31 maggio 2012
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Biografia di Ferzan Ozpetek
• Istanbul (Turchia) 3 febbraio 1959. Regista. «Per fortuna ho tendenza a sottovalutarmi. Bisogna sottovalutarsi quando si ha successo».
• Film: Il bagno turco (1997), Harem suare (1999), Le fate ignoranti (2001, Nastro d’argento per il soggetto originale), La finestra di fronte (2003, David di Donatello come miglior film, Nastro per il soggetto), Cuore sacro (2005), Saturno contro (2007, Nastro sceneggiatura), Un giorno perfetto (2008, dal romanzo di Melania Mazzucco). Da ultimo Magnifica presenza (2012, Nastro d’argento e Globo d’oro) e Allacciate le cinture (2014).Regia del videoclip di Neffa Passione (che fa da colonna sonora a Saturno contro) e degli spot per Poste Italiane. Anche un romanzo: Rosso Istanbul (Mondadori 2013), duplice dichiarazione d’amore alla sua famiglia d’origine e alla sua città natale.
• Presidente onorario del Film Festival turco di Roma “Mamma li Turchi” «La Turchia cinematografica ricorda l’Italia degli anni ’60, anche per la crescita economica e il dinamismo. Poi sul set, dove trovi sempre qualcosa da mangiare, i costi sono bassissimi e c’è una grande elasticità nei rapporti sindacali, si lavora fino a 14 ore al giorno con troupe più snelle. Meno rigidità sugli orari, non si sta sempre lì con l’orologio. In comune con l’Italia (anche se in dose leggermente inferiore) il desiderio di evasione, insomma domina la commedia. Sul piano tecnico la Turchia è più sfacciata, non avendo alle spalle maestri come Visconti e Fellini si hanno meno paure. E i registi sono quasi tutti giovani, vanno e vengono dalla tv al cinema senza barriere o snobismi. A Istanbul sono cresciuto con i grandi melodrammi turchi, dai sette anni in avanti mi riempivo la pancia di cinema. Quando nel 1975 sono arrivato a Roma, vedevo tre film al giorno, interi pomeriggi in quei cineclub deliziosi...Ma perché sono spariti?» (Valerio Cappelli) [Cds 15/10/2012].
• Quarto figlio di un ricco costruttore: «Stavo andando in America e invece ho scelto di venire in Italia nel 1976. Dieci giorni prima di andare in America ho cambiato idea, ho detto a mio padre che volevo studiare il cinema in Italia. I miei fratelli vivevano in America, avevano la nazionalità americana e mio padre avrebbe preferito che se proprio dovevo fare il cinema lo facessi in America. Quando dissi che volevo andare in Italia mi ha detto: vai in un Paese dove la lingua non serve a niente, non più che il turco, mi sembra una pazzia. Lo convinse mia madre e mio padre per tre o quattro anni mi ha finanziato. Le cose non sono andate come volevo, avevo solo 17 anni e dovevo aspettare i 19 per entrare al Centro sperimentale di cinema. Così mi sono iscritto a Lettere e facevo l’uditore all’accademia di Silvio D’Amico sennò intervistavo dei registi per una rivista di cinema: Bertolucci, Troisi, Verdone, i Taviani e altri. Ogni volta che finivo l’intervista chiedevo se mi prendevano come assistente volontario» (da un’intervista di Alain Elkann).
• «Il segreto delle opere di Ozpetek consiste in una formula ormai collaudata, una ricetta vincente. Il gioco funziona così: prendere un personaggio pescato nella società degli emergenti, dei cosiddetti Vip, immergerlo in mondi diversi dai suoi e raccontare. Un viaggio dell’anima, ma anche una proposta di conversione che il regista offre al suo pubblico, un suggerimento di impegno che sottintende la necessità di guardare al di là del proprio vissuto. Nelle Fate ignoranti, una giovane vedova borghese scopriva un’allegra comunità omosessuale e ne veniva conquistata, nella Finestra di fronte una coppia giovane si imbatteva per caso nella Roma delle persecuzioni razziali e nei segreti che la città ancora nasconde, in Cuore sacro una manager viene scaraventata in una realtà sconosciuta da una ladra bambina e con lei inizia a frequentare l’universo dei volontari, la solidarietà, i nuovi poveri che affollano le mense, guidata da un sacerdote semplice» (Barbara Palombelli).
