31 maggio 2012
Tags : Tullio Pericoli
Biografia di Tullio Pericoli
• Colli del Tronto (Ascoli Piceno) 2 ottobre 1936. Pittore. Illustratore. Disegnatore. Vignettista. «Io mi sono sempre avvicinato alla pittura con passi da ladro».
• «Ho imparato a disegnare prima di tutto da Ernesto Ercolani, pittore di Ascoli, direttore della Pinacoteca della città. Andavo da lui il pomeriggio e lui mi insegnava. Dovevo copiare gessi e, cosa ben più difficile per via dei riflessi, bronzi. Ercolani mi lodava, mi incoraggiava e, soprattutto, non mi perdonava. “Non ti pare che il collo vada più piegato, mica tanto, uno-due centimetri?”. Il disegno magari era finito, ma per via della testa che andava posizionata in modo esattissimo (e non c’era scampo) dovevo ricominciare daccapo. Tremendo e meraviglioso. Ero così perso in quei pomeriggi che mi bocciarono due volte, in prima e in seconda liceo, e mio padre andò a dirgli di lasciarmi perdere. Ma io non lasciai perdere. Ci andavo di nascosto. Del resto come farne a meno? È lui che mi ha insegnato a guardare e a vedere. Poi c’è stata un’esperienza molto singolare. In Ascoli a quell’epoca, il 1955-1956, c’erano le pagine locali di due quotidiani, Il Messaggero e Il Resto del Carlino. Il Resto del Carlino vendeva settecento copie e Il Messaggero trecento. In tutto mille. Da Roma chiamarono un bravo giornalista ascolano, Carlo Paci, e gli diedero carta bianca, purché recuperasse lo svantaggio. E tra le tante cose che gli vennero in mente ci fu quella dei cosiddetti “ritratti alla città”, cioè Carlo Paci mi incaricò di fare il ritratto agli ascolani in qualche modo in vista. Ogni giorno Il Messaggero pubblicava in fondo alla pagina una striscia suddivisa in quindici rettangoli e in ogni rettangolo c’era un profilo. Si procedeva per gruppi. Per esempio, oggi facciamo i camerieri, domani quelli della Cassa di risparmio. Avevo mezz’ora di tempo. Paci telefonava, diceva: guardate, domani verso le tre viene Pericoli, per favore dategli una mezz’oretta... I quindici prescelti si sedevano di fronte a me, stavano in posa due minuti, io schizzavo il profilo e via. Se non li pigliavi erano guai, perché la seduta si svolgeva davanti a tutti gli altri e non sopportavo di fare figuracce. In questo modo imparai a pigliare le facce. In ogni faccia c’è un particolare che la caratterizza. Se lo prendi, puoi fare del viso tutto quello che vuoi. Mettergli un naso finto, tre orecchie, baffi, barba. Non importa, la faccia è quella e quella resterà. A quell’epoca studiavo Legge come aveva voluto mio padre e col lavoro per Il Messaggero lo aiutavo a pagarmi l’università a Urbino. Tanto contrario al disegno non era più. Purché, naturalmente, facessi l’avvocato. Lui era segretario comunale. Segretario comunale di Colli del Tronto, provincia di Ascoli Piceno. In effetti, non mi si aprivano che due carriere: o avvocato o segretario comunale in un comune, si sperava, un po’ più grande di Colli del Tronto. Questo nonostante a casa mia vedessero che ero bravo a disegnare. Mia madre dice che disegnavo già prima di parlare. Ma che quella potesse diventare una carriera o una strada chi poteva crederci? Da bambino poi disegnavo tutto il contrario degli altri bambini, che con la matita rappresentavano ogni sorta di fantasticheria. Io invece disegnavo come uno che copia, cercavo di fare le foglie e i fiori come sono. Cercavo di imparare a capire la forma di una foglia o di un fiore e disegnarli... Insomma, mancavano quattro esami alla laurea e mi dissi: qui, se mi laureo, è finita. Mollai tutto e scappai a Roma. Avevo fatto una mostra ad Ascoli ed era venuta una giornalista del New York Times. Vista la mostra mi prese da parte: “Ah, ma quanto sei bravo, cosa te ne stai a fare in questo buco, devi assolutamente andartene in una grande città”. E mi diede il biglietto da visita di un suo collega, il corrispondente romano di Time. Se vieni a Roma, disse, vai da lui. Io venni a Roma, andai da lui, poi all’Espresso. All’Espresso guardavano e dicevano: non c’è male, non c’è male. E dopo questo “non c’è male” non succedeva niente. Decisi di ripartire, abbastanza deluso, ma un giornalista, non mi ricordo più chi, mi disse: manda un disegno piccolo a Zavattini, sai Zavattini raccoglie i mini-quadri, tu fagli un 6x6, chissà, magari risponde... Feci questo 6x6 e glielo mandai. Zavattini rispose subito: vieni a Roma a trovarmi. Presi il pullman e tornai a Roma con la mia cartella. Zavattini vide. Esclamava: “Eh, ma che bravo! Eh, ma tu sei un artista! ma che Legge e Legge! smetti subito di fare Legge, sai”. Poi disse: tu devi andare a Milano. Detto fatto, mi fece un biglietto di presentazione per Giancarlo Fusco. Io avevo 90 mila lire in tasca. Con questi soldi e il biglietto andai a Milano Era il 1961. Fusco mi fece perdere un sacco di tempo. Ci si divertiva, si usciva la sera, ma di presentarmi a qualcuno non se ne parlava. Finalmente una notte, era mezzanotte passata, dice: beh, andiamo da Rozzoni. Rozzoni era il vicedirettore del Giorno. Pure lui disse che le cose che facevo non erano male. E mi fece cominciare. Con un’illustrazione per una storia di gangster scritta da Fusco. Era una cosa lontana dal mio gusto. Però... Feci qualcosa di più congeniale quando dovetti illustrare “I racconti della domenica”. C’erano le prime Cosmicomiche di Calvino, racconti di Pasolini, Bassani, Primo Levi e tutti gli altri che allora scrivevano su quel magnifico quotidiano. Mentre disegnavo dipingevo anche... ma è roba di cui forse non si dovrebbe parlare. Pittura materica, fatta con degli impasti e colori spessi così. Con lo spessore della pittura parlavo di rapporti con la terra...».
