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 2012  maggio 31 Giovedì calendario

Biografia di Tommaso Padoa-Schioppa

• Belluno 23 luglio 1940 - Roma 18 dicembre 2010. Economista. Detto TPS. «Le tasse sono una cosa bellissima» (il 7 ottobre 2007 durante un’intervista con Lucia Annunziata su Raitre).
• Figlio di Fabio Padoa-Schioppa, che fu amministratore delegato delle Generali. Studi a Trieste, laurea in Economia alla Bocconi (1966), master all’Mit, comincia in Brennynkmeyer e poi passa in Banca d’Italia dove «è stato per venticinque anni il rivale di Fazio. Da sempre non si sopportavano, questo borghese di Belluno cortese, elegante, coltissimo, e il rustico self-made man ciociaro» (Stefano Lepri). Nel 1993, quando Ciampi lasciò la Banca d’Italia per darsi alla politica, erano tutti e due vicedirettori generali. Antonio Fazio, il nuovo governatore voluto da Scalfaro, gli negò la promozione a direttore generale, preferendogli Vincenzo Desario.
• È considerato uno dei padri dell’euro: fu lui a indicare nel 1982 la necessità dell’istituzione di una Banca Centrale Europea che avesse il governo di una moneta uguale per tutti gli stati aderenti. Nell’89 Delors si disse d’accordo e Padoa-Schioppa fu chiamato a far parte del Comitato esecutivo che avrebbe dovuto creare la nuova Banca centrale.
• Molto stimato da Ciampi che ne favorì le esperienze internazionali. Dal 1979 al 1983 è stato direttore generale per l’Economia e la Finanza dell’Unione europea. Nel 1997, sempre per volere di Ciampi, messo al timone della Consob. Dal 1998 al 2006 ha fatto parte del consiglio d’amministrazione della Bce.
• Maestri da lui indicati al Sole 24 Ore: per il pensiero economico Franco Modigliani, per la politica il socialista Jacques Delors.
• Ministro dell’Economia nel Prodi II (2006-2008). Un’esperienza molto travagliata. Appena insediato dichiarò che lo Stato doveva recuperare 40-50 miliardi (giugno 2006) e fece subito capire di voler tagliare gli statali (Nicola Rossi propose in quel momento di prepensionarne centomila assumendo ventimila giovani, i sindacati erano favorevoli al prepensionamento di 300 mila con l’assunzione di altrettanti precari). Nel Dpef annunciò tagli per 35 miliardi concentrati su sanità, pensioni, pubblico impiego ed enti locali, ridotti poi a 33,5 nonostante le entrate fiscali risultassero molto più alte del previsto (+10 miliardi, in quel momento: nessuno ha saputo spiegare davvero perché). Questi 33,5 miliardi si ottenevano soprattutto aumentando la pressione fiscale (veniva lasciata libertà di imposizione anche ai comuni) e adoperando invece una mano molto leggera sui tagli. Nella presentazione della legge si ammetteva che l’insieme di quei provvedimenti avrebbe depresso economicamente il Paese. L’Economist scrisse che da un economista che aveva lavorato alla Banca centrale non ci si sarebbe aspettati un pasticcio simile, Il Financial Times lo definì il peggior ministro d’Europa. Chiamparino voleva venire a Roma e consegnare le chiavi della città a Prodi affinché con i torinesi se la vedesse lui. Fitch e Standard and Poor peggiorarono il loro rating sul debito italiano dopo aver letto il documento. Scalfari lo difendeva a spada tratta, mentre la sua ex moglie Fiorella Kostoris lo demoliva sul Sole 24 Ore e la sua compagna del momento, la giornalista Barbara Spinelli, si schierava sulla Stampa con lui, riuscendo nei suoi articoli a non nominarlo mai.
• Ha tentato di innalzare l’età pensionabile, ma ha poi dovuto subire - al termine di una battaglia serrata con i sindacati e con l’ala sinistra del governo - il sistema delle quote (vedi PRODI Romano).
• Nella Finanziaria 2008, molto più leggera della precedente, stanziò 991 euro a favore di quei giovani che vivevano ancora in casa con i genitori: avrebbero ricevuto il finanziamento se si fossero decisi ad abitar da soli. Davanti ai deputati e ai senatori delle commissioni Bilancio descrisse quel provvedimento come destinato ai “bamboccioni” e quel termine ebbe subito fortuna. Intervistato, spiegò: «Non ho usato il termine “bamboccioni” a caso» e aggiunse di aver voluto criticare non tanto i figli, quanto i genitori, che sono poi i cosiddetti ragazzi del 68: «La prima generazione del benessere è stata in generale una generazione di educatori permissivi e protettivi. E i trentenni di oggi sono vittime di questa situazione. Negli anni Sessanta del secolo scorso il lavoro si trovava, mentre oggi è molto più difficile. Quindi i trentenni di oggi si trovano in una difficoltà di cui non hanno colpa. Hanno subìto il debito pubblico e la globalizzazione. Ma vorrei che questi ragazzi capissero che soltanto una loro reazione ed una maggiore consapevolezza dei problemi possono rompere il guscio in cui sono imprigionati. Solo loro possono fare in modo di non essere più percepiti, per quanto ingiustamente, come inesorabilmente legati alla famiglia dei genitori».
