31 maggio 2012
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Biografia di Maurizio Pollini
• Milano 5 gennaio 1942. Pianista. Dotato di tecnica superba e di una capacità eccezionale di analisi del testo, «a detta degli esperti e per quanto valgano certe classifiche, probabilmente il più grande dei pianisti viventi» (Riccardo Lenzi). «Non c’è niente da spiegare».
• Ultime Nel 2014 con l’incisione delle opere 31 e 49 ha portato a compimento la registrazione integrale delle 32 sonate per pianoforte di Beethoven. Un’impresa iniziata negli anni Settanta, cominciando dalle ultime, «le più impervie, che adesso mi piacerebbe incidere di nuovo», e conclusasi con due sonatine spesso eseguite dai principianti «Di sicuro in quest’operazione ha contato la voglia di compiutezza, il desiderio che l’incisione assumesse un senso definitivo. Il lavoro in studio, così complesso e concentrato, si attaglia particolarmente a questa idea di responsabilità» (a Egle Santolini) [Sta 6/11/2014]. La sua incisione del ciclo completo dei Notturni di Chopin, uscita alla fine del 2005, è stata un successo senza precedenti nella discografia italiana di musica classica: oltre al massimo riconoscimento internazionale, il Grammy Award per la migliore esecuzione solistica, nel marzo 2007 ottiene il disco d’oro per le 40.000 copie vendute solo in Italia ed è stata presente per oltre un anno nella classifica Nielsen dei 100 cd (pop incluso) più venduti nel mondo. «Certo che mi fa piacere, però una diffusione più vasta della musica classica dovrebbe essere naturale, non riguardare solo Chopin. Bisogna programmare tutta la musica d’arte, anche il contemporaneo, facendo proposte inconsuete e suscitando interessi nuovi». Prosegue l’incisione delle Sonate di Beethoven (nel 2007 l’op. 2), nel 2008 esce il suo secondo cd di concerti mozartiani (K 414 e 491) registrati dal vivo nella duplice veste di solista e direttore (dei Wiener Philharmoniker): «Un contributo grandioso a capire e a far vivere l’arte di Mozart» (Lorenzo Arruga). Concerti nelle capitali europee, ai Festival di Salisburgo e Lucerna, e negli Stati Uniti, anche con orchestra (sul podio Abbado, Levine, Pappano a Roma ecc.). Visto due volte in tv, da Fabio Fazio a Che tempo che fa, in occasione dell’uscita dei suoi ultimi dischi. Degli ultimi anni è il Progetto Pollini, concerti dove propone tre Sonate per pianoforte di Beethoven, accostate ogni sera ad una diversa composizione di musica contemporanea «Autori come Karlheinz Stockhausen, Pierre Boulez, Luciano Berio, Luigi Nono non hanno ancora la presenza che meriterebbero nel cartellone dei concerti. Prendiamo l’esempio di Gustav Mahler, che oggi è uno degli autori più amati e suonati. Un completo apprezzamento della sua musica è avvenuto solo negli anni Settanta, ovvero più di mezzo secolo dopo la sua morte. Come vede, anche in passato non sempre i talenti erano riconosciuti; e oltretutto Mahler usava un linguaggio tonale, si figuri le difficoltà con la dodecafonia. Ci sono anche altri casi: quando, verso il 1840, Richard Wagner diresse la Nona di Beethoven, questa sinfonia era ancora considerata quasi inascoltabile» (da un’intervista a Carlo Piano) [Pan 24/8/2012].
