31 maggio 2012
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Biografia di Lorenzo Pellicioli
• Alzano Lombardo (Bergamo) 29 luglio 1951. Manager. Amministratore delegato della De Agostini (dal 2005), presidente (2006) e amministratore delegato (2007) della Lottomatica. Ex ad di Seat-Pagine Gialle (1997-2001). «Sulla carta stampata lei è apocalittico o integrato? “Apocalittico. Non ho il minimo dubbio che non ci sia una lunga vita per i quotidiani”».
• Primogenito di Luigi e Maria Teresa, iscritto alla gioventù liberale, studi all’istituto tecnico Paleocapa, iniziò come giornalista al Giornale di Bergamo (per due terzi dell’Unione industriali, per un terzo di Carlo Pesenti). Tornato dal militare, nel 1978 passò a Bergamo tv, emittente della Popolare di Bergamo. «All’inizio degli anni Ottanta Pellicioli, direttore dei programmi, è un trentenne in carriera, pronto ad aspettare l’occasione giusta per salire sul tram del successo. Questa arriva quando la Manzoni, allora nell’orbita di Flaminio Piccoli, acquista l’emittente bergamasca. La tv privata è ancora in fasce o poco più. Ma ha davanti a sé spazi infiniti, altro che la carta stampata. Pellicioli fa allora il primo, decisivo, degli incontri che contano. Quello con Luca di Montezemolo che lo porta alla Publikompass, ammiraglia della pubblicità Fiat, sezione tv. Sono gli anni della guerra per il controllo dell’etere. Pellicioli guida la squadra di Italia1, allora di Rusconi. Sembra un grande affare, e per la Fiat lo è. Per Rusconi meno. Quando l’editore alza bandiera bianca, sembra fatta: le truppe dell’Avvocato sbarcheranno nelle tv private. L’affare lo conclude Luca di Montezemolo, Gianni e Umberto sono d’accordo, Luigi Gabetti pure. Ma Cesare Romiti dice no. E l’affare salta. Montezemolo emigra in Cinzano, lui, il fedele di Alzano Lombardo, sta per seguirlo quando Romiti gli manda a dire che per lui ha altri programmi. E così Pellicioli finisce in Mkt, società al 51 per cento Fiat, il resto di Mondadori, che muove i primi passi nel campo delle sponsorizzazioni. Qui, ecco il secondo incontro fatale: Leonardo Mondadori. I due s’intendono di pelle, così Lorenzo l’irrequieto fa le valigie alla volta di Segrate. “Mi bastarono 15 giorni – dirà in seguito – per capire che Rete4 stava per mandare a picco la casa editrice”. La morale? Pellicioli organizza una campagna degna di Rommel: finge una grande offensiva per risanare l’azienda. In realtà prepara il terreno alla grande ritirata sparando le ultime cartucce (sconti a raffica) che gonfiano il fatturato e complicano la vita ai concorrenti. Tempo quattro mesi e la tv di Segrate finisce nelle mani di Silvio Berlusconi, con la mediazione di Enrico Cuccia. Pellicioli non ha ancora 34 anni, ma è già un boss. All’apparenza è invincibile, in realtà, quando oserà toccare i fili della pubblicità unificando le varie concessionarie del polo Mondadori-L’Espresso (era diventato intanto amministratore delegato della Manzoni, la concessionaria di pubblicità del gruppo Espresso - ndr), qualcosa si sblocca. Alla fine degli anni Ottanta, l’ex ragazzo d’oro della pubblicità si trova attaccato da tutte le parti: da Berlusconi, nuovo socio di Segrate; ma anche dagli “amici” dell’Espresso. Ci vogliono spalle solide per superare un momento del genere: nel giro di pochi anni Pellicioli ha detto no a Romiti (uno che non dimentica certi affronti), patisce l’ostilità dichiarata di Berlusconi (che non digerisce i quattrini sprecati nella guerra del dumping tv) e non può contare sulla solidarietà del gruppo Cir. Non resta che far le valigie e cambiar vita: dalla pubblicità alle navi di Costa Crociere. Bella mossa, sia perché gli permette di varcar l’Oceano e di farsi dimenticare per un po’ (tecnica preziosa, da tenere a mente). Sia perché, cosa che non guasta, Pellicioli ha lo stipendio in dollari proprio mentre la lira va in mille pezzi. Tutto finito? No, il richiamo della foresta si fa sentire ancora. “Già dal 1993 – ricorderà – quando mi capitava di discutere con il mio amico Phil Cuneo gli dicevo che in Italia c’era un solo gruppo di pubblicità per cui valeva la pena lavorare: la Seat. ‘Si vede che non sai che stipendi hanno nell’area pubblica, mi rispondeva’”. Ma il pubblico, negli anni della grande rincorsa all’Europa, sta per passare di moda. Nel 1996 Romano Prodi e Carlo Azeglio Ciampi decidono di mettere in cantiere la privatizzazione di Seat. Cuneo telefona a Pellicioli: “Se ci stai a far l’amministratore delegato, mi metto a cercare i soldi”. La risposta è quasi immediata» (Ugo Bertone).