• Della mancata privatizzazione di Alitalia, Prodi porta una responsabilità maggiore di quella di Padoa-Schioppa. A gennaio 97, quando, su richiesta del governo, undici soggetti avevano manifestato interesse all’acquisto (tra questi: fondi americani, Carlo De Benedetti, i russi dell’Aeroflot e persino una specie di consorzio formato da un gruppo di piloti della stessa Alitalia), la compagnia perdeva un milione al giorno e dal 1987 non aveva chiuso in attivo che due bilanci (1987 e 1998). Il titolo, in vent’anni, s’era deprezzato del 93 per cento. Il Ministero del Tesoro possedeva il 49 per cento dell’azienda e Prodi voleva dar via almeno il 30 sperando di incassare 300 milioni. Epifani, prima ancora che cominciassero i giochi, annunciò che «chi compra Alitalia non deve farlo per soldi». Man mano che le regole dell’asta venivano comunicate, però, i concorrenti si ritiravano e a metà luglio - la data entro la quale Padoa-Schioppa s’era impegnato a vendere - andò via anche l’ultimo, cioè Carlo Toto: nel contratto che gli era stato mostrato stava scritto tra l’altro che non avrebbe potuto sottrarsi al controllo dei sindacati interni (nove sigle). Mentre i sindacati continuavano ciclicamente a scioperare o ad applicare rigidamente il contratto di lavoro e Malpensa cominciava a sospendere i voli intercontinentali anche per venire incontro ai desideri non espliciti (ma risaputi) di Air France, Prodi e Padoa-Schioppa decidevano di riaprire le trattative con Air France ed Air One. Air France era la più grande compagnia di aeromobili al mondo quanto a redditività e la terza per passeggeri/chilometro. Aveva realizzato utili (2006) per 891 milioni: questa somma - cioè l’importo dei soli utili - era del 50 per cento superiore a tutto il giro d’affari di Air One, che fatturava appena 600 milioni l’anno (dato 2006) e aveva 600 milioni di debiti. In due parole: Air One era una piccola compagnia locale, che arrancava per far quadrare i conti. Banca Intesa - come si capì poi - stava dietro a Toto e sosteneva le sue richieste soprattutto per recuperare un credito non semplice. Poco prima di Natale si seppe che Air France offriva 35 centesimi ad azione e Air One uno. Che Air France voleva investire 6,5 miliardi entro il 2015 e Air One 4,3. Che Air France avrebbe capitalizzato subito l’azienda con 1 miliardo e 700 milioni ed Air One con 1 miliardo e mezzo. Che Air France avrebbe tagliato 2.300 dipendenti ed Air One 4.300. Neanche paragonabili poi le due aziende quanto a solidità. Il governo fu costretto a dichiarare migliore l’offerta Air France e questo, oltre a provocare l’indignazione di Formigoni e della Lega (perché Air France voleva confermare e aggravare lo smantellamento di Malpensa in favore di Fiumicino), andava contro gli interessi della stessa Intesa. A marzo, quando il dossier tornò d’attualità, (nel frattempo c’era stata la crisi di governo e lo scioglimento delle Camere), l’offerta francese era scesa a 9,9 centesimi, e monsieur Spinetta, l’amministratore di Air France, voleva un taglio di settemila dipendenti su 19 mila, la chiusura dei cargo, l’asse della compagnia a Fiumicino e non a Malpensa. I sindacati, con in testa Bonanni, indussero facilmente Spinetta ad abbandonare la partita proponendogli un contropiano in cui Air France avrebbe dovuto prendersi come socio Fintecna, cosa che avrebbe permesso alle nove siglie di conservare il primato sull’azienda. Il dossier passò perciò a Berlusconi che aveva tuonato per tutta la campagna elettorale contro Air France e in difesa dell’italianità della compagnia, sostenendo di avere una cordata pronta a fare l’affare con l’appoggio della Banca Intesa, proprio la banca che tutti collocavano politicamente nell’area di Prodi (vedi BAZOLI Giovanni). Per la conclusione della privatizzazione di Alitalia, vedi la voce BERLUSCONI Silvio.
• È stato sposato con Fiorella Kostoris (vedi), conosciuta quando lei aveva 13 anni e lui 18, nozze dopo otto anni. Tre figli: Camillo (fisico specializzato in neuroscienze al Mit, post-dottorato all’Harvard Medical School), Caterina (architetto), Costanza (psicologa). Ne parlò durante la conferenza stampa di presentazione della Finanziaria 2007: «Anch’io ho dei figli giovani che sono precari. Autosufficienti ma precari. Lavorano in un mondo flessibile che non consente loro di crearsi un sistema pensionistico».