31 maggio 2012
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Biografia di Antonio Pelle
• San Luca (Reggio Calabria) 1 marzo 1932. ’Ndranghetista a capo della cosca omonima, alleata con i Nirta e i Romeo, prima che si scatenasse la faida di San Luca (vedi VOTTARI Francesco). Dal 95 ogni famiglia è tornata a fare affari per conto proprio. Secondo le dichiarazioni del pentito Francesco Foti (rese nel 99), in una delle riunioni annuali dei capi della ’ndrangheta, tenuta presso il Santuario della Madonna di Polsi, fu investito della carica massima di “capo crimine”.
• Detto “ Gambazza”, ma anche “ ‘u Vancheddu”, “ la Mamma” quando parlano di lui per non farsi capire.
• Inserito nell’elenco dei trenta latitanti più pericolosi ricercati dalla Direzione centrale della polizia criminale, è latitante dal 2000. Condannato in via definitiva a 26 anni di reclusione per associazione finalizzata al narcotraffico (il 23 giugno 2004). In pratica il maresciallo Spanò il 2 febbraio 1988 lo fotografò in compagnia di Giuseppe Morabito mentre entrava nel bar “Lyon” di Buccinasco, Milano, base operativa dei fratelli Rocco e Antonio Papalia, noti narcotrafficanti nel milanese. Qui incontrarono Antonio Papalia e Campostrini Amneris, moglie del trafficante Avamba Babiana, detto Manolo. Spanò fotografò Morabito, Papalia e la donna mentre uscivano insieme dal locale, e poco dopo il Papalia fu visto consegnare alla donna un pacchetto. Intanto altri carabinieri ascoltavano le telefonate e capivano che il pacchetto conteneva 240 milioni e che la Campostrini doveva portarlo al marito in Turchia per acquistare una grossa partita di droga. Secondo l’accusa si trattava di una delle tante operazioni di reinvestimento in droga dei proventi di sequestri di persona da parte del Morabito e del Pelle. Aggiungono i giudici: «Il Pelle, peraltro, non aveva fornito alcuna convincente spiegazione in relazione alla sua presenza nel citato locale sebbene il suo luogo di residenza fosse a migliaia di chilometri di distanza, mentre il suo legame con il Morabito era confermato dal fatto che il giorno successivo al citato episodio i due furono fermati a Condofuri, località della Calabria, a bordo di una vettura Alfa Romeo blindata». Colpito da ordinanza di custodia cautelare nel 2000, il Pelle si diede latitante, il suo avvocato provò a chiedere l’annullamento della sentenza di condanna per violazione del diritto di difesa, ma i giudici gli risposero che era stato regolarmente citato presso il suo domicilio, in contrada Ricciolio, dove la moglie «dichiarò che il marito si era da tempo allontanato per una ignota dimora, né seppe fornire elementi utili ai fini della individuazione di questa».
• Fu assolto definitivamente il 10 aprile 2002 dall’accusa di far parte dell’organo di vertice, Cosa Nuova, costituito dalla ’ndrangheta nel 91, su imitazione di Cosa Nostra. Motivazione dei giudici fondata sul «dato pacificamente acquisito dagli annali giudiziari, secondo cui ogni famiglia della ’ndrangheta aspira al pieno controllo del territorio su cui vive ed al monopolio di ogni attività che ivi si svolge» (come a dire che Cosa Nuova non ha mai avuto alcuna efficacia).
