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 2012  maggio 31 Giovedì calendario

Biografia di Mario Placanica

• Catanzaro 13 agosto 1980. Ex carabiniere. Il 20 luglio 2001, a Genova durante il G8, uccise il giovane militante no global Carlo Giuliani (posizione archiviata per legittima difesa). Nel 2005 fu congedato dall’Arma («non è idoneo al servizio militare in modo assoluto»). Nell’agosto del 2009 anche la Corte europea dei diritti dell’uomo, a cui i familiari di Giuliani avevano fatto ricorso, stabilì che aveva agito per legittima difesa. Prima disoccupato, ha trovato lavoro come impiegato del catasto. Guadagna 1.240 euro al mese con contratto a tempo indeterminato. «Sono convinto che alcuni apparati dello Stato, protagonisti al G8, mi vogliano togliere di mezzo».
• Il G8 di Genova (19-21 luglio 2001) è comunemente ricordato per i violenti scontri urbani tra le forze dell’ordine e i manifestanti no-global culminati in piazza Alimonda con la morte di Carlo Giuliani per un colpo di pistola alla testa. Il movimento antagonista no-global, nato a Seattle nel 1999, arrivò all’appuntamento con il G8 di Genova nel momento di maggiore visibilità e partecipazione (nello stesso 2001 c’erano state forti contestazioni anche a Davos, Napoli, Goteborg). Organizzati dal Genoa social forum (Vittorio Agnoletto e Luca Casarini erano i portavoce), ai cortei di protesta parteciparono circa 300 mila persone provenienti da tutto il mondo ma i protagonisti degli scontri con le forze dell’ordine e dei danneggiamenti alla città furono soprattutto gruppi di anarchici e di anticapitalisti (tra cui i famosi Black Bloc armati di spranghe e molotov e vestiti totalmente di nero). Oltre alla morte del 23enne Carlo Giuliani, il bilancio finale fu di 350 feriti e 152 arresti con danneggiamenti a 83 auto, 41 negozi, 34 banche, 9 uffici postali, 16 distributori di benzina, 9 cabine del telefono, 22 cassonetti dei rifiuti. «Se le sono date dalla mattina alla sera e fino a notte. Anche dopo l’uccisione di quel ragazzo, in piazza Alimonda, il primo “martire” dell’umanità multiforme dei nemici del “global” e il primo morto negli scontri di piazza in Italia dopo un sacco di anni. Ore e ore di botte, senza mai parlarsi. Ché forse gli anti-summit avrebbero scoperto come dall’altra parte ci fossero in divisa tantissimi poliziotti e carabinieri e finanzieri che per tutto il giorno avevano confidato di essere d’accordo su molte cose con i loro coetanei in piazza e di non condividere del tutto certe scelte di ordine pubblico e di non avere “alcuna voglia di menare” e di essere spaventati dagli scontri sicuramente più di quelle poche centinaia di teppisti venuti a Genova per sconvolgere la città e spaccare macchine e sventrare vetrine colpendo al cuore la parte sana del movimento» (Gian Antonio Stella). Negli anni successivi furono aperti numerosi procedimenti contro manifestanti e contro esponenti delle forze dell’ordine. Nel dicembre 2007 sono stati condannati in primo grado 24 manifestanti a (complessivi) 110 anni di carcere. Per l’episodio della scuola Diaz – il blitz notturno della polizia in una sede del Genoa social forum dove 62 manifestanti finirono in ospedale – sono stati rinviati a giudizio 28 esponenti delle forze dell’ordine (condannati in secondo grado 25 imputati su 28 per un totale complessivo di 98 anni e 3 mesi di reclusione). Per le violenze nel carcere di Bolzaneto – abuso d’ufficio e di autorità, minacce, ingiurie, lesioni ecc. – nel luglio 2008 la prima sentenza con 15 condanne e 30 assoluzioni (i reati contestati sono stati tutti prescritti nel 2009, ma le condanne hanno consentito alle parti civili di chiedere un risarcimento in sede civile).
