31 maggio 2012
Tags : Andrea G. Pinketts
Biografia di Andrea G. Pinketts
• (Andrea Giovanni Pinchetti) Milano 12 agosto 1960. Scrittore. Giornalista. Tra i suoi libri: Lazzaro vieni fuori (Feltrinelli, 1992), Il vizio dell’agnello (Feltrinelli, 1994), Il senso della frase (Feltrinelli, 1995), Il conto dell’ultima cena (Mondadori, 1998), L’assenza dell’assenzio (Mondadori, 1999), Il dente del pregiudizio (Mondadori, 2000), Fuggevole Turchese (Mondadori, 2001), Depilando Pilar (Mondadori, 2011), Ho una tresca con la tipa della vasca (Mondadori, 2014). Ha vinto tre edizioni (’84, ’89, ’90) del Mystfest per il miglior racconto. Prima di diventare scrittore è stato fotomodello (nel 1986 uomo della campagna pubblicitaria Armani), istruttore di arti marziali, giornalista investigativo (per il settimanale Esquire).
• Dal 2011 è tra i conduttori del programma tv Mistero (Italia 1): «Fra i sei personaggi, il più simpatico è Andrea Pinketts che si avventura in ardite costruzioni sintattiche stupendamente prive di senso» (Aldo Grasso).
• «Godo da matti a occuparmi di cose surreali, improbabili, incredibili. La trasmissione Mistero sembra fatta per me. Per il resto vado in tv come vado al bar: faccio il disturbatore. E mi diverto» [Grazia 25/11/2011].
• «Opinionista è una parola che mi ripugna. La considero un’offesa personale. È vero, vado in tv a esprimere opinioni, ma non faccio parte del branco degli ex tronisti e dei funamboli della vacuità che rientrano in questa effimera categoria» [Cds 1/6/2012].
• Nel 2006 è stato premiato con la Medaglia d’onore dell’Assemblée Nationale de la Rèpublique Française per meriti artistici e culturali. «Là hanno un’attenzione maggiore verso la cultura, soprattutto verso il noir, un buco in cui puoi infilare qualsiasi cosa».
• «Parto sempre dai titoli, lì c’è il germe delle storie».
• «Raymond Chandler sciacquato nei Navigli» (Antonio Bozzo). «Quando la modella Terry Broom spara, ci si accorge che la città è passata attraverso cambiamenti epocali. La Milano da bere ti può andare anche di traverso: se Scerbanenco raccontava l’altra faccia della città anni Sessanta, io ho cominciato raccontando l’altra faccia della città anni Ottanta, con una specie di trasversalità, dai salotti ai duri del Giambellino» (a Ida Bozzi).
• Ha scritto del suo quartiere: «L’adolescenza al Giambellino è stata bella. Nonostante fossi un pesce fuor d’acqua. Mi sono dovuto trasformare nel più balordo dei balordi. Mi ricordo i bar e le bische degli anni Settanta. Se una volta era il Far West, adesso sembra un paese straniero. I bar si sono trasformati in kebab e phone center. L’immigrazione ha trasformato completamente il Giambellino. Deve essere vivacizzato. Si potrebbe riesumare il vecchio cinema Cittanova. E, poi, più luci. Perché, di sera, se non fossi uno scrittore di noir, avrei veramente paura».
• Per il Capodanno 2007 si rese disponibile in un locale milanese per farsi baciare fino al mattino.
• Contrario alle autopubblicazioni: «È come stamparsi un biglietto da visita. In Italia chiunque pensa di poter diventare la nuova Bridget Jones. Ovviamente ci sono delle eccezioni. Il mio ultimo lavoro, “La Fiaba di Bernadette che non ha visto la Madonna”, è uscito con una casa editrice che dà spazio anche agli emergenti, chiedendo loro un contributo. Ma c’è comunque una selezione delle opere. Non pubblicherebbero mai il primo psicopatico, o le poesie della maestrina novantenne» [Sta 24/6/2008].