• Con la faida di San Luca (Pelle-Vottari contro Strangio-Nirta), non c’entra niente. Infatti, dopo la strage di Natale (25 dicembre 2006, muore Maria Strangio, di anni 33, uccisa al posto del marito, Giovanni Luca Nirta), ordinò alla figlia Maria, sposata con Vottari Francesco (accusato di essere il mandante della strage), di tornare a vivere nella casa paterna. «Un segnale che tutti hanno letto come una dichiarazione d’estraneità all’omicidio di Maria Strangio: esponendo una donna alla possibile vendetta ha voluto dire che lui non teme vendette, perché con la faida non c’entra. E se qualcuno avesse intenzione di andare a sparare in casa sua, aprirebbe un conto a parte e dovrebbe confrontarsi direttamente con lui» (Giovanni Bianconi). Tanto è vero che lui sapeva della strage di Duisburg (15 agosto 2007), commessa per vendicare quella di Natale, e non fece niente per fermarla. «Dicono che a Ntoni Gambazza, l’uomo di ’ndrangheta più importante a San Luca, gliel’avevano riferito. La voce che gira nelle case-covo a metà strada tra l’Aspromonte e lo Ionio racconta che il vecchio Ntoni, 75 anni, era stato informato. Insomma, sapeva che qualcuno avrebbe vendicato l’omicidio di Maria Strangio (…). Davanti al suo messaggero, il patriarca della mafia calabrese ha ascoltato e non ha risposto. Questo, i suoi sgherri ci tengono a farlo conoscere» (Fabrizio Gatti).
• Giovanni Strangio, il titolare del ristorante “Da Bruno” a Duisburg dove fu consumata la strage di ferragosto, alle 12,14 di quello stesso giorno chiamò al cellulare Achille Marmo, perché informasse Pelle. «G: “Oh.. Achi... cosa stai facendo? La Mamma è lì?”. A: “No, perché?... Cosa è successo?”. G: “Achi... la Mamma è lì?”. Achille: “No, ma perché?”. Giovanni: “Vai a dirglielo pe...” e inizia a piangere. A: “Che c’è?”. Giovanni: “È morto mio fratello, è morto mio nipote, è morto tuo fratello, sono morti tutti...”» (dall’ordinanza di fermo emessa il 30 agosto 2007 contro i quaranta ritenuti coinvolti nella faida, operazione “Fehida”, 500 uomini, tra poliziotti e carabinieri, ad assediare San Luca, questa volta non per fermare Gambazza).
• Il figlio Giuseppe fu ascoltato mentre parlava in carcere con il suocero Francesco Barbaro (capo della cosca di Platì, detenuto a Cerinola), dopo la strage di Natale: «Hanno fatto quello che hanno fatto, noi cristiani ci siamo tirati per la nostra parte. Si sono comportati male. Si sono comportati da pagliacci e da vigliacchi, se volete fare una cosa, prima avvertite a chi dovete avvertire a tutti quelli che erano là. No che vi mettete a tutti sotto i piedi. Che i cristiani se ne fregano di voi. Quella volta glielo abbiamo detto, noi non vogliamo sapere niente. Noi da una parte siamo in queste pianure e lavoriamo, siamo con gli animali con le cose. Non vogliamo sapere niente».
• Il 27 febbraio 2008 i carabinieri perquisirono la palazzina della sua famiglia, a Benestare, otto appartamenti e una stalla per le mucche, sorvegliati con una telecamera a circuito chiuso, con dispositivo di ripresa alimentato attraverso collegamento con rete pubblica. I vigili del fuoco per ore manovrarono ruspe, bob cat e martelli pneumatici, finché non individuarono tre bunker. Il primo (4x6), interrato sotto un garage, in cemento armato, accessibile attraverso un blocco di cemento (2x50), scorrevole su rotaie d’acciaio (dentro il letto rifatto e il frigo pieno); il secondo (3x3), dentro il primo, accessibile attraverso una botola sotto il letto; il terzo (2x3), all’interno della taverna al piano terra, accessibile attraverso una porta nascosta dietro il frigo dell’angolo cucina. Un telecomando consentiva di aprire ogni porta. Per gli investigatori i bunker erano «caldi», a dire che avevano appena ospitato qualcuno, secondo loro proprio Gambazza.
• Il 10 maggio 2008 furono colpiti da ordinanza di misura cautelare per associazione mafiosa il figlio Giuseppe, detto saccu iancu (custodia in carcere), e la figlia Maria (arresti domiciliari), accusata di aver fatto da messaggera e aver contribuito allo spostamento dei latitanti (operazione Zaleuco, un filone dell’inchiesta sulla faida di San Luca). (a cura di Paola Bellone).