31 maggio 2012
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Biografia di Anna Proclemer
• Trento 30 maggio 1923 – Roma 25 aprile 2013. Attrice. Soprattutto di teatro (vastissimo repertorio), per la tv ha fatto (tra l’altro) L’idiota (1959).
• «L’indimenticabile Annie Sullivan di Anna dei miracoli, la Lupa, Fedra, George Sand, l’attrice che nel ’48 con Strehler, nel ’49 con Costa, dal ’56 con Albertazzi ha scritto la storia del teatro italiano» (Anna Bandettini).
• In teatro qual è il suo personaggio preferito? «Ne ho fatti tanti, dalla Figlia di Iorio di D’Annunzio alla Santa Giovanna di Shaw, a Chi ha paura di Virginia Woolf a Giorni felici di Beckett».
• Ha presentato moltissimi recital di poesia, primo fra tutti Anna dei poeti (da Jacopone da Todi agli autori d’oggi). Negli ultimi anni protagonista di spettacoli di parola e musica: dal 2003 il melologo Anna dei pianoforti su testi di Alberto Savinio («la musica raccontata attraverso immagini estrose e storie surreali, come quella del pianoforte femmina che partorisce una nidiata di pianofortini», Sara Chiappori) a cura di Cesare Scarton e Mauro Tosti Croce e con Antonio Sardi de Letto al pianoforte; negli ultimi anni C’era una volta Cenerentola, con lo Ianus Piano Duo. Nel 2007 vista anche al teatro d’opera: una breve parte, recitata in francese, come Duchesse de Crakentorp nella Fille du régiment di Donizetti alla Scala e poi all’Opera di Roma.
• «Volevo chiamarmi Anna Mozart. A 18 anni la Lux Film mi fece un contratto per uno di quei filmetti orrendi della stagione dei “telefoni bianchi”. Ma siccome c’era la guerra e io avevo un nome straniero, me lo fecero cambiare. Avevo cominciato ad ascoltare musica molto presto, all’età in cui i ragazzi di oggi vanno in discoteca: e scelsi Mozart. Però neanche quello andava bene. Così decisi per Vivaldi, che era stato appena riscoperto» (da un’intervista di Alfredo Gasponi).
• «Mi piaceva molto sedurre, ma della conquista non sapevo che farmene, mi piaceva sapere di piacere e basta. Vorrei ricordare tra i miei amori Tommaso Landolfi, che è durato due anni. Ho lettere bellissime, mi avevano chiesto di pubblicarle ma gli eredi non hanno voluto».
• Sposò lo scrittore Vitaliano Brancati (1907-1954). «Nel 1941, a Roma, mi ero iscritta alla facoltà di Lettere e filosofia, e, volendo da molti anni recitare, mi sono precipitata al Teatro dell’università, Guf si chiamava allora, dove stavano provando un suo atto unico: Le trombe di Eustachio, una satira dell’Ovra, in pieno fascismo... E difatti ebbe dei guai: andò in scena, ma poi fu proibito. Ero una intellettuale rampante. Pur essendo molto giovane, mi affascinava tutto della cultura. Avevo già letto il Don Giovanni in Sicilia, che era uscito nel 1940. Leggevo Eugenio Montale, Thomas Eliot. Mi davo anche un po’ di arie. Questo scrittore così famoso, così piccante, mi interessò molto. A me sembrava vecchio, aveva 35 anni. Io ne avevo 16 di meno. Non era questa enorme differenza, ma a quell’epoca un uomo di 35 anni era un uomo maturo. E nell’ambiente universitario, in mezzo a tutti quei ragazzotti camerateschi... Nel primo capitolo di Paolo il caldo, lui racconta questo incontro. Si innamorò perdutamente. Non me lo disse. Mi scrisse una lettera, poco dopo esserci conosciuti, una delle più belle lettere d’amore, credo, che si possano leggere nella letteratura. Mi chiese di sposarlo. Io desideravo fare teatro, finalmente ero arrivata a recitare. Per quanto fossi molto lusingata, gli risposi di no in modo goffo. Dopo il mio rifiuto, tornò a Catania, dove ci siamo incontrati di nuovo nel 1945, finita la guerra: andai lì per fare un film, Malia, con Gino Cervi, Rossano Brazzi, Maria Denis e lo rividi. Ero combattuta: avevo paura di essere distolta dal teatro. A lui, d’altra parte, l’idea di una moglie attrice che va in giro non lo entusiasmava. Dopo un periodo abbastanza acceso, decidemmo di sposarci, nel luglio di un anno dopo. La giornata era divisa in modo molto regolare. Si alzava abbastanza presto, leggeva i