31 maggio 2012
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Biografia di Paolo Poli
• Firenze 23 maggio 1929 – Roma 25 marzo 2016. Attore. «I difetti di pronuncia chi li ha se li tenga cari».
• Attore di meravigliosa femminilità, crea spettacoli tutti suoi dove appare per quanto possibile travestito da donna. La Santa Rita da Cascia, nel 1967 all’Odeon di Milano, provocò l’intervento della polizia e la fine della serata. A quell’epoca faceva anche La nemica di Nicodemi ed era, naturalmente, la perfida madre che non ama il figlio suo.
• Figlio di un carabiniere, cinque tra fratelli e sorelle. «Ho capito di essere gay fin da piccolissimo. C’era il fornaio: lo adoravo. Poi andai al cinema a vedere King Kong e capii che mi garbava. Allora alle femmine si regalava la bambola e ai maschi il fucilino. Mi sparai in un occhio, stetti un anno con la benda. Che, per la verità, mi dava un fascino piratesco... Il mio babbo e la mia mamma lo seppero da sempre e mi amarono per quello che ero, non per quello che avrei dovuto essere. Mia madre aveva una cultura laica, era una maestra montessoriana. Diceva: “Se è intelligente, il bambino impara da solo”. Ho fatto la terza perché sono andato a scuola da me, la prima e la seconda le ho saltate. Sapevo leggere e scrivere fin da piccolino. In casa avevo l’Artusi, L’arte di mangiar bene. Un libro delizioso: “La cucina è una bricconcella che spesse volte fa disperare. Fatevi avanti, signor polpettone”. E così via».
• «Da bambino stavo sempre allo specchio, perché le suore dicevano: “Non state troppo allo specchio, che viene il diavolo”. E io allora lo fissavo questo specchio, finché mi veniva un lampo negli occhi e capivo che il diavolo ero io. Importantissimo l’insegnamento delle monache».
• «Si passa alla storia o come grandi amatrici o come grandi lavoratori. Io come troia non so se ho avuto tutto questo seguito. Oggi c’è più apertura. Ma solo di parata. Quando ero giovane nessuno mi ha mai ammazzato. Sono stato bionda ossigenata. Che per una donna voleva dire essere poco seria, e per un uomo essere finocchio» (a Enrica Brocardo).
• «Un maestro della parodia, uno che ha lasciato un’impronta indelebile nel teatro italiano, fin da quando, nel 1949, cominciò a calcare le scene. “Ma mi lasci raccontare la mia vita come fossi il notaio di un romanzo di Jane Austen: sono nato nella prima metà del secolo a Firenze, ho fatto studi regolari, mi sono laureato in Lettere con una tesi sul teatro francese dell’800. Sono stato attore amatoriale, poi radiofonico nei primi anni Cinquanta; quando arrivai a Cinecittà feci, nella nuova edizione strappalacrime delle Due orfanelle insieme a Milly Vitale e Miriam Bru, la parte che con la Valli e la Denis faceva Osvaldo Valenti. Poi ho insegnato al liceo francese, a Roma ho incontrato Aldo Trionfo, che faceva l’aiuto di Visconti in Senso, e con lui, a Genova, ho fondato la Borsa di Arlecchino. Poi siamo venuti a Milano, al teatro Gerolamo, la cui dimensione, per me che avevo fatto anche il burattinaio, era entusiasmante”. Eccetera eccetera» (Maurizio Porro).
• «Fra i suoi molteplici volti nascosti, c’è essenzialmente quello d’un soave, ben educato e diabolico genio del male: è un lupo in pelli d’agnello, e nelle sue farse sono parodiati insieme gli agnelli e i lupi, la crudeltà efferata e la casta e savia innocenza» (Natalia Ginzburg).
• Alla Rai degli anni Sessanta faceva soprattutto programmi per famiglie, sketch graziosi dove recitava cantava e qualche volta danzava e in cui la sua forza eversiva era totalmente ignorata. Nella Canzonissima 1961-1962 fece coppia con la Mondaini: «Si fece una robina-ina-ina. Lei sapeva fare la bambina piccina e allora anch’io feci il bambino. Io ero quello buono e lei quella cattiva, che mi faceva i dispetti. Le famiglie si divertivano: “Guarda, proprio come la nipotina”».
• «Io ho fatto il teatro perché l’ho amato da sempre, non come un rifugio, come fanno oggi quelli che non hanno più successo al cinema o alla tv. Mi piace il teatro perché è vivo, così come mi piaceva insegnare, osservare gli occhi cattivi di quei bambini: insomma, diciamo che mi sono speso per far attecchire un po’ di cultura, in un momento in cui basta disegnare O col bicchiere per diventare filosofi. Mi sono applicato alla pratica e non alla grammatica, come mia mamma diceva della Montessori: abbiamo lo stesso difetto. Il complimento che preferisco è quello che si faceva alle signorine così così: che belle gambe, che bei capelli».
• «Sto sempre da solo. Non ho la tata o la cuoca affezionata. Mangio nei ristoranti o vo dalla mia sorellina Lucia che per me è come una figlia, perché quando io avevo vent’anni lei ne aveva nove. Le facevo i compiti, l’accompagnavo a scuola».
• «Tutte le donne che ho conosciuto erano delle virago, altrimenti non ce l’avrebbero fatta. Ai tempi della Dolce Vita con Laura Betti si campò una settimana a noccioline e whisky. Però che belle magre eravamo, io e lei. Belle e magre: bisogna imparare a fare il plurale al femminile. Quelle di adesso son tutte bonine, raccontano i loro matrimoni. L’unica che stimo è mia sorella Lucia. Lei è un genio. Il suo uomo sta al piano terreno, lei al primo, il figlio al quarto, un grattacielo di felicità».
• «Il bello degli amori omosessuali è la loro libertà e la loro riprovazione. Le nozze tra gay non mi interessano, come non mi interessa quello tra uomo e donna. Io voglio seguire l’istinto e la perversione, non tornare a casa e sentirmi chiedere che cosa voglio per cena...» (ad Aldo Cazzullo).
• Il 2 marzo 2007 è stato nominato grande ufficiale della Repubblica.