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 2012  maggio 30 Mercoledì calendario

Biografia di Massimiliano Fuksas

• Roma 9 gennaio 1944. Architetto. Urbanista. Tra le sue opere: le Twin Towers di Vienna, il Peace Center di Jaffa, la sede della Ferrari a Maranello, gli Europark di Salisburgo, la nuova Fiera di Milano, il grattacielo della Regione al Lingotto di Torino. «Per questa vita ho deciso di fare l’artigiano».
• «Il mio bisnonno faceva il mercante di sale a Kaunas, in Lituania. Era di religione ebraica e gli ebrei non potevano studiare nell’impero russo. Così mandò mio nonno a laurearsi a Heidelberg, in Germania. Là conobbe mia nonna, cittadina tedesca. A mio padre toccò invece in sorte studiare medicina a Roma. Sono stato studente a Valle Giulia, la facoltà di Architettura a Roma, alla fine degli anni Sessanta. C’era un grande movimento, non eravamo legati a nessun partito, e i gruppuscoli marxisti-leninisti erano marginali. Contava l’idea che le persone si formavano sul cambiamento della società. Per noi l’Università era un luogo fondamentale, ci piaceva stare lì, era un punto di riferimento, non la trovavamo squallida e triste, anzi penso che molti hanno poi deciso di rimanerci come ricercatori e più tardi come docenti proprio perché a quel luogo si erano affezionati. Ricordo le lunghe passeggiate di notte, da un bar a una trattoria con Oreste Scalzone e Franco Piperno, i futuri fondatori di Potere operaio, avevamo un’età tra i 23 e i 25 anni, guardavamo al Che Guevara e al terzo mondo, ma anche ai problemi della giustizia sociale in Italia» (a Rocco Moliterni). Si dice che fosse tra i contestatori più determinati: «Non ho mai preso in mano un bastone. I poliziotti ci scacciarono dall’università di Valle Giulia, protestammo, ci inseguirono manganellandoci senza pietà. Vedere quei vecchi celerini, spesso con la pancia, che arrancavano era uno spettacolo terribile. Ricordo che con le mie Clark ai piedi non facevo che scivolare. E pensavo: ma cosa cazzo si inseguono, cosa cazzo si picchiano. Avevo il cuore in gola e l’adrenalina che girava a mille» (ad Antonio Gnoli) (la Repubblica 2/2/2014).
• «La sola cosa che intendessi fare era l’artista. A 16 anni, grazie all’interessamento di Giorgio Castelfranco, andai a lavorare con Giorgio De Chirico. Mi sentivo pittore. Stare nella bottega di un grande artista, pensavo, era il modo migliore per migliorarsi. Scartabellavo nell’archivio, rassettavo. Niente di creativo. E poi non si capiva mai se il maestro era contento. Mascherava la sua stizza permanente sotto un sorriso sornione. Per farla breve, finii il liceo e dissi a mia madre che volevo fare il pittore. Lei mi guardò e tutta seria commentò: vedo già l’ombra del fallimento dietro le tue spalle. Fu scoraggiante. (…) Pochi giorni dopo le risposi dicendole che mi sarei iscritto ad architettura. Fu laconica: ecco, è già meglio» (ad Antonio Gnoli).
• «Sembrerà strano, ma per l’architetto Massimiliano Fuksas la prima fonte d’ispirazione è il cinema. E non quello di Fritz Lang, il regista di Metropolis, ma del grande mago del brivido, Alfred Hitchcock. “Piano sequenza, inquadrature dominate da luci e ombre, tensione dell’attesa”, spiega Fuksas: “L’architettura nasce da altro, non è figlia di se stessa...”. Il cinema è fatto di sequenze, e così dovrebbe essere fatta l’architettura. A dispetto della sua stabilità, ogni edificio, sia pubblico che privato, dovrebbe suggerire movimento, dinamismo. “Il movimento è vita. La realtà è fatta di cambiamenti, di sorprese, di infinite possibilità”, dice Fuksas: “E se l’architettura è chiamata a interpretare la vita reale, allora dev’essere adatta a ospitare l’inestinguibile pluralità di scelte e di indirizzi. L’architettura deve andare contro la fisicità degli oggetti, deve dare movimento alla staticità”» (Rita Tripodi).
• «L’architettura del Terzo Millennio deve essere gentile. Gentile come attenzione verso gli individui, i loro desideri, i bisogni della comunità. E verso l’ambiente. Proprio perché l’architettura contemporanea oggi è chiamata a realizzare megastrutture, queste grandi strutture debbono avere un quid di gentilezza».
• «Il committente pesa moltissimo. L’equazione ha tre elementi: un buon committente, una buona impresa e un buon architetto. A mio parere il committente bisogna sceglierlo, non essere scelti. L’architetto ha delle responsabilità importanti e c’è un solo momento vero, strategico: quando decide un sì o no. Dire no a un progetto è una delle maggiori responsabilità. La risposta positiva ovviamente ha la stessa valenza».