giornali, lavoricchiava. A mezzogiorno si andava a via Veneto dove ci si incontrava con gli amici: De Feo, Pannunzio, Patti, Talarico, il pittore Bartoli (sto parlando di quando c’ero anch’io; spesso ero fuori, con suo grande dolore). Il pomeriggio lavorava. La sera, verso le 7, si tornava a via Veneto, da Rosati, alla libreria Rossetti, o si andava a piazza del Popolo. Generalmente si cenava con gli amici. Il nostro era un rapporto molto curioso e, in un certo senso, pericoloso, perché eravamo di una estrema educazione e... non so... diplomazia. Credo che fosse molto geloso, quando mi allontanavo. Ma non me lo disse mai. Cercavo di assentarmi il meno possibile. Ogni tanto mi chiamava il Piccolo di Milano e andavo: io ne ero felicissima; lui era infelicissimo. Sarebbe stato un amante straordinario. Mi sono sposata vergine: fa un po’ ridere, perché avevo 23 anni. Ero poco esperta. E per lui ero una donna un po’ angelicata. Mi aveva molto idealizzata. Aveva un rispetto tale che limitava le effusioni: aveva timore di contaminarmi. Sarebbe potuta andare meglio, se non mi avesse considerata, o lo avesse fatto meno, una Madonna su un altare. Perché il rapporto si esaurì? Ah, non lo so. Non cambiò nulla: né in lui né in me. Avevo bisogno di star sola: è una necessità ciclica. Era talmente irrazionale e poco spiegabile che inventai che mi stavo innamorando di un altro, e non era vero. Ne soffrì enormemente. Andai in un piccolo appartamento che era stato di mia nonna: una specie di cantina dalle parti di piazza Quadrata, dove mi sentivo terribilmente felice. Ci vedevamo, andavamo fuori con gli amici, a cena, lui veniva a casa mia, io andavo a casa sua a vedere nostra figlia che gli avevo lasciato, ma a volte tenevo con me. Non era stata una separazione terrificante, non c’erano interessi di mezzo. E quando andò a Torino, per operarsi, andai con lui. Stemmo lì alcuni giorni perché doveva fare delle analisi. Dormii nella stessa camera, la sera prima dell’operazione. Morì sotto i ferri» (da un’intervista di Luigi Vaccari).
• Nel 2008 è stata protagonista del recital Viaggio attraverso Brancati che ha esplorato passi letterari inediti dello scrittore e pagine più intime legate alla loro corrispondenza. Per alcuni brani, in scena la figlia Antonia Brancati, anche lei scrittrice.
• Con Albertazzi, conosciuto nel 1955, fece ditta teatrale per sedici anni. Si amarono per venti: «Lui stava con Bianca Toccafondi, e quindi non si poteva. Segretamente ci scambiavamo messaggi d’amore attraverso le battute. Ricordo una Figlia di Jorio del 57, tutta sospiri e doppi sensi “Aligi dammi la mano”, “Mila il cammino è là, poco lontano”, “Dammi la mano tua ch’io te la baci”... Finché non facemmo una fuga in Svizzera, Hotel Splendid di Lugano, ricordo. La Toccafondi non la prese bene, andò furibonda a dirlo a Visconti. Ma io ero felice. Lui, che come tutti gli uomini non era un eroe, era più angosciato». Nel 2005 andarono in scena insieme con Diario privato, testo quasi pornografico di Léautaud recitato con gran passione (regia di Ronconi).
• «Le più grandi follie le ho fatte per il lavoro. Non solo perché il teatro è la mia vita, ma perché l’indipendenza economica per me è sempre stata vitale. Non concepisco l’idea di farmi mantenere da un uomo. Fu per questo che, quando rimasi incinta, mi dedicai al doppiaggio. Detti la mia voce a Greta Garbo per Grand Hotele Anna Karenina, a Barbara Stanwich. Yvonne Sanson la doppiai che quasi partorivo in sala di registrazione» (ad Anna Bandettini).
• Al cinema fu protagonista di quindici film, ma interpretò parti minori in molti altri e doppiò attrici del calibro di Greta Garbo e Anne Bancroft. Le sue ultime apparizioni sul grande schermo in No problem di Vincenzo Salemme (2008) e in Magnifica presenza di Ferzan Ozpetek (2012).
• La figlia Antonia nacque il 6 maggio del 1947.
• Appassionata di computer, ha messo in piedi il sito www.annaproclemer.it: «...Insomma giù la maschera, questa sul web è l’autobiografia che mi sono sempre rifiutata di scrivere».