• Vita Figlio di Gino (1903-1991), l’architetto fondatore del movimento razionalista italiano (realizzò la fabbrica Olivetti di Ivrea), e di Renata Melotti, sorella di Fausto (1901-1986), scultore fra i più importanti dell’astrattismo. Nel 1960 salì per la prima volta agli onori della cronaca internazionale vincendo il primo premio al Concorso internazionale Chopin di Varsavia. «Il diciottenne Pollini, cui Arthur Rubinstein presidente di giuria dedicò un giudizio-presagio artistico esplicito, era cresciuto in una colta famiglia milanese dov’era naturale far coesistere il pragmatismo professionale con l’amore per la musica e l’arte in genere, e con la passione civile. Il clima di rigore intellettuale assicurò al giovane pianista quella maturità artistica e poetica così spiccata che aveva colpito Rubinstein e indirizzato all’unanimità il verdetto dei severi giurati. Un memorabile, e involontario, caso di cronaca portò alla ribalta l’uomo Pollini quando, nel 1972, tentò di leggere una protesta antiamericana (c’era ancora la guerra, in Vietnam) al pubblico del Conservatorio di Milano. Non fu che un inizio. Attraverso storiche prime di musiche scritte per lui (da Nono, Manzoni e Sciarrino, tra gli altri) e tenute a battesimo con l’amico e fratello di battaglie civili Claudio Abbado (1933-2014), incontri e esecuzioni per il pubblico delle scuole, delle periferie e delle fabbriche occupate, si rafforzò l’immagine dell’artista colto e anticonformista: impegnato, come si diceva. La corredò una costante attenzione e curiosità nei confronti della creatività contemporanea (Stockhausen, Boulez e gli autori della Scuola di Vienna non sono più mancati nei suoi programmi) e penetranti incursioni nel grande repertorio di cui l’integrale delle Sonate di Beethoven o il confronto con il Clavicembalo ben temperato di Bach furono l’emblema. Tra un recital solistico e l’altro, riemergeva la predilezione per la musica da camera, e la voglia di cimentarsi con la direzione d’orchestra che si manifestò dopo rare esperienze mozartiane nella tumultuosa lettura della rossiniana Donna del lago a Pesaro. Negli ultimi anni la stessa curiosità e volontà di non lesinare la presenza artistica hanno indirizzato Pollini su altre strade: l’insegnamento alla Scuola di Musica di Fiesole e all’Accademia Chigiana (compiuto da un artista esigente e riservato come lui, il gesto rivela una caparbia moralità) e la creazione di rassegne musicali a tema come “Zeitfluss” al Festival di Salisburgo. L’unicità di Maurizio Pollini, al di là delle cose stupende dette al pianoforte, sta nella sua partecipazione costante, razionale e tenace, rigorosa ma appassionata, alla vita culturale e al nostro tempo (così nelle ore in cui iniziavano i bombardamenti sull’Afghanistan, lui stava suonando a New York). Per cui ogni suo recital è un evento esclusivo» (Angelo Foletto).
• Sposato dal 1968 con Marilisa, «Conosciuta a undici anni, durante una “lezione di armonia”. L’ha vista e non l’ha più lasciata: sono inseparabili. Anche lei suonava il pianoforte, ed è pianista pure Daniele, loro figlio, nato nel 78 e formato all’Accademia di Imola» (Leonetta Bentivoglio). Il 14 novembre 2014 padre e figlio si sono esibiti per la prima volta insieme in Spagna, a La Coruña, con il quinto Concerto di Beethoven «Quando parliamo di musica, io e Daniele andiamo perfettamente d’accordo» (a Santolini cit.).
• «Mi piace leggere, mi tuffo in un autore e non ne esco, sprofondo nei testi con metodo. Ho letto l’intera Comédie Humaine in francese, poi tutto Proust, poi Shakespeare in inglese. Una decina d’anni fa, quando mio figlio cominciò il greco, lessi tutto il teatro greco in greco antico. Per mesi ci siamo contesi il Rocci, il dizionario greco-italiano. Ho anche studiato tutte e duecento le cantate di Bach. Non dico basta se non ho finito».
• Uomo di poche parole: «Una volta un giornalista inglese mi disse: “Parlare con lei è come cavare sangue da una pietra”». Studia quattro ore al giorno («certe volte di più».)
