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 2012  maggio 31 Giovedì calendario

Biografia di Raffaele La Capria

• Napoli 8 ottobre 1922. Scrittore. «C’è la munnezza e chiamano. Ci sono le bufale e telefonano. C’è la camorra e ancora ti cercano. Mentre uno scrittore milanese non deve continuamente giustificarsi per il fatto di essere uno scrittore milanese, a uno scrittore napoletano tocca invece il compito di giustificarsi proprio di essere napoletano».
• Autore dei romanzi Un giorno d’impazienza (1952), Ferito a morte (1961, premio Strega, considerato il suo capolavoro), Amore e psiche (1973), Fiori giapponesi (1979), tutti editi da Bompiani. Fra le sue raccolte di saggi, perlopiù dedicati alla cultura partenopea cui è profondamente legato, L’armonia perduta (Mondadori 1986). Nel 2005 vinse con L’estro quotidiano il premio Viareggio, nel 2006 scrisse L’amorosa inchiesta (entrambi pubblicati da Mondadori, che nel 2003 aveva raccolto le sue opere in un Meridiano). «Caro Raffaele La Capria le scrivo quest’articolo in forma di lettera perché il suo nuovo libro, che mi è piaciuto in una maniera da farmi paura, è scritto in forma di lettera ed è quindi un modo, il mio, di restare dentro il suo libro, di non staccarmi da esso, di fargli omaggio... caro Dudù, lei scrisse un capolavoro del Novecento al primo colpo (Ferito a morte) e questo l’ha un po’ perseguitata. Ora si dia pace: L’amorosa inchiesta è un capolavoro del 2000, un’autobiografia di tutti» (Antonio D’Orrico).
• Ultime opere, i romanzi A cuore aperto (Mondadori 2009) e Un amore al tempo della dolce vita (Nottetempo 2009), America 1957, a sentimental journey (Nottetempo 2009), il reportage di un viaggio negli Stati Uniti del 1957, Confidenziale: lettere dagli amici (Il notes magico), «la silloge di lettere inviategli dagli amici che include un prezioso biglietto in cui il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ex compagno di scuola al Regio Liceo Ginnasio Umberto I di Napoli, gli chiede di verificare se un suo testo non mostri troppo «la ruggine del linguaggio e dell’universo politico» (Adriano Sofri) [Il Foglio 16/2/2012]. Di recente, le raccolte di racconti Doppio misto, Esercizi superficiali. Nuotando in superficie, entrambe per Mondadori (2012) e La lezione del canarino (Sole 24 Ore 2012).
• «Papà era un commerciante all’ingrosso di grani, fu anche presidente del consorzio agrario, e quindi era costretto a parlare italiano. Mentre mia madre alternava l’italiano al francese. Io e mio fratello (Pelos - ndr), che oggi vive a Sanremo con la moglie Isa Barzizza, rubavamo il dialetto e i suoi misteri a Rosaria, la nostra cameriera. Lei era una cassaforte di napoletanità. Credeva agli spiriti, ai fantasmi, e cucinava ricette che purtroppo si è portata nella bara. Giocava al lotto la mattina prestissimo, perché non voleva dimenticare i sogni premonitori della notte: e vinceva pure».
• «Fu un canarino, un canarino che imprevedibilmente si posò sulla mia spalla mentre attraversavo i giardini della Villa Comunale, a Napoli, a farmi intuire quanto poteva essere difficile il mestiere di scrivere. Ero un ragazzino che frequentava la prima ginnasiale e l’unica mia esperienza di scrittura era il tema in classe. Nel momento in cui si posò io rimasi immobile per lo stupore e così restai per non turbarlo col minimo movimento; ma il mio cuore batté tanto forte per l’emozione che dovette sentirlo anche il canarino, tant’è vero che se ne volò via. La mia storia però comincia subito dopo quando, tornato a casa, volli raccontare a mia madre quel che era accaduto e quello che avevo provato. E appena dissi: “Mamma, oggi un canarino si è posato sulla mia spalla”, mi accorsi sconfortato di non aver detto nulla, proprio nulla, di quel che era accaduto. Come si fa a dirlo?, pensai. Cominciai da quel momento a rimuginare».
• Da ragazzo, al liceo Umberto I, i suoi compagni erano Napolitano, Ghirelli, Patroni Griffi: «Quando litigavamo, o giocavamo a calcio, dialetto stretto. Era la nostra identità ancestrale. Adesso la televisione ha creato un italiano-base grigio e banale».
