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 2012  maggio 31 Giovedì calendario

Biografia di Giulio Paolini

• Genova 5 novembre 1940. Pittore. Scultore. «Tutti i miei quadri sono qualcosa di più di quello che il quadro sembra essere». Protagonista dell’arte concettuale (l’idea è l’aspetto più importante del lavoro).
• «Erano gli anni Sessanta, proprio agli inizi e Giulio Paolini, genovese nella nebbia di Torino, girava per le strade in un paltò anni Cinquanta, reggendo una tela bianca che era già un quadro, un’opera “futura”. Già, pennelli, tavolozza, trementina, li aveva buttati nel Po a favore di cornici, masoniti, telai, fotografie, barattoli di vernice, cartoncini colorati, plexiglas, calchi di gesso. Perché Paolini voleva dipingere e “raccontare” la storia della pittura, la storia del dipingere e quella dei suoi materiali. C’erano le canzoni dei Beatles e in poesia e in letteratura nuove avanguardie. In pittura Fontana, Manzoni o Klein avevano dato, chi drammaticamente e chi ironicamente, una bella spallata all’idea di tela su cui dipingere, di quadro da appendere. Paolini, allora, era il più beatle dei pittori torinesi, un John Lennon “freddo” che si faceva fotografare sulle rotaie del tram di corso Re Umberto con la sua tela fra le braccia per dire che quella era un’opera. Eran tempi più allegri. Certo lo erano i suoi galleristi» (Nico Orengo).
• Ha preso a citare i classici attraverso la fotografia. Già nel 1967, l’opera Giovane che guarda Lorenzo Lotto, oggi famosa, non era altro che una riproduzione fotografica in bianco e nero di un particolare di un quadro del pittore cinquecentesco, riportata su tela emulsionata. Per esprimere il concetto che «l’opera guarda colui che la sta facendo» (a cura di Lauretta Colonnelli).
• «“Da giovane sono sempre stato un visitatore attento e devoto di mostre e musei. E poi, a Torino negli anni Sessanta c’era davvero un’offerta incredibile. Mi ricordo ancora una bellissima mostra sull’arte moderna tra Francia e Italia e una su Osvaldo Licini. Ma ho avuto anche la fortuna di essere stato un grande frequentatore dell’Einaudi, quella di Giulio Einaudi che faceva disegnare le copertine dei libri a Bruno Munari”. Eppure, aggiunge Paolini (nato a Genova nel 1940, ma praticamente da sempre torinese) “se la mia famiglia non mi avesse spinto a studiare grafica (mio padre era rappresentante di inchiostri), sarei ancora qui a dipingere dal vero” (quel divano e quelle sue due poltrone che hanno fatto da sfondo a tanti suoi lavori arrivano proprio dalla sua famiglia). Nessun rimpianto? “No, tutt’altro. Quella formazione mi ha dato più stimoli”. E oggi? “Ci sono troppe mostre, che senso ha esporre se oramai possono farlo tutti e dappertutto? La mia prima mostra ho dovuto sudarmela”. (…) Paolini il grande concettuale, l’artista che rinnega l’arte, dichiara di amare “Raffaello con la sua perfezione quasi rileccata, Las Meninas di Diego Velázquez (“un quadro unico”), certe Madonne del Bellini dove il Bambino tiene i piedi poggiati sulla balaustra (“un modo per annullare le distanze tra artista e spettatore”), l’Imbarco per Citera di Watteau (“un bel quadro, ma soprattutto mi piace l’idea di questi vacanzieri in partenza per il Paradiso”). E soprattutto Duchamp e de Chirico (“Il suo vero capolavoro è stata la sua vita”), che ha voluto ritrarre anche lui vicino al divano di famiglia, Tempus Tacendi (2012). Nessuno, invece, “tra i viventi”. Scusi, Hirst e le altre superstar delle aste? “Vittime del sistema”» (Stefano Bucci) [Cds 24/11/2013].
• Ultimo libro: L’autore che credeva di esistere (Johan & Levi, 2012).
• Fu amico dello scrittore Italo Calvino: «L’ho conosciuto, era un uomo silenzioso, che però ha anche amato il mio lavoro, scrivendo per me pagine bellissime».
• Non ama il cioccolato.