• «Regista che ama gli attori e sa dirigerli, pur insistendo troppo sugli sguardi in campo e controcampo, Ozpetek conferma un’empirica teoria: nel cinema italiano del primo 2000 gli attori sono una categoria mediamente superiore a quella di sceneggiatori e registi» [il Morandini 2009].
• Si arrabbia se lo definiscono «il regista turco»: «Mi sento un autore di casa vostra e anche mia: per la vita nel prediletto quartiere Ostiense, gli amici, i miei amori, il testardo voler studiare cinema proprio a Roma. E sono orgoglioso di rappresentare l’Italia con i miei film. In Turchia dicono che sembrano girati da un italiano. Gli americani, mi si perdoni il paragone, non dicono di Billy Wilder “è austriaco”, di Lubitsch “è tedesco”» (da un’intervista di Giovanna Grassi).
• Vive col compagno Simone.
• Ha scelto di non avere figli «Da vigliacco credo. Però sono zio, uno zio simpatico. A Natale porto i miei nipoti in un grande negozio di giocattoli e dico: “Prendete quello che volete”. Va bene, li vizio. Una mia amica si è molto arrabbiata perché la figlia – per me nipote – è tornata con una bambola a grandezza naturale che faceva cacca e pipì. Me l’ha rimandata indietro. Il mio è più il punto di vista di figlio. Sono ancora figlio. Mia madre, 89 anni, continua a dirmi che devo diventare padre, non si rassegna. “Quando sei stato con quella – mi dice riferendosi a una mia fidanzata – lei era inutile, ma andava bene per fare figli, perché non l’hai fatti? (…) Quando faccio un film, mi chiedo: piacerà a mamma? Anche per loro noi rimaniamo bambini fino alla fine. Se pensa che mio padre prima di morire mi ha detto “non tornare tardi, Ferzan”» (a Teresa Ciabatti) [Ven 21/3/2014].
• Sua mamma è innamorata del suo trainer di 28 anni: «Lui va quattro volte a settimana da lei, lei si fa truccare, mangiano insieme. Mamma mi chiede di spedirle tute da ginnastica colorate. L’ultima volta che sono andato a trovarla mi ha detto: “Che emozione!”. Credevo si riferisse a me, invece pensava a lui, che avrebbe incontrato il giorno dopo» (a Marina Cappa) [Vty 7/3/2012].
• «Ho paura di perdere le persone che amo. L’ultima volta a Istanbul ho passato ogni giorno con una cara amica malata. Andavo a trovarla, le facevo la spesa. Prima di ripartire dico alla sorella: “alla fine la cosa più importante è la salute”, mi viene da dire questa stronzata. E lei: “no, è avere le persone. Sapere che quando saremo vecchi ci sarà qualcuno che ci pulisce la bava e a cui noi puliremo la sua”. Aveva ragione lei» (a Ciabatti cit.).
• Alle elezioni per la Costituente del Pd si candidò con la lista Veltroni.
• «Col passare del tempo, l’asticella si alza, senti la responsabilità e le paure aumentano anziché diminuire. È come se ci fossero due registi in me. Uno irrazionale che si butta e l’altro che si chiede, ma sarai capace di raccontare questa storia?» (a Valerio Cappelli) [Cds 12/5/2013].
• «Io rubo le storie per trasformarle in film».
LANFRANCO PACE • Fagnano Alto (L’Aquila) 1 gennaio 1947. Giornalista. Nel 2008 ha condotto per alcuni mesi la trasmissione Otto e mezzo (La7) al posto di Giuliano Ferrara candidato alle politiche, prima ne curava la scheda introduttiva, detta “Il punto”. Scrive sul Foglio. Per anni giornalista di Libération. Un libro nel 2007: Nicolas Sarkozy. L’ultimo gollista (Boroli Editore). «Dovremmo coltivare l’autoassoluzione, l’indulgenza verso noi stessi come diritto inalienabile alla sopravvivenza».