• Commenti «Quel ragazzo o sarebbe diventato il più grande pianista del mondo o “sarebbe finito in manicomio”, pensò Piero Rattalino, storico del pianoforte. Presentarsi al concorso di Varsavia con i quattro più impervi Studi di Chopin era una scelta di coraggio estremo. Maurizio Pollini, diciottenne milanese, nel 1960 vinse il primo premio: “Tecnicamente ci sorpassa tutti”, esclamò il presidente della giuria Arthur Rubinstein. Non ancora pago, il ragazzo intensificò il lavoro che l’avrebbe collocato tra i maggiori interpreti fra Novecento e Duemila. Con rigore, metodo, curiosità, sensibilità. Anche con qualche “vera follia”: come quell’eseguire a memoria, nei primi anni Settanta, Klavierstück X di Stockhausen alla Scala, la Seconda Sonata di Pierre Boulez all’Unione Musicale di Torino, i due Concerti di Bartók con Abbado, l’integrale di Schönberg che allora “quasi nessuno conosceva”. Ricorda appassionatamente quei concerti Francesco Micheli, finanziere pianista. E racconta: “All’opposto di Horowitz, che affermava di suonare soprattutto quello che il pubblico gli chiedeva, Pollini cerca di far crescere il pubblico spiegandogli un repertorio sempre più nuovo e imponendoglielo”. Per combattere la paura nei terribili minuti prima di affacciarsi sul palcoscenico, Arturo Benedetti-Michelangeli ricorreva al metodo Stanislavskij: immaginarsi chiuso in una “campana di vetro” facilitava il suo sforzo di concentrazione. Pollini dietro le quinte passeggia in una “campana di fumo” che si sprigiona dalle “sue insostituibili Pall Mall, rigorosamente senza filtro”. Entrano in scena i pianoforti. “Alla ricerca di quello “speciale”, Francesco Micheli accompagna più volte il maestro alla Steinway di Amburgo. “Si attraversa una prima sterminata fila di pianoforti verticali neri che sembrano soldati schierati sull’attenti, poi si sale nel santuario, una enorme sala al terzo piano sopra i laboratori, dove una quarantina di pianoforti a coda, tra cui una buona metà da concerto, ti aspettano con i coperchi sollevati. È il massimo concentrato del genere che si dia sul pianeta. Ricordo Pollini provarli in modo erratico uno dopo l’altro, poi scendere in un reparto dove ce n’era qualcuno ancora non finito ma già in grado di suonare. Neppure lì la ricerca giungeva finalmente a un termine”. Entrano in scena i maestri più amati, scandagliati: Beethoven, Schubert, Chopin, Schumann, Liszt, Brahms, Debussy, Schönberg e Bartók. A capire Pollini teso ad allargare gli orizzonti della sua conoscenza bastano queste “istantanee” del musicologo Enzo Restagno: ecco il maestro “intento ad accompagnare Fischer Diskau nella Winterreise schubertiana; al Barbican Centre per presentare, insieme con Boulez, un nuovo lavoro per pianoforte e orchestra di Sciarrino”. Eccolo “sprofondato nello studio dei madrigali di Luca Marenzio, di Gesualdo e di Monteverdi”, proteso “nel captare le riverberazioni provenienti dai nastri magnetici di Luigi Nono”, assorto nell’anatomia di un’opera teatrale di Schubert quasi dimenticata» (Alberto Sinigaglia).
• Amici Un sodalizio umano e artistico lungo mezzo secolo con Claudio Abbado (1933-2014): insieme hanno proposto storiche esecuzioni dei concerti di Beethoven, Brahms, Schumann, Bartók. «Sono amici dagli anni Cinquanta, frequentavano lo stesso Conservatorio, uniti da un talento straordinario, da ragazzi giocavano a palla e si godevano la leggerezza della gioventù, poi quando c’era la politica, ed erano anni plumbei, si mettevano a testimoniare la loro passione civile, il loro impegno politico virato a sinistra (...) All’Auditorium, chiamati a raccolta dai club abbadiani, sono venuti in molti dal Nord. Esprimevano il rimpianto di non poter vedere, nella loro città, a Milano, i due illustri concittadini, così legati alla borghesia illuminata di una Milano che ancora esiste e resiste. Qualcuno diceva che sono molto milanesi anche nei tratti fisici, nei volti ruvidi e austeri, ormai lavorati dal tempo, ma pieni di febbre intellettuale, di un modo comune di vedere la vita e l’arte» (Valerio Cappelli). «A unirci non è solo la musica. Con Maurizio i legami sono tanti: un grandissimo rispetto reciproco, stessa concezione della cultura, stesso senso morale. E il gusto della ricerca, l’inquietudine di chi non si accontenta mai» (Claudio Abbado). «Facendo musica, la cosa essenziale non è la discussione sulla partitura davanti al pianoforte, quando magari si esprimono diversi punti di vista. No: è una forma di intesa istintiva molto più importante delle parole. Così è senz’altro avvenuto nel rapporto tra noi due e per questo è così difficile dire in che cosa esattamente consistesse questa intesa. Questo è il punto: si va in orchestra, si suona e si genera una specie di intesa spontanea che non è prevedibile, ma che avviene» (a Sandro Cappelletto) [Sta 16/3/2014].
