31 maggio 2012
Tags : Gaetano Pesce
Biografia di Gaetano Pesce
• La Spezia 1939. Architetto. Designer.
• «Non sopporto l’aspetto decorativo del design, l’architettura che omologa i luoghi e i musei noiosi».
• «Uno dei più grandi designer e architetti dei nostri tempi. A modo suo, ovviamente. Sostenitore dell’imperfezione, del disordine, della contaminazione, dell’antigrazioso, della dismisura, del malfatto, Pesce – che vive dal 1983 a New York – è stato celebrato da una personale al Beaubourg nel 1996 ed è stato uno dei protagonisti della storica mostra The New Domestic Landscape al Moma nel 1972. Ha realizzato grattacieli a Manhattan e San Paolo, ha creato facendo ricorso soprattutto alla plastica alcuni degli oggetti più famosi e singolari degli ultimi trent’anni: il tavolo Sansone e le sedie Dalila, la poltrona Up5, i vasi Amazonia, il tavolo Golgota, le poltrone I Feltri, tutti accomunati dal fatto paradossale di essere “unici” ma anche prodotti in serie...» (Massimo Di Forti).
• «La vera architettura è interrogazione filosofica, è l’arte più importante perché contiene tutto: musica, movimento, arte figurativa, economia, tecnologia, politica. Ma oggi è rarissima, prevalgono i mestieranti ignoranti dell’edilizia, che sfornano torte alla moda. Oggi l’arte non esiste, la creatività di Leonardo o Paolo Uccello si è trasferita nella moda e nel design. Giorgio Armani equivale a un artista rinascimentale. Il mio dubbio, impopolare, è che questa devastazione rappresenti la nostra epoca, sia un documento del gusto: fra due o tre secoli sarà questo il patrimonio, dunque non va distrutto. Come in Caro diario di Nanni Moretti anche le periferie orrende possono essere viste non solo come pattumiere, avere una dimensione poetica» (a Giovanna Zucconi).
• «“Ho sempre avuto da quando mi sono laureato (Architettura, a Venezia nel 1959) un luogo dove mettere le mani in pasta. Non serve studiare la teoria se non si provano mai le cose. La mia esperienza dice che quando si ha un’idea bisogna metterla in pratica, perché le mani quando lavorano vedono aspetti che la mente non aveva previsto. Nel design è un po’ come in cucina. Io vivo a New York dal 1982 e il mio atelier non è il classico studio di architetti. Siamo in 12 e tutti lavoriamo sul progetto e sulla sua realizzazione, ricercando e sperimentando nell’enorme laboratorio adiacente allo studio. Nell’architettura l’ambiente è molto conservatore. Sono tali gli architetti, anche quelli più all’avanguardia. Si continuano a costruire edifici belli ma non si fanno studi sull’evoluzione dell’abitare, del lavorare, del pregare. Certo Frank O. Gehry con il Guggenheim di Bilbao ha dato un’identità a una città ora famosa in tutto il mondo. Ma perché Gehry deve trasportare quelle stesse forme e quei materiali in altri luoghi? Perché deve procedere con questo modo globalizzante di fare i progetti? Insomma, voglio dire che non si può ancora usare una geometria astratta che comunica al mondo solo soluzioni formali. E questo vale anche per Renzo Piano o per Jean Nouvel. Per quanto riguarda il design, invece, la ricerca e la sperimentazione sono ancora molto vive e promosse soprattutto dalle aziende italiane, le più importanti del pianeta. Anzi bisogna prendere atto ed essere orgogliosi del fatto che il design italiano è unico al mondo» (ad Antonella Matarrese).