31 maggio 2012
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Biografia di Krizia
• (Mariuccia Mandelli) Bergamo 31 gennaio 1935 –Milano 6 dicembre 2015. Stilista. «Abbiamo scelto questo mestiere perché volevamo prima di tutto vestire noi stessi».
• «Mio padre, Ernesto, era un uomo meraviglioso ma tutta la vita ha soprattutto giocato a carte. Ricordo quando mamma veniva a svegliarmi, avevo solo dodici anni, per dirmi che papà anche quella notte aveva perso tutto. Le volte che vinceva ci riempiva di regali: guanti bellissimi, golf di cachemire che mamma rimandava regolarmente indietro».
• «Durante la guerra vivevo in una città fuori dal mondo. Bergamo fu risparmiata dai bombardamenti. Giocavo in una roccaforte, fingevo di fare la castellana».
• «I miei genitori persero tutto quando ci trasferimmo a Milano e io, invece di andare alla Ca’ Foscari dove volevo studiare lingue, feci un concorso statale per insegnare. Su tremila concorrenti c’erano cento ammessi. Io fui tra questi e andai a insegnare a Cassano d’Adda. Però ebbi presto l’occasione di aprire una sartoria con una mia amica che faceva maglieria. Volevo fare la stilista e cambiare il mondo della moda. La mia famiglia era disperata che lasciassi il posto fisso. Per fortuna ero molto amica di Lelio Luttazzi che si stava trasferendo a Roma e mi regalò sei mesi d’affitto del suo appartamento a Milano. Avevo sei mesi di tempo per arrivare. Mia sorella che si era trasferita a Roma vendette la sua lambretta e mi dette duecentomila lire. In piazza Baracca c’era un negozio, “Quando Berta Filava”, a cui cominciai a vendere vestiti, e una fotografa redattrice di Grazia, Elsa Haerter, si innamorò del mio lavoro e volle fotografare i vestiti. Andavo in giro per l’Italia a vendere, devo dire con successo, e così dopo sei mesi trovai un ufficio in piazza Duse, nella stessa casa dove abitava Arnoldo Mondadori e dove Grazia Neri aveva la sua agenzia».
• «Andai a Firenze, al Pitti, stimolata da Rudy Crespi. Vinsi il primo premio della critica della stampa, lo stesso che aveva vinto Emilio Pucci l’anno prima. Così nacque interesse per me anche all’estero. Avevo cominciato nel 1954, eravamo nel 1965. Intanto avevo conosciuto mio marito, Aldo Pinto, che era scappato via dall’Egitto all’arrivo di Nasser. Incominciammo insieme a creare una maglieria. Lui si occupava soprattutto della parte commerciale. Parlava molto bene l’inglese, e questo facilitò enormemente il nostro rapporto con gli americani» (ad Alain Elkann).
• «Nello spirito, Mariuccia è stata un progetto di donna indipendente, determinata, fuori dagli schemi, fin da bambina quando, con pragmatismo lombardo, considerava la bambola un mini-manichino per testare la sua inventiva» (Gian Luigi Paracchini) [Cds 8/12/2015].
• Il nome d’arte viene da un dialogo di Platone sulla vanità femminile.
• «Nel corpo femminile ho sempre visto la libertà. In Italia sono stata la prima a disegnare la minigonna, in contemporanea con Mary Quant. Facevo pantaloncini cortissimi per rendere le donne milanesi un po’ meno signore, andavo alla stazione centrale per studiare le francesi che giungevano con il treno a Milano ed erano così eleganti, così avanti rispetto a noi. Evitavo l’alta moda, mai attuale, mai realistica, sempre troppo costosa, mettevo nei miei vestiti un po’ di Greta Garbo, Magritte, Dalì, l’imperatrice Sissi, Malevic e Depero. Con il trascorrere degli anni ho modificato il carattere, sono diventata aggressiva. E ormai non mi sfugge nulla. È una disgrazia, questa. Sono malata di perfezionismo, una malattia gravissima. Chi lavora con me la deve vivere come un tormento» (a Dario Cresto-Dina).
• Diceva che nella vita i colori devono essere tre: «Il nero, il beige e il bianco. Il più bello di tutti».
• «C’erano tre argomenti di cui Krizia non amava parlare: la minigonna, che sosteneva d’aver lanciato negli anni ’60 non meno di Mary Quant, il carattere fumantino, figlio d’un temibile perfezionismo, e (da almeno un paio di decenni) l’età, perché come spiegava “dentro resto la stessa ragazza entusiasta e curiosa”» (Gian Luigi Paracchini, cit.).
• «La mia vergogna più grande era copiare, così cercavo idee nelle boutiques strane a Parigi e Londra, non parlando inglese».
• Fu molto vicina ai socialisti: «Mica lo rinnego. È vero che pensavo che Craxi potesse rendere questo Paese più moderno, è vero che su insistenza di mia sorella, moglie di Francesco Rosi, accettai di entrare tra quei cento personaggi della società civile invitati a far parte dell’assemblea socialista (senza peraltro andarci neppure una volta) ed è vero anche che per me non è giusto che Craxi abbia pagato così tanto rispetto ad altri» (a Gian Antonio Stella). Nel 2011 aveva militato nelle fila di Libertà e Giustizia, appoggiando la campagna di Giuliano Pisapia a sindaco di Milano.
• Fanatica della frangetta: «Fa parte della mia storia sin da quando ero bambina. Sono così fin da quando avevo sei mesi. È stata mia madre a scegliere questa pettinatura che trovo mi stia benissimo. Diciamo che questo taglio di capelli ha molti aspetti interessanti. Primo fra tutti quello di valorizzare gli occhi e di dare più forza allo sguardo. Ma la frangetta non se la possono certo permettere tutte le donne».
• Per oltre quarant’anni in vacanza a Porto Rotondo, prima in un appartamento che affacciava sul porto e poi nella villa di Punta Volpe: «Ho bisogno di una casa per mettere davvero radici in un luogo, ma non potrei scegliere una casa se non in un luogo di cui apprezzo lo spirito oltre che la bellezza naturale. Quello che conta di più è sempre il “genius loci”, con il quale devo sentirmi subito in sintonia. E un’altra cosa che ho subito amato della Sardegna è il suo indimenticabile profumo di cisto, di lentisco, di macchia mediterranea» (a Marella Giovannelli).
• Nel 2014, dopo sessant’anni di attività, il marchio Krizia è finito al gruppo Marisfrolg Fashion della miliardaria cinese Zhu Chongyun per 25 milioni di euro: «Ho ceduto a una creatrice raffinata. La Cina? Renderà più forte il mio marchio» (a Gianluca Lo Vetro).
• «A quali sue creazioni è più affezionata? “È come chiedere chi preferisci fra i tuoi figli... Forse gli intarsi “animalier” sulla mia amata maglieria, senza dimenticare l’adorato “plissè”» (a Gian Luigi Paracchini).