• «Lui non suona mai per dirti guarda come sono bravo, ma per farti capire come è bella questa musica» (Salvatore Accardo).
• Politica Di sinistra, contrario a ipotesi di premierato forte, nel giugno 2006 tenne a Milano un concerto “per la Costituzione”. Vide nei tagli ai fondi per la cultura del Berlusconi III «l’ennesimo attacco alla cultura da parte di un governo negativo da ogni punto di vista: nei confronti dell’ambiente, del rispetto della Costituzione, della lotta alla mafia. Negativo per l’economia e per tutto ciò che comporta la regionalizzazione. Portatore d’indebolimento nella scuola pubblica. Quanto alle sovvenzioni alla cultura, che è un patrimonio di tutti, e come tale va considerata, sono un compito dello Stato. Se questo governo fosse riconfermato dalle elezioni, gli attuali governanti diventerebbero inamovibili. E in Italia s’instaurerebbe una dittatura inconsueta e rovinosa» (a Leonetta Bentivoglio nell’ottobre 2005).
• Chopin «Sono innamorato di Chopin, la sua musica non finisce mai di sorprendermi».
• «Forse non vi è stato altro compositore che abbia scritto in maniera più congeniale per il pianoforte».
• «In alcuni periodi l’ho suonato meno; abbandonato, mai. Rimane un privilegio. Furtwängler diceva: è l’autore che invidio ai pianisti» (a Valerio Cappelli) [Cds 26/2/2010].
• «Chopin ha creato la scrittura pianistica più seducente mai trovata da un compositore. Usando le possibilità del pedale e la disposizione degli accompagnamenti, scritti in modo da far cantare meglio la melodia attraverso il fenomeno degli armonici. l’arte di cantare: eludere l’idea del pianoforte come strumento percussivo, farlo diventare uno strumento cantante. Realizzare questa bellezza di suono da un punto di vista fisico e risolvere i problemi dell’interpretazione è uno dei compiti più difficili. Diceva Rubinstein: ”Posso suonare una Sonata pirotecnica come fosse niente, devo pensare a ogni nota di Chopin per poterlo suonare”. Tutto ci attrae, sembra che ci avviciniamo alla sostanza della sua musica, ma all’ultimo momento troviamo una specie di camera blindata in cui è difficilissimo penetrare. Lì si racchiude la sua interiorità» (a Sandro Cappelletto) [Sta 29/12/2009].
• Frasi«Come si può sapere se abbiamo compreso una musica? Dall’emozione che ci procura. È un criterio soggettivo, eppure è l’unico che funziona davvero».
• «Credo che (oggi) la mia interpretazione sia più libera nel ritmo. Vi sono maggiori elementi di rubato. Secondo le testimonianze di Liszt, in Chopin il rubato esisteva. Ma io sono sempre stato contrario a certe esagerazioni tardo-ottocentesche, cioè a un modo manieristico di eseguirlo, con un rubato accentuato, con ogni accordo arpeggiato. Meglio una certa sobrietà, come ci ha insegnato Rubinstein».
• Non ha mai composto («Ho studiato composizione, però non ho mai scritto niente») né improvvisato («non lo faccio mai. Ma non ho preconcetti su chi improvvisa, io non lo faccio e basta. Preferisco così»).
• «Quando prendo in mano una partitura o studio un pezzo, io punto innanzitutto alla ricerca di aspetti comunicativi, a cose che davvero possano darci gioia. È un mio percorso profondo e personale. Non si può oggettivare l’emozione musicale, e questo riguarda sia l’interprete che l’ascoltatore. Ognuno di noi sente un pezzo in modo diverso».
• «La necessità interiore è la legge fondamentale dell’arte, quindi il compositore non può scrivere suoni che siano più comprensibili al pubblico. Lui ha trovato questi suoni e non può cambiarli o renderli in qualche modo appetibili. Piuttosto è il pubblico che deve comprenderli attraverso un approfondimento» (a Piano cit.).
• Nuove generazioni «Diciamo che il panorama non è più così ricco. Ma ho ascoltato e ammirato Kissin, che mi pare il migliore della propria generazione» (a Egle Santolini) [Sta 23/12/2013].
• «In ogni genio deve esserci una componente rivoluzionaria».