• «In pochi si sarebbero aspettati che una delle prime privatizzazioni del mercato italiano in soli quattro anni si trasformasse nel più profittevole leveraged buy out della storia recente. Complice la bolla finanziaria che gonfiò a dismisura le quotazioni di Borsa della Seat: nella famosa fusione con Tin.it, scorporata per l’occasione dalla Telecom gestione Roberto Colaninno, nel febbraio 2000 la società che edita le Pagine Gialle è stata valutata più di 20 miliardi di euro. E quando per la Seat si trattò di acquistare la maggioranza del portale Virgilio proprio dalla De Agostini, Pellicioli non esitò a valutare la società la stratosferica cifra di 2,6 miliardi di euro. Un record mai più toccato in seguito. Erano i tempi in cui la Seat in Borsa valeva più dell’Enel e Pellicioli guardava dall’alto in basso Franco Tatò, all’epoca amministratore delegato del gruppo elettrico. Alla fine del processo la vendita alla Telecom fruttò a Pellicioli un incasso complessivo pari a 170 miliardi di lire (esattamente 168 - ndr), che passò alla storia come la prima mega stock option degli anni Duemila. Poi la bolla comincia a sgonfiarsi e l’11 settembre 2001 Pellicioli esce di scena, a causa dell’ingresso della Pirelli nell’azionariato del gruppo Olivetti-Telecom che segna il passaggio di testimone dalla gestione Colaninno a quella di Marco Tronchetti Provera» (Giovanni Pons).
• Con lui tramontò anche l’idea di un terzo polo televisivo, che si stava costruendo intorno a La7: era stata la stessa Seat infatti ad acquistare nel 2001 da Vittorio Cecchi Gori Telemontecarlo e a rilanciarla con il nuovo nome con l’obiettivo di competere con i grandi network nazionali. Non funzionò, o almeno non ce ne fu il tempo, perché con la cessione di Telecom Italia al gruppo Pirelli furono cambiati i vertici della rete e ridimensionata la linea editoriale.
• Alla vendita di Seat seguì anche un processo: Pellicioli (con Colaninno, Gnutti, Erede e altri otto indagati) ne è uscito assolto ma severamente censurato dal procuratore Bruno Tinti e dal pm Roberto Furlan: tutta l’operazione, passata anche attraverso un aumento di capitale, è stata condotta secondo i giudici in modo da fruttare il massimo per i soci di maggioranza e penalizzare gravemente i piccoli azionisti.
• Poco più di quattro anni nell’ombra, poi il ritorno in pista: nel novembre 2005 fu scelto come amministratore delegato della De Agostini, holding della famiglia Boroli-Drago. È lui «il manager che ha guidato il cambiamento da gruppo editoriale in conglomerata» con interessi che spaziano dalle lotterie ai media alla finanza: tra le operazioni, l’ingresso con una quota che pesa in Generali, l’acquisizione attraverso Lottomatica di GTech, colosso statunitense dei giochi online, e quelle di Magnolia (che detiene il format dell’ Isola dei famosi), della francese Marathon fino alla recente Opa sulla svedese Zodiak Television.
