31 maggio 2012
Tags : Umberto Pizzi
Biografia di Umberto Pizzi
• Zagarolo (Roma) 7 ottobre 1937. Fotografo. «La bocca è la parte più vera del corpo, attraverso la quale passano le espressioni, i sentimenti, ma anche i bisogni, come il cibo. La bocca è lo specchio dell’anima».
• «Il paparazzo impietoso con i vizi e gli scivoloni dei potenti» (Maria Corbi).
• «I più intriganti sono i manager, i banchieri: solo quando mangiano riesci a intuire chi sono».
• Cinquant’anni di attività da fotoreporter inviato per la Fao in Iraq, Iran, Turchia, Siria e Giordania, poi star di Cafonal, la rubrica più famosa di Dagospia, dove «le immagini vanno più forte delle parole» (Alain Elkann).
• Scattava foto impegnate sulla fame nel mondo, ma si accorse che guadagnava poco e passò a lustrini e paillettes. «In quegli anni nessuno si interessava del potere. Un giorno Mastroianni, che era un uomo straordinario, mi gridò: “Ma vai a fotografare Ugo La Malfa, vai a fotografare Moro, non venire a fotografare me”. Aveva capito tutto».
• Nel 2007 espose 62 scatti nella mostra La bocca (a Roma, palazzo Wedekind): «La più bella è quella della Spice Girl, Geri Halliwell, e l’attrice Clio Goldsmith che si baciano. Davvero sensuale».
• «Lui i politici li osserva per ore, in attesa del fatidico clic. Così, finisce per immortalare tic e smorfie, che traducono malcelati momenti di stanchezza o nervosismo, come il famosissimo “fu fu” di Massimo D’Alema. “Veltroni quando è nervoso batte le dita di una mano sull’altra e il suo viso può trasfigurare per un’emozione in positivo o in negativo. A Silvio Berlusconi non è né il tacco né la pelata che gli dà fastidio quando lo fotografano, ma le orecchie. Va su tutte le furie, forse perché si sente un po’ come il dottor Spock dell’Enterprise. Gianfranco Fini mi ha dato del rompicoglioni perché l’ho fotografato con la sua Barbie. Ho deciso di ‘gnammizzarlo’, ossia di riprenderlo mentre mangia, mentre si gratta... finché continuerà a dare del rompi... ai fotografi. Fausto Bertinotti m’è piaciuto. Ma negli ultimi tempi no. Non perché si va a divertire: tutti hanno diritto a divertirsi oppure perché indossa il maglioncino di cashemire; pure io ce l’ho, chissenefrega. Ma è la frequentazione di alcuni posti che mi ha lasciato un po’ perplesso. Non li voglio dire, i lettori capiranno. Pier Ferdinando Casini. Pierfurby si piace e sembra che chieda agli altri di amarlo. Mi tiene d’occhio sempre. Oggi non è che sia un soggetto molto appetibile per i fotografi. Meglio Antonio Di Pietro, una volta al Bagaglino l’ho fotografato con delle ballerine: è uno che si presta al gioco perché è molto naif”. Altri soggetti idonei? Pizzi non ha mai dubbi: Clio Bittoni, la moglie di Giorgio Napolitano “che con quei suoi cappelletti sembra fare concorrenza alla regina Elisabetta. Una volta l’ho vista attaccare Lucia Annunziata, ammazza che furia”. Anche Lella Faglio, la moglie di Bertinotti, “sono donne che stanno più a sinistra dei mariti”». (Franco Adriano).
• «Ha raccontato che una volta fece un Agnelli nudo in barca, gli uomini dell’Avvocato lo chiamarono, lui rispose: vendo le foto solo ai giornali, allora fu contattato da quelli di “Ilustratofiat”, l’house organ aziendale, che gli offrirono un prezzo impossibile da rifiutare» (Giorgio Dell’ Arti).