• «Pericoli considera fondamentale l’anno 1985, in cui Giorgio Soavi e l’Olivetti lo incaricarono di illustrare un libro. Lui scelse Robinson Crusoe. Ma fece una ricerca che andò oltre il libro e che fu raccolta in una ampia mostra al Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano. Qui i due Io dell’artista, quello che disegnava e quello che dipingeva, si incontrarono per la prima volta e si misero all’opera insieme. Il disegnatore prese subito a lavorare su Robinson, il pittore sull’isola. Presto i due Pericoli, che fino a quel momento s’erano ignorati e a mala pena sopportati, diedero corso a scambi ed effusioni. L’intesa s’è fatta da allora sempre più stretta. Chi ormai può più distinguere il disegnatore dal pittore? Intanto un frutto speciale di quell’amore fu proprio l’isola, effigiata in forma di mostruoso animale. Pericoli voleva fare qualcosa di strano, di mai visto. Solo molti anni dopo scoprì che l’inconcepibile mondo di Robinson e di Venerdì non era altro che il monte dell’Ascensione, come si vede ad Ascoli dalla finestra dell’amico Mario Scatasta. Quando uno ricomincia a tirar fuori roba dell’infanzia senza rendersene conto, non è segno di una qualche felicità raggiunta?» (Giorgio Dell’Arti).
• Da parecchi anni ritrae le colline del suo paesaggio marchigiano. «Ritrae i segni della terra, la scrittura del tempo opera dell’uomo e dei suoi attrezzi. Una terra disegnata, scolpita, giorno per giorno, dal lavoro dell’uomo, da secoli» (Marco Belpoliti).
• «Cineasta involontario, Pericoli tratta ogni tavola come un fotogramma, che accosta ad altri fotogrammi. Sovente, indulge in lunghi piani sequenza. Adotta calibrati montaggi, oscillando tra il bianco e nero e il colore. Senza temere stacchi ed elisioni, si sposta dalle morbide pianure dell’Italia centrale ai concitati scenari di metropoli come New York. Ama divagare. In alcuni momenti, sembra “girare” al rallentatore. In altri momenti, insegue le riprese sintetiche e il colpo d?occhio. In altri momenti ancora, si abbandona a torsioni e ad attraversamenti» (Vincenzo Trione). (Corriere della Sera 2/1/2014).
• Ha raccolto molte delle sue opere in libri. Tra questi: I ritratti (Adelphi, 2002, dedicato a Carlo Paci), L’anima del volto (Bompiani, 2005), Attraverso l’albero (Adelphi, 2012), I paesaggi (Adelphi, 2013), Pensieri della mano (Adelphi, 2014). Ha disegnto scene e costumi di L’elisir d’amore di Donizetti (per l’Opernhaus di Zurigo, 1995, e per il Teatro alla Scala, 1998) e Il turco in Italia di Rossini (ancora per l’Opernhaus di Zurigo, 2002).
• Con Emanuele Pirella è stato l’autore della mitica striscia satirica Fulvia, il sabato su Repubblica: «Ogni epoca ha la propria Madame Verdurin e Tullio Pericoli (disegni) ed Emanuele Pirella (testi) ci hanno gratificato della nostra Madame nella persona di Fulvia che inesorabilmente ogni sabato sera raduna tutti quelli che, quanto ad intellettualità, contano qualcosa e credono di contare di più, quelli che non contano nulla, ma si comportano come se contassero, quelli che forse hanno contato, ma non contano da un pezzo e cominciano addirittura a sospettare di non aver contato mai» (Oreste del Buono).
• Ha anche affrescato la sede della Garzanti in via Senato a Milano.
• Il figlio Matteo (Milano 1968) fa con successo lo stesso mestiere del padre.