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 2012  maggio 31 Giovedì calendario

Biografia di Marco Paolini

• Belluno 5 marzo 1956. Attore. Autore. Regista. Inizi negli anni Settanta, interprete del cosiddetto teatro civile. Ha raccolto il successo più grande con il monologo Il racconto del Vajont 1956/9 ottobre 1963, portato a teatro nel 1995 (Ubu per il teatro politico) e trasmesso in diretta televisiva su Raidue il 9 ottobre 1997 (tre milioni e mezzo di telespettatori, Oscar tv come miglior programma dell’anno). Ancora sul piccolo schermo il 30 ottobre 2007 con Il sergente su La7 (dal libro di Mario Rigoni Stern Il sergente nella neve, Einaudi ne ha fatto un dvd) e il 1° febbraio 2008 con Album d’aprile. «Sono un ibrido, i puristi del teatro mi rinfacciano di avere successo, di portare a teatro gente che prima non c’era mai stata: di essere nazionalpopolare. E un po’ ne soffro».
• Piccole parti al cinema (La lingua del Santo, A cavallo della tigre, entrambi di Carlo Mazzacurati), nel 2008 è in teatro con Miserabili. Io e Margaret Thatcher con i Mercanti di Liquore (ne hanno fatto anche un disco) e Song n. 32 (sul tema dell’acqua). «Mi piacerebbe essere considerato un mediatore culturale, se la definizione avesse ancora un senso». Nel 2011, trasmesso in diretta televisiva su La7, dall’ospedale psichiatrico Paolo Pini (un tempo, il manicomio di Milano) ha dato vita a Ausmerzen. Vite indegne di essere vissute, una rappresentazione dedicata alle teorie naziste sulla selezione della razza, meglio agli esperimenti di eugenetica condotti sulla pelle di malati psichici e portatori di handicap fra il 1934 e il 1945. Da ultimo visto in teatro con Quanto vale un uomo (2014): lo spettacolo, nato da un’idea di Andrea Camilleri, rappresenta la storia della trasvolata sull’artico del 1928 del Generale Umberto Nobile finita con un drammatico incidente.
• «Marco Paolini ci pone sempre di fronte a scelte radicali, estreme, quasi proponesse una cerimonia iniziatica. Le sue orazioni civili (che hanno fatto scuola) presuppongono però una condivisione rituale, un’immersione devota, speso in contrasto con i canoni televisivi» (Aldo Grasso) [Cds 28/1/2011].
• «Mio padre faceva il ferroviere, nella sua famiglia erano tutti rossi, tranne un fratello maggiore che era un alto prelato. Mia madre era cattolica. Non hanno mai cercato di farmi fare qualcosa, l’unica cosa che volevano era che studiassi per poter fare una vita migliore di quella che avevano fatto loro. Al teatro mi sono avvicinato a 16 anni, come conseguenza della politica, era una delle attività culturali di questo gruppuscolo di cui facevo parte (eravamo stati espulsi dall’oratorio proprio per la nostra attività “sovversiva”)».
• «Ero rosso. Allora si diceva extraparlamentare, anche se oggi il termine fa ridere. Forse perché gli extraparlamentari di allora sono già ex parlamentari».
• «Io ho fatto un solo provino in tutta la mia vita, quasi un omaggio affettuoso a Glauco Mauri che mi “bocciò” e aveva ragione: anziché portargli un monologo, gli raccontai una storia, e lui rimase interdetto ma mi fece lo stesso i complimenti. Per fortuna, in parallelo, senza scalzare l’edificio delle regole, s’affermava un’altra prospettiva del teatro, quello delle piazze, del “passare una sera assieme”, dei festival».
• «Ama le storie che hanno angoli segreti e contengono una misura di luce e una almeno doppia di furore. Come i suoi celebri Vajont, Ustica, Parlamento chimico, che raccontavano di una montagna inghiottita da un lago artificiale, di un aereo inghiottito dai radar, di una laguna blu inghiottita dal Petrolchimico di Marghera. Erano storie piene di vittime cancellate, di vivi dimenticati, di verità da risarcire, e di un narratore che dentro alla polvere delle parole, dentro alla luce teatrale dei fatti, sa farsi vittima e testimone, ferita e cicatrice, pianto, risata e profezia» (Pino Corrias).
• «Mi colpisce la contraddizione che l’accompagna: artista terragno e strutturalmente popolare, benché raffinatissimo e sottile» (Cristiano Gatti).
• «Non ho studiato da intellettuale. Non ho la stoffa. In Italia l’intellettuale è inteso come tuttologo. Uno Sgarbi. Io invece ho i miei limiti. Dopo Vajont, venivo chiamato dai giornali per dire la mia su tutti i disastri. Ricordo il periodo di Sarno. E io che rispondevo sinceramente così: magari ci vado, osservo, poi vi so dire. No, serve per stasera, mi dicevano. Così non se ne faceva niente».
• «Penso che gli attori ogni cinque anni dovrebbero essere chiamati da un ufficio di reclutamento. Tre mesi a fare prove in una grande caserma, il teatro, agli ordini di un sergente, il regista. Sarebbe la salvezza di tante solitudini bestiali che come me lavorano in proprio. Il mio sogno è fare la naia con un sergente come Toni Servillo».
• Grande appassionato di rugby (è il tema di Album d’aprile): «Mi ha sempre affascinato lo sforzo di questi uomini non rivolto alla palla, ma ad ammorbidire il fronte avversario. Sembrano dei mitocondri, quindici gregari e nessun capitano. Come in una tragedia greca, il coro è il protagonista».
• Viaggia in seconda classe, va a fare la spesa, sta in casa con la compagna (senza figli: «Un senso di colpa devastante»).