• «L’editore, generalmente, è il peggior nemico dell’autore. Lo spreme come un limone finché gli serve, poi lo abbandona. Tuttavia, in alcuni casi, possono crearsi delle solide amicizie. Ho pubblicato molti libri con Feltrinelli e tutti gli anni, alla vigilia di Natale, vado alla loro sede milanese con un panettone e una bottiglia di spumante; è una sorta di rito. Con Mondadori non è stato possibile. Alla Mondadori ogni anno c’è gente nuova e non si possono stabilire amicizie. In realtà non ho mai accettato alcun tipo di editing per i miei romanzi. Una volta volevano tagliarmi cento pagine dal libro Il conto dell’ultima cena. Sergio Altieri, editor della Mondadori, era stato incaricato di affettare il romanzo come si fa a fette un prosciutto. Dopo cinque riunioni non ne eravamo venuti ancora a capo. Allora dissi che potevamo farne anche cento di riunioni ma il libro doveva rimanere così e alla fine mi dettero ragione» [www.thefreak.it 16/11/2012].
• «Il gusto della battuta può avere la meglio sulla linearità della frase. Per costruirsi uno stile chiaramente distinguibile, Pinketts punta il tutto per tutto: prendere o lasciare. Noi, personalmente, prendiamo. L’indole irriverente dello scrittore milanese gli ha alienato le simpatie della critica militante e di una parte dell’intellighenzia snob, che lo archivia come un battutaro. Magari avendolo letto poco o per nulla e senza dunque accorgersi della sua vena poetica, ancorché celata sotto una scorza di durezza e cinismo. Per tornare infine alla parola scritta, l’autore ne dà una definizione calzante per sé stesso: “Le parole sono divinità pagane che fingono di assecondarvi per non perdere la fede e la fiducia che avete in loro”» (Paolo Bianchi) [Lib 11/6/2014].
• «Scrivo a penna e la voglio di lusso, per dar valore al mio lavoro. Perché così entro nel mito. E poi ogni stilografica ha un nome di scrittore: c’è la Hemingway, la Dickinson, l’Agatha Christie… Sono i miei suggeritori. Comincio a scrivere pensando: chissà il vecchio Ernest che cosa ha in serbo per me oggi? Cosa uscirà da ’sta penna?» [Grazia, cit.].
• «Scrivere implica una sorta di innatismo cartesiano, è qualcosa che senti di dover fare, così come dipingere o fare musica. C’è gente che nasce con questo desiderio dentro. È quasi un dovere. Non sai se riuscirai, ma tenti. La pena è rimanere insoddisfatti per la vita intera. Mi fanno molta tenerezza i pittori della domenica, quelli che vedi nei mercatini, quelli che disegnano paesaggi tristi. È una risposta al fallimento delle proprie ambizioni. Non tutti i pittori espongono alle mostre, e non tutti gli scrittori vengono pubblicati. Mi viene in mente un libro di George Orwell. È molto importante per me. S’intitola Fiorirà l’aspidistra. L’aspidistra era una pianta da appartamento e d’ufficio molto in uso in Inghilterra negli anni cinquanta. Il protagonista del romanzo è un poeta e deve decidere se accettare un lavoro d’ufficio o continuare a seguire il proprio obiettivo. È lo stesso tema che riprendo con la storia di Lazzaro. Tutto si fonda sul contrasto tra aspirazione, talento e vita di tutti i giorni. Se il protagonista vedrà fiorire la pianta di aspidistra vedrà allo stesso tempo sfiorire i propri sogni. Lessi questo libro a dodici anni e dal quel momento capii che non avrei mai visto fiorire un’aspidistra»» [www.thefreak.it cit.].
• Non sente la mancanza di moglie e figli perché detesta i bambini. «Proprio non li sopporto. C’è un’età delle femmine, fra gli 8 e i 12 anni, che mi è particolarmente odiosa. Hanno una vocetta…» [Grazia, cit.].
• Se dovesse avere la bacchetta magica il primo desiderio che esaudirebbe sarebbe inevitabilmente l’immortalità di sua madre. «Vedo mia madre tutti i giorni, abbiamo un rapporto estremamente conflittuale, ma l’idea della mancanza di mia madre sarebbe veramente devastante» [www.youtube.it 28/1/2013].
• «Sono un fortissimo bevitore, mio nonno era irlandese, perché si sbronzi un irlandese ci vogliono dieci giorni di un uomo comune. Inoltre appartengo a una setta massonica, massonica del gusto, si chiamano I guardiani della Nona porta. Ci riuniamo una volta all’anno, in città diverse, e le nostre fonti di aggregazione sono il fumo del sigaro, la degustazione del rum, l’arte di annodarsi la cravatta, quindi è una massoneria dell’egotismo» [www.youtube.it cit.].