31 maggio 2012
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Biografia di Gioacchino La Barbera
• Altofonte (Palermo) 23 novembre 1959. Pentito, a suo tempo mafioso, capofamiglia di Altofonte. Tra gli esecutori della strage di Capaci (vedi Salvatore Riina). Detenuto dall’ottobre 1993 (nove mesi dopo inizia a collaborare). Fine pena: 2020. Sottoposto a programma di protezione, beneficia di permessi premio, ma la Cassazione, il 7 febbraio 2007, ha rigettato la sua richiesta di ammissione alla detenzione domiciliare (confermando la decisione del Tribunale di sorveglianza), per mancanza del requisito del ravvedimento, non avendo lui dimostrato una «convinta adesione a valori e a regole di vita socialmente condivise», né di avere elaborato «una riflessione in grado di raggiungere le motivazioni degli errori commessi e una positiva progettualità per prevenire eventuali condotte illecite future». Fine pena: 29/12/2021.
• Oltre alla strage di Capaci (condanna alla pena di anni tredici e mesi undici di reclusione, definitiva il 31 maggio 2002), è stato condannato, tra gli altri delitti, per l’omicidio dei fidanzati Vincenzo Milazzo e Antonella Bonomo (incinta di tre mesi, vedi Matteo Messina Denaro), e di Ignazio Salvo (mafioso, cugino di Antonino Salvo, entrambi detti “gli esattori”, sostenitori della corrente andreottiana in Sicilia).
• Ammesso al programma di protezione, nel 96 ne approfittò, insieme a Baldassare Di Maggio e Santino Di Matteo (vedi), per tornare a San Giuseppe Jato a vendicare la morte del padre, ucciso da Cosa Nostra simulando il suicidio.
• Aspirapolvere Fu processato e prosciolto per prescrizione dall’accusa di favoreggiamento per aver ripulito, in concorso con altri, il covo di Totò Riina, in via Bernini a Palermo, dopo il suo arresto. Al processo dichiarò: «Hanno cancellato tutto con l’aspirapolvere, portato via vestiti, documenti e le cose più importanti. E poi tinto le pareti e smurata la cassaforte. La portarono via e rimurarono il buco perché non si vedesse più nulla» (assoluzione piena invece per il generale dei carabinieri Mario Mori e il colonnello Sergio De Caprio, meglio noto come capitano Ultimo, che dopo l’arresto di Riina inspiegabilmente avevano tralasciato di perquisire il covo per due settimane).
• Ultime. Nel decidere il rinvio a giudizio richiesto dalla Procura per la c.d. Trattativa Stato-Mafia, il GIP Piergiorgio Morosini, il 7 marzo 2013, indicava tra le fonti di prova la circostanza che 334 decreti applicativi del regime 41 bis ai mafiosi, non furono rinnovati tra la fine del 93 e l’inizio del 94, tra gli altri, proprio nei confronti di Gioacchino La Barbera. Tra i principali testimoni del processo, in aula ha dichiarato che, tra le stragi della primavera-estate 93 (vedi Leoluca Bagarella), la mafia aveva in programma anche di fare esplodere la Torre di Pisa. Si era anche procurata esplosivo per fare saltare in aria l’allora giudice Pietro Grasso e aveva messo una taglia sul Capitano Ultimo, che aveva arrestato Totò Riina (un miliardo di lire) (a cura di Paola Bellone).