• «Era il mio primo servizio vero. Avevo fatto ordine pubblico in Sicilia, allo stadio. Ero al Celeste di Messina, vicino a quel ragazzo colpito da un petardo e morto. Il reparto rimase tre ore davanti alla Fiera. Qualcuno perquisiva i manifestanti in arrivo, altri stavano a guardare nervosi. I primi scontri li abbiamo avuti davanti al palco nel campo dei no global. Lanciavano molotov, pietre – una mi ha colpito a uno stinco – oggetti metallici. Non li abbiamo attaccati, ci siamo solo difesi. E non nego che in tanti avevamo paura. Poi, dopo le 14 e con due panini nello stomaco, ci siamo trovati nel posto in cui è stato bruciato il blindato dei carabinieri. Siamo arrivati a piedi e siamo entrati subito in azione. C’era da impazzire. Mi sono sentito male per i gas lacrimogeni. Vomitavo, e come ho visto il Defender sono salito a bordo per chiedere al carabiniere Filippo Cavataio, che ho trovato lì, qualche rimedio per gli occhi. Tutto attorno, da quello che potevo vedere, c’era il caos e i miei colleghi tornavano indietro. Sul Defender salì anche un altro carabiniere, Dario Raffone, s’era sentito male anche lui. Da qui in poi i miei ricordi diventano sfuocati, tanto gli eventi sono stati convulsi. Ho preso una botta in testa da quella trave infilata nel Defender. Perdevo sangue, la mia faccia, le mie mani, la divisa, la pistola erano insanguinate. Pure Cavataio era imbrattato di sangue. Ho pensato: “Oggi mi cupano”, oggi mi fanno fuori. Ho preso allora la pistola. Ho sparato. Nella posizione in cui mi trovavo, semidisteso nell’auto, potevo sparare solo verso l’alto. La mia mano con la pistola era al di dentro dell’auto, ne sono certo, e non fuori come appare in qualche strana immagine. Ho sparato due colpi in successione, uno sembra sia finito sul muro della chiesa, l’altro – dicono – avrebbe ucciso Carlo Giuliani» (da un’intervista di Pantaleone Sergi).
• «In caserma ho trovato ad accogliermi un ambiente euforico. Mi chiamavano il killer, i colleghi mi hanno fatto festa, mi hanno regalato un basco dei Tuscania. “Benvenuto tra gli assassini”, mi hanno gridato. Mentre qualcun altro cantava: “Morte sua, vita mia”» (a Calabria Ora nel novembre 2006).
• Dopo diverse disavventure, compreso un serio incidente d’auto, nel 2007 si affidò all’avvocato Carlo Taormina anche per essere «restituito all’Arma, da cui ritiene di essere stato “pensionato” a 25 anni». Taormina, nella convinzione che non fosse stata la pistola di Placanica a uccidere Giuliani, chiese alla procura di Genova di mettere a disposizione uno dei proiettili trovati nel suo caricatore per una perizia. I giudici rifiutarono: per loro il caso era chiuso.
• Divorziato dalla moglie Sveva Mancuso, che gli aveva dato un figlio. Nell’annunciare la separazione, la donna spiegò che era stata «una decisione presa di comune accordo con Mario perché in questi anni abbiamo avuto tante minacce e attentati. La situazione era diventata non più sopportabile» (alla vicenda di Genova si erano aggiunti alcuni fatti di cui si era interessata la magistratura: lei aveva denunciato il tentativo di estorsione che avrebbe subito in relazione a un’eredità lasciatale dal padre, per verificare la bontà della versione della donna i carabinieri intercettarono alcune telefonate di lui con personaggi implicati in una inchiesta su un traffico di droga).
• Dopo Genova, aveva ricevuto 400 mila euro grazie a una sottoscrizione indetta dal giornale Libero. «Non mi è rimasto niente. Ho speso tutto in avvocati. Per pagare il divorzio da mia moglie. Per riparare due auto, visto che purtroppo ho avuto due incidenti stradali. Insomma, sono a zero» (Niccolò Zancan) [Sta 18/9/2011].