Colonnelli).
• Tra gli ultimi libri: L’Ape, antropologia su tre ruote (Elèuthera 2009), «la poco edificante storia di un suicidio industriale (del nostro paese) e soprattutto un ritratto strepitoso del veicolo multiuso che meglio rappresenta la globalizzazione attuale» (Filippo La Porta); Il punto G dell’uomo: desiderio al maschile (Nottetempo 2011): «Della morale comune. Il desiderio maschile è considerato invadente, disdicevole e egoista. C’è l’idea che gli uomini desiderino cose impronunciabili»; Una morale per la vita di tutti i giorni, con Piero Zanini (Elèuthera 2012); Non è cosa, con Luca Vitone (Elèuthera 2013), sull’oblio del rapporto che ci legava agli oggetti prima di ridurli a beni di consumo.