• «Il dialetto mi riscalda come una specie di copertura materna. Quando scendo a Napoli, lo vado a cercare nelle zone più popolari, tra i venditori delle bancarelle di San Gregorio Armeno. Là si vendono i presepi tutto l’anno, riescono a trasmetterti il brivido di Natale anche a primavera».
• «Ho scritto con Franco Rosi la sceneggiatura di Mani sulla città, e anche di C’era una volta, con la Loren: film in cui ho studiato la mentalità scaramantica di Napoli. Nei vicoli più tormentati, il dialetto è come una membrana sottilissima tra superstizione e religiosità, sacro e profano. Parlarlo ti eccita. Smitizziamo le presunzioni umane. Come Totò, che con i suoi “parli come badi”, o “chicche e sia”, sfotteva i perfezionisti dell’italiano» (a Paolo Mosca).
• «Mi sento come quei pittori che prima buttano giù i colori, e poi fanno due passi indietro per vedere che cosa hanno dipinto. Voglio dire che, a distanza, Napoli la riesco a capire meglio».
• «Molti vanno a Napoli come se non sapessero dove vanno, pretendendo di vedere e riportare cose che si sa benissimo che non ci sono, oppure con l’intento di veder confermate e magari ingigantite quelle che si sa benissimo che ci sono. Come se, mettiamo, uno andasse nella civilissima India per trovare le cose che si trovano nella civilissima Svizzera, e poi giudicasse l’India col metro svizzero. Che viaggiatore sarebbe costui? Un viaggiatore dev’essere sempre curioso e disponibile, e dev’essere senza bagaglio, senza un’idea fissa di come dovrebbe essere il mondo ficcata nella testa (...) E che fa Napoli? È viva, è morta, passerà la nottata? Ha sette vite, come le lucertole. Ma è possibile viverci? Si vive male, ma è “avventurosa”, e la preferisco alle vostre ordinate piccole città, tutte malinconia e discoteca».
• «Senza la Bellezza il mondo sarebbe peggiore, non avrebbe l’incanto che a volte ci mostra».
• Fino all’87 lavorò alla Rai: «Sono Stato quasi trent’anni alla Rai e mi occupavo dei programmi culturali e degli sceneggiati».
• Una figlia (Roberta) dal primo matrimonio, ha sposato in seconde nozze l’attrice Ilaria Occhini (l’unica a non chiamarlo Dudù), nipote di Giovanni Papini. Si conobbero nel 1961 durante la cerimonia dello Strega: «Creatura teatrale lei, duttile e inquieta interprete di Ibsen e Cechov. “Ilaria non ricorda i miei libri”. “Raffaele odia il teatro”. Lui adora il mare, lei predilige la campagna: un delicato equilibrio tra affinità e distanza, fin da quel primo antichissimo incontro a Positano, lui non ancora quarantenne e già noto nel mondo delle lettere, lei ventottenne diva della Tv, famosa per gli sceneggiati di Jane Eyre e la Graziella di Lamartine» (Simonetta Fiori). Insieme hanno avuto la figlia Alexandra (Londra 1966), attrice e sceneggiatrice nota anche per il matrimonio con Francesco Venditti (vedi), figlio di Antonello Venditti e Simona Izzo (hanno avuto i figli Alice e Tommaso).
• «Dopo l’uscita del Meridiano con il quale ho celebrato i miei 80 anni avrei potuto ripetere la frase di Caproni quando uscì il suo: “Vogliono ammazzarmi”. Infatti gli scrittori italiani nei Meridiani sono quasi tutti morti».
• «Quando si cita La Capria si evoca costantemente Ferito a morte. La gratifica? “No, mi offende. Perché si nomina solo quel romanzo. Ma io ho scritto venti libri, e perlomeno tre o quattro sono all’altezza di Ferito a morte.”» (ad Antonio Gnoli).
• «Un buon tuffo è come un buon romanzo, deve ave­re una grande spinta iniziale, un perfetto svolgimento in aria e un’entrata in acqua impeccabile. Come la chiusura dell’Ulisse di Joyce: quel ’sì’ assoluto che è un inno alla vita. Senza spruzzi» (a Federico Pistone) [Corriere della Sera 17/7/2009].
• Scrive sul Corriere della sera.
• Vive a Roma. Ha tre by-pass.