• «Viene dalla fame (“famiglia proletaria, padre contadino, madre casalinga, la loro unica ricchezza erano i sette figli, io sono il quarto”), un aristocratico cronista il cui archivio di 1,3 milioni d’immagini è protetto dal ministero per i Beni culturali, alla stregua dei dagherrotipi degli Alinari, in quanto “rappresenta testimonianza unica e particolare della vita politica e sociale del nostro Paese”. Per metterlo insieme, Pizzi s’è pigliato sulla testa le bottiglie vuote di Dom Pérignon scagliate da Liz Taylor, ha fatto a pugni con Walter Chiari per un flash di troppo sparato ad Ava Gardner, ha preso per il culo – letteralmente – l’eccentrica baronessa Francesca von Thyssen, ramo acciaierie, tradita a Palazzo Volpi, sul Canal Grande, da un abito di Versace con svolazzante strascico di due metri e soprattutto dall’abitudine di non indossare le mutande (“una foto allegorica, ha fatto il giro del mondo, 130.000 dollari al netto delle spese e citazione sul New York Times”). L’assidua frequentazione delle stanze del potere ha finito per trasformare Pizzi da spettatore in protagonista. Molto bipartisan. Ha tenuto lezioni di psicologia della fotografia alla Lumsa, università cattolica. Ha istruito i futuri esperti di comunicazione politica che frequentano la scuola privata di Claudio Velardi, già capo dello staff di Massimo D’Alema a Palazzo Chigi. È stato persino chiamato dai Giovani imprenditori di Confindustria a immortalare le loro smorfie all’annuale convegno di Capri, il che fa supporre che Matteo Colaninno sia in procinto di cedere la presidenza a Giacomo Tafazzi, lo scrotolesionista di Mai dire gol. Nonostante il metro e 82, a vederlo sembra Cucciolo, il più piccolo dei sette nani, con quel berretto di lana calcato sulla crapa al punto da fargli risultare le orecchie a sventola, il sorriso stupefatto, il naso paonazzo per il freddo rimediato durante gli interminabili appostamenti. Il suo roccolo prediletto lo allestisce di sera sulla scalinata di Trinità dei Monti, davanti alla residenza di Maria Angiolillo, vedova del fondatore del quotidiano Il Tempo. Con grande disappunto della signora e dei suoi illustri invitati, che l’indomani si ritrovano impallinati sul sito Dagospia e vengono per soprammercato sospettati d’intelligenza col nemico, visto che nessuno è mai riuscito a scoprire come faccia Pizzi a trovarsi lì nel giorno giusto all’ora giusta. Se non fosse ateo e “de sinistra rosso antico” e se non avesse ritratto uno dei cerimonieri pontifici fra le drag queen e Amanda Lear a una festa dello stilista Gai Mattiolo, per la costanza con cui da oltre mezzo secolo tiene d’occhio i sancta sanctorum capitolini avrebbe diritto a un unico soprannome: L’Osservatore Romano. Di qui a diventare un osservato speciale il passo è stato breve. Nel Rapporto 116 del dossier Mitrokhin si legge che nel 1970 fu reclutato dal Kgb, nome in codice Walter, come un contatto fidato. Pare che lo spionaggio russo se ne servisse per controllare persone sospettate di collaborare con i servizi segreti americani e italiani. Dopo sette anni l’agente di Zagarolo avrebbe allentato i rapporti informando Mosca che il suo grado d’istruzione gl’impediva di sostenere conversazioni atte al reperimento d’informazioni utili. “Diplomato alle commerciali e poi autodidatta. Non so come sia nata questa storia. Se fossi stato una spia, ora sarei a Zagarolo a fare vita agreste. Invece a 68 compiuti me tocca ancora de lavorà. Credevo che l’Italia fosse un Paese normale. Mi sputeranno addosso, ho pensato quand’è uscita la notizia. Invece la gente per strada mi guardava ammirata. Da Roberto D’Agostino non ho mai preso una lira, collaboro perché è l’unico modo per veder pubblicato subito il mio lavoro come voglio io. Dagospia è la rivoluzione mediatica. Non c’è stato niente di più nuovo, negli ultimi cinque anni. Vengo pagato dai giornali che usano le mie foto apparse sul sito”».