• Laurea in Ingegneria, negli anni Settanta dirigente di Potere operaio (nel 1990 una condanna definitiva a 4 anni per «associazione sovversiva»): «Erano un terzetto. Piperno, Scalzone e Pace. Legati dalla militanza in Potere operaio e in Autonomia operaia. Legati anche dalla considerazione dei giudici che li sospettarono di appartenenza alle Brigate rosse e li ritennero responsabili, come minimo, di associazione sovversiva e banda armata. Legati dalla comune latitanza in Francia. Di aver fatto parte delle Br Pace continua a negarlo. Anche se racconta di esserci andato molto vicino. Ma mentre molti dei suoi ex compagni di militanza, Bruno Seghetti, Valerio Morucci, Alvaro Lojacono, Adriana Faranda, Barbara Balzarani, Germano Maccari, scivolarono nella china della banda armata, lui no. La clandestinità non faceva per lui. Lui amava la notte, il poker, la vita» (Claudio Sabelli Fioretti).
• Uomo della trattativa (fallita) tra i socialisti di Craxi e le Brigate Rosse durante il sequestro Moro (1978): «Mi spiegarono che volevano smarcarsi dalla linea della fermezza del Pci e della Dc. Io cercai i contatti con Adriana Faranda e Valerio Morucci (i due “postini” del commando che teneva prigioniero Moro, ndr). E riuscii a raggiungerli (...) Vidi Adriana Faranda sette od otto volte. Ci voleva tempo, insinuare il dubbio, convincere, fare pressioni, rispondere alle obiezioni».
• «Tentare la mediazione tra socialisti e Brigate rosse durante il sequestro Moro è stato fatale».
• Dei suoi anni da latitante a Parigi: «La prima volta ci arrivai nel 79, ma venni estradato, e così tornai due anni più tardi, nell’ aprile del 1981 (...) Me ne stavo al quartiere Latino. Sono stati anni tragici e però anche piacevoli, perché la vita a Parigi ha una qualità alta, e noi la sera uscivamo e andavamo in cinema stupendi, in librerie fornitissime, visitavamo mostre strepitose. Facevamo cose che in Italia non eravamo abituati a fare e naturalmente non ci negavamo il calcio. Con il torneo internazionale dei rifugiati, dove noi abbiamo anche vinto abbastanza, finché poi non siamo rimasti soli, sul campo. Perché, anno dopo anno, tutti, dai cileni agli argentini, tutti se ne erano potuti tornare a casa, tutti tranne noi (...) Quando tornai io, in Italia, rimasi stordito. Non c’erano più le facce d’un tempo e non c’era più un sacco di altra roba, a cominciare dalla grande questione comunista. Trovai, invece, un Paese ricchissimo, e Bmw e Mercedes fiammanti, e scarpe firmate».
• «Adesso non credo più alla rivoluzione. Ma non ho nulla delle idee reazionarie classiche».
• «Abbiamo capito che il posto di lavoro non è un diritto, è una semplice opportunità e sopprimerlo non è uno scandalo. E’ invece uno scandalo, grande e assai politico, non riuscire a finirla con le protezioni di settore, di corporazione e con le casse integrazioni ad hoc, in favore di un sistema universale di ammortizzatori che tuteli per un periodo ragionevole tutti, il barista, la commessa, il muratore, il metalmeccanico, il medico, il giornalista» [Fog 30/1/2014].
• Fama di ritardatario, di duro (tempo fa trattò ruvidamente Guia Soncini), di gran pokerista. A proposito di Texas Hold’em, la specialità di poker oggi più diffusa e sofisticata ha scritto: «E’ questa la metafora crudele dell’ultimo sogno che l’America offre al mondo e il mondo avidamente accoglie, che sta dilagando nelle case, nei circoli e nei club spuntati come funghi, che sta regalando una seconda insperata giovinezza ai casinò al viale del tramonto. E’ il sogno che tiene milioni di persone inchiodate al computer, di giorno, di notte, donne e uomini, ricchi e no, ragazzi delle periferie urbane dalle strane capigliature e imprenditori di successo, gente anonima e glorie vecchie e nuove dello sport» [Fog 5/12/2009].
• Una figlia dalla giornalista dell’Espresso Stefania Rossini (Monteleone d’Orvieto, Terni, 9 marzo 1944), una dalla giornalista del Tg3 Giovanna Botteri (vedi), oggi «compagno felice di una donna che non è la madre delle mie figlie».
• Milanista.