31 maggio 2012
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Biografia di Mario Pirani
• Roma 3 agosto 1925 - Roma 18 aprile 2015. Giornalista. Editorialista di Repubblica (dove lavora dalla fondazione). Prima stava al Giorno, abbandonò l’Unità due anni dopo “i fatti d’Ungheria” (1956).
• «Due i suoi codici di trasmissione: gli editoriali economici e di politica, estera oltre che nostrana, e la rubrica Linea di confine che appare ogni lunedì da quando, appunto, esce anche il numero del lunedì. Il titolo rimanda da un lato a un Pirani eterodosso, che non ama il politically correct; dall’altro ad argomenti in bilico fra la cronaca e la storia minuta tipo annales, tra il sociale e l’ideale – Pirani è un giornalista sempre “impegnato” anche se i grandi partiti in cui “sporcarsi le mani” alla Sartre non esistono più. Attraverso questa rubrica, che lo ha reso popolarissimo e gli frutta una quantità di lettere, ha fatto battaglie concrete su temi concreti, e non minori. È stato lui a riportare a galla la tragedia dei soldati italiani trucidati dai nazisti a Cefalonia dopo l’8 settembre» (Laura Lilli).
• «Realista di quel realismo che i meno intelligenti giudicano cinico, attento ai cambiamenti di una politica e di un’economia di cui conosceva da vicino i potenti e i segreti, anche di tutto questo Pirani amava parlare con intelligenza, spirito e discrezione. Senza nostalgie, con l’aria dissacrante di chi la vita la ha vissuta e sa che il passato ha parecchio da spartire con il presente e pure con il futuro» (Paolo Franchi) [Cds 19/4/2015].
• Un’infanzia dorata: «I suoi racconti delle vacanze al Lido di Venezia, negli anni Trenta, avevano il sapore di certe pagine di Thomas Mann, con quelle distese di spiagge esclusive segnate ancora dal privilegio di classe, maggiordomi soccorrevoli nello spostare i tendaggi per ombreggiare le dame, severe nannies al seguito di una prole elegante. Il padre era al vertice della società Cigam, proprietaria di alberghi di lusso in tutta Italia. Mario crebbe in un ambiente illuminato, al riparo dagli aspetti più rozzi e autarchici del regime. Il mito americano e le stelle del jazz».
• Dopo la guerra entra nel Pci: «Bisognava non avere il senso del ridicolo per autodefinirci “rivoluzionari di professione”».
• Prima di diventare responsabile del rapporti con l’estero del gruppo giovanile, lavora al fianco di Berlinguer, segretario generale del Fronte della Gioventù. Non si stabilì mai tra loro una vera confidenza, anche perché Mario ha il terribile vizio di leggere i quotidiani prima del suo capo, che un giorno lo riprende: «Compagno Pirani, ti prego di non aprire i giornali prima di me. Mi piace leggerli ancora intonsi». Un rapporto che durerà fino al 1961 quando dirà addio a Botteghe Oscure [Simonetta Fiori, cit.]
• «Ne uscì con le ossa rotte e un processo per deviazionismo – allora usava così - intentato dal futuro deviazionista Luigi Pintor nella complice indifferenza del direttore Alfredo Reichlin. Troppo autentici i suoi servizi sugli operai e il loro rapporto con il partito. Pirani arrivò così all’Eni nell’epoca d’oro del demiurgo visionario Enrico Mattei, ne divenne ambasciatore segreto in Algeria e Tunisia, fu vittima collaterale della fine non accidentale del suo patron, che lui ha sempre attribuito agli «americani».
Da allora la sua vita è stato il giornalismo» (Cesare Martinetti) [Sta 19/4/2015].
• Dopo l’Unità, prima al Giorno di Pietra, poi al Globo di Ghirelli. Curioso, imprevedibile, persuaso che davvero con il mestiere si possa raddrizzare il legno storto. Per una giovane giornalista in particolare il sentimento va oltre la professione: con Barbara Spinelli sarebbe stato un lungo sodalizio. Nel 1976 comincia l’avventura a Repubblica: nella foto storica dei fondatori, scattata il 14 gennaio vicino alle rotative del giornale, figura al fianco di Scalfari: in giacca e cravatta, il pantalone con un leggero accenno di zampa d’elefante come vuole la moda di quegli anni. Dopo tre anni, abbandona il giornale per dirigere L’Europeo, poi un periodo alla Stampa. Ma nell’86 ritorna in piazza Indipendenza».
• «Ebreo profondamente laico, ha condannato con severità tutti i tentativi di cambiare il senso comune storico soprattutto sulle vicende di cui era stato testimone. Rigoroso e sempre molto documentato, detestava la cialtroneria e il pressapochismo. Alla manipolazione della storia dedicò anche il saggio Il fascino del nazismo/ il caso Jenninger. E le oltre quattrocento pagine dell’autobiografia, scritte grazie anche alle sollecitazioni della più giovane moglie Claudia Fellus, portano il segno di un’ostinata ricerca di una memoria costantemente minacciata» (Simonetta Fiori) [cit.].
• «Un bravo giornalista, sosteneva, "è tenuto a raccontare le cose almeno rispettando quella che a noi sembra la verità, sperando di cogliere nel segno o almeno di andarci vicino". Può dunque paragonarsi, aggiungeva, non a un artista, ma "a un bravo artigiano"; e deve dunque sapere, proprio come lo sanno gli artigiani, "che le sue opere non sono destinate ai musei". E tutto questo non toglie nulla – anzi – all’importanza del suo lavoro».
• Nel 2010 ha pubblicato un’autobiografia, Poteva andare peggio (Mondadori): «Da Venezia al Pci, dall’Eni al giornalismo. Un lungo racconto che inizia nei dorati anni Trenta e che incrocia personaggi drammatici come Mattei» (Eugenio Scalfari).
• «Imprevedibile la personalità di Mario Pirani perché mai tagliata con l’accetta, troppo ricca di complessità per essere schiacciata su un profilo univoco. Non a caso la splendida autobiografia Poteva andare peggio nel sottotitolo contiene un ossimoro — Mezzo secolo di ragionevoli illusioni — dove compare la razionalità illuministica che era un tratto della sua intelligenza ma anche l’indole visionaria di chi vuole cambiare il mondo. Un ottimismo della volontà che è andato incrinandosi negli ultimi decenni, lasciando spazio a un’analisi sempre più sconsolata e malinconica del suo Paese» (Simonetta Fiori) [cit].
• È morto a 89 anni (la notte di sabato 18 aprile 2015): «Ha lavorato fino al mese scorso, preoccupandosi di non far mancare al giornale la sua rubrica del lunedì, Linea di confine» [Fiori, Rep 18/4/2015].
• «Conversare con Pirani era un piacere fecondo e faticoso, bisognava prepararsi, non abbandonarsi alle risposte semplici, quelle che negava a se stesso cercando sempre la spiegazione in più che riusciva spesso a dare e che già ora manca anche a noi» (Cesare Martinetti) [cit.].