• «“Sono arrivato al fotogiornalismo per caso. Ho cominciato a lavorare a 12 anni: falegname, scaricatore di forati nei cantieri, lavapiatti, aiuto infermiere nelle cliniche... Dica un mestiere, e io l’ho fatto. A 18 mi fu offerto di accudire il titolare dell’albergo Ambasciatori Palace di via Veneto. Gli avevano amputato una gamba e io lo accompagnavo in giro sulle sue due Rolls-Royce. Mi restava un sacco di tempo libero per guardarmi attorno. Da un paesano comprai la prima macchina, una Voigtländer a soffietto, e con quella cominciai a riprendere alberi e facce. Scattavo, stampavo e mettevo nel cassetto. Erano gli anni della dolce vita, però a me di Anitona Ekberg non me ne fregava niente. Una fisioterapista del mio datore di lavoro mi presentò a una photoeditor della Fao. Mi comprai la prima Nikon e presi a girare il mondo per conto di Freedom from hunger, la campagna dell’Onu contro la denutrizione. Andai fra i disperati delle miniere turche di Zolguldak, fra i beduini nel deserto fra Giordania e Arabia Saudita, fra i profughi curdi in Irak e Iran. Ma presto mi accorsi che potevo diventare uno di loro. La Fao pagava poco. Perciò m’intruppai fra i paparazzi romani. Dopo una settimana avevo capito il meccanismo. Facevano branco. Decisi di lavorare per conto mio ed ebbi subito successo. Beccai Romano Mussolini che entrava all’albergo Sitea con la madre di Sophia Loren. ‘A suocera, pe’ capisse.. Diedi le foto a Gente, ma non uscirono mai. Mi dissero che le aveva bloccate il produttore Carlo Ponti, il marito di Sophia. Ci potevo comprare un appartamentino. Conservo ancora i negativi. Il servizio che mi fece guadagnare una cifra lo realizzai dopo la morte di Grace Kelly. Sembrava che Ira Fürstenberg, la figlia di Clara Agnelli, dovesse sposare il principe Ranieri di Monaco. Foto di merda, rubate di notte con un teleobiettivo da 300 millimetri. Ma strapagate”. Come fa a essere sempre sui fatti? “Sento l’odore della notizia. Rischio. I salotti romani esistono perché esiste Pizzi. Ci fosse uno che fa il mio stesso lavoro al Nord, esisterebbero anche i salotti milanesi. Ho voluto andare in trasferta alla prima della Scala, per vedere se le sciure meneghine erano diverse. È entrata una signora nel foyer, elegantissima nella sua gonna con spacco. Me faccia vede’ un pochetto le gambe, le ho chiesto. E quella s’è scoperta, esattamente come fanno le romane. Il salotto di Maria Angiolillo è il number one. Il secondo è quello di Marisela Federici, l’ex moglie di Roger Tamraz, il miliardario libanese proprietario della Tamoil. Sta sull’Appia Antica, ci puoi trovare dal re dello Swaziland in costume piumato, con codazzo di mogli, al presidente marxista Hugo Chavez, perché la signora è di origini venezuelane. Poi vengono quelli di Guya Sospisio, dov’è ospite fisso Bertinotti, e di Sandra Verusio, amica di Carlo De Benedetti, la musa dei radical-chic, o sciccosi come li chiamo io, dove si attovagliano abitualmente D’Alema e Fassino”. Lei non è mai stato menato? “Di solito si trattengono per rispetto dei capelli bianchi. Fui aggredito dai gorilla di John Bobbit, il marito americano che era stato evirato dalla moglie Lorena. E Gérard Depardieu, mezzo ubriaco, mi diede un cazzotto: io mi scansai e gliene rifilai uno in piena faccia. ‘Ne riparleremo’, bofonchiò. Più risentito. Mick Jagger dei Rolling Stones mi scaraventò giù dalle scale dell’hotel Parco dei Principi e dovette cacciare un sacco di soldi per i danni”. C’è qualcuno che ci tiene a farsi fotografare? “Pippo Marra, direttore dell’agenzia Adnkronos, prima di baciare D’Alema allo stadio guarda verso di me per assicurarsi che lo stia puntando col teleobiettivo”» (Stefano Lorenzetto). (a cura di Lauretta Colonnelli).