• «Lei un tempo comprava televisioni, oggi società di programmi. Com’è che si è convertito dal contenitore al contenuto? “Nessuna conversione, De Agostini ha seguito l’evoluzione del mercato. Nei media ci si muove esattamente all’incontrario di quello che è successo nel largo consumo, dove la marca ha ceduto la supremazia alla grande distribuzione (...) C’è molta affinità nel processo creativo necessario a produrre le dispense che vanno in edicola, piuttosto che i giochi delle slotmachine, o i format televisivi. Stiamo sempre facendo emergere bisogni latenti ed edonistici dei consumatori”» (da un’intervista di Paolo Madron).
• È stato l’artefice, in coppia con l’amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel, di due operazioni che hanno ridisegnato la governance di Generali. La prima, la presentazione della mozione di sfiducia nei confronti del presidente del gruppo Geronzi, nella primavera del 2011: «Una dopo l’altra, fino a notte profonda, i due hanno raccolto le firme necessarie per la defenestrazione dalla poltrona delle Generali di Cesare Geronzi, colto così di sorpresa da ritirarsi il mattino dopo, prima ancora di vedere il poker di Nagel e di Lorenzo da Alzano Lombardo» (Ugo Bertone) [Pan 26/4/2011]. La seconda, la richiesta di dimissioni dell’amministratore delegato Giovanni Perissinotto l’anno seguente.
• «Perfino Cesare Geronzi, lo teme. Lui, il banchiere coinvolto in Cirio e Parmalat, l’uomo che dalla tolda di comando della Banca di Roma finanziava mezza politica prima di passare alla presidenza delle Generali, lo descrive come l’uomo nero che tira le fila nel primo gruppo finanziario italiano. Quello che, se ce ne fosse l’occasione, potrebbe mettere le mani sul Mediobanca, senza manco esserne azionista. Massimo Mucchetti, ex giornalista e ora senatore del Pd che ha intervistato Geronzi nel libro Confiteor, concorda descrivendolo anche lui come il burattinaio della grande finanza italiana» (Lorenzo Dilena) [Pagina99 1/3/2014].
• Negli anni Settanta, politico in erba, fu mandato in tv da Valerio Zanone insieme a un compagno di partito. Fortebraccio gli dedicò un corsivo sull’Unità: «L’altra sera i liberali hanno mandato in video due bambini che per l’anagrafe si chiamano Lorenzo Pellicioli e Alberico Maiatico, ma in casa sono affettuosamente detti Mimmo e Mammolo...». Ha incorniciato quel ritaglio di giornale e lo tiene da sempre appeso su una parete del suo ufficio.
• Anni fa, quand’era in Mkt, «assunse una brillante signora che qualche giorno dopo scoprì di essere incinta: quando glielo comunicò lui propose di aprire una bottiglia di champagne e di brindare. E lei lo ripagò con presenza assidua fino all’ultimo giorno, con apertura delle acque in ufficio: “Ho capito subito che era in assoluta buona fede, che al momento dell’assunzione non lo sapeva. Credo che invece se uno lo sa debba essere trasparente. Ma credo anche che maternity – e paternity – living siano sacrosanti diritti in una società moderna”» (Maria Luisa Agnese).
• Cinque figli (suoi e della moglie Maria Rosa Fachinetti) che vivono e lavorano tra Stati Uniti, Francia e Spagna.
• Possiede una grande tenuta agricola (vigne e uliveto) a Saint-Rémy de Provence, dove vive con la moglie e due figlie e dove ha cominciato a produrre vino con l’etichetta Abbaye de Pierredon (nome scelto in onore di un’abbazia del XIII secolo il cui restauro è stato interamente finanziato dal manager bergamasco).