• «All’estero è tutto più semplice: anche perché da noi, prima si fa il progetto, poi si cercano i finanziamenti. In tutte le altre parti del mondo, è l’opposto: prima i soldi, poi il progetto. In Italia, anche per questo, un progetto può rivelarsi assai faticoso da gestire e da portare avanti» (a Stefano Bucci).
• «Questo è un Paese che paga un prezzo preciso. Paga quel che è successo dal 1964-65 ad oggi. Io sono convinto che si tratta di una data decisiva. In quel momento si erano risolti i danni della guerra e le angosce della ricostruzione. Dopo il neorealismo ci si stava orientando verso una maggiore apertura intellettuale. La borghesia era sobria, la gioia di vivere tanta. Una grande occasione mancata. Perché non si è saputo cogliere la portata trasformativa che era insita in quel momento. Allora il paese poteva andare avanti, e non lo ha fatto. Poi è arrivato il 68, che ai miei occhi (troppo interni forse, ma comunque attenti) altro non è stato che una ideologizzazione di qualcosa che sino ad allora non era ancora ideologico. In gioco era l’opportunità di un ricambio generazionale, radicale, rivoluzionario. Ma non è stata còlta. Il risultato è che questo, oggi, è un paese vecchio».
• Frasi su Roma: «Io vivo e lavoro a Roma, per Roma, da sempre. Ma mai nessuno che mi abbia proposto un qualche incarico politico, foss’anche il consigliere di circoscrizione. Perché? Perché io critico, critico sempre». Oppure: «A Roma faccio progetti, fuori cazzeggio» (a Ernesto Menicucci) (Corriere della Sera 5/6/2013).
• Assai lunga la realizzazione del suo Centro Congressi all’Eur di Roma, ribattezzato “la Nuvola” «Il concorso viene bandito nel 1998, sedici anni fa, da Rutelli. Lo vince il mio progetto nel gennaio del 2000, presidente della giuria lord Norman Foster, il secondo architetto più votato lord Richard Rogers, che con Piano ha disegnato il Centre Pompidou. Nel frattempo l’Ente Eur diventa una Spa, 90% del Tesoro e 10% del Comune. Prima anomalia: un quartiere romano dello Stato. Seconda anomalia: il progetto non è finanziato, un’assurdità. Siamo al 2001. Fino al 2006 si tenta un project financing e non si fa niente. Nel frattempo all’Eur Cuccia diviene presidente e Miccio ad, Veltroni sindaco. Si fa l’appalto, vince Condotte con ribasso (50 milioni su 276 nella gara): terza anomalia». Iniziano i lavori: «Dal 2007 al 2013 la Nuvola riesce a uscire da terra. La Lama, l’albergo accanto alla Nuvola, viene finita. Si dice: l’hotel vale 130 milioni, gli altri 146 ce li dà Roma Capitale. Ma l’albergo non si vende». Finiscono i soldi: «Si va avanti con quello che man mano arriva dai fondi di Roma Capitale e anche con mutui con le banche. L’impresa reclama più soldi, riceve 20 milioni. E adesso, con il nuovo sindaco Marino, ci sono opere realizzate, tra Nuvola e Lama, per 176 milioni, L’albergo ancora non si vende e servono 100 milioni per completare gli interni della Nuvola. Chissà quando (…) L’Eur Spa ad un certo punto decide di dividere un grande spazio in più sale, poi vuole una cucina, invece di un luogo per il catering, come in tutti i centri congressi mondiali, che non cucinano l’amatriciana. Per il cambiamento di destinazione d’uso si aspettano 3 anni. Il mio progetto per la Fiera di Milano è stato realizzato in 26 mesi e quello per un aeroporto cinese in 3 anni». L’Eur spa lo ha licenziato da direttore artistico: «Ma chiede altri milioni per nuovi parcheggi. Si è mai visto qualcuno che arriva a un congresso mondiale con la sua automobile?». L’Authority per gli appalti pubblici critica gli sprechi, le troppe varianti, il ritardo nei permessi e anche i suoi onorari: 20 milioni di euro tra progetto e direzione artistica. Risponde: «Io rappresento un raggruppamento di professionisti, strutturisti, impiantisti e così via, che incidono per 50% sui miei onorari, sui quali ci sono 40-45% di spese. Per non parlare di Iva e tasse. Il tutto in sedici anni. Le tariffe sono professionali» (a Paolo Boccacci) (la Repubblica 9/5/2014).
• Spesosi in passato per Rifondazione comunista (ne allestì tra l’altro un paio di congressi), poi elettore del Pd. Sembra essere giunto a una conclusione: «Dopo tante “seghe” mentali, alla fine penso che la sinistra va giudicata a seconda di quanti “no” dice. Se pronuncia troppi “sì” occorre diffidare» (ad Antonio Gnoli) (la Repubblica 2/2/2014). Al ballottaggio tra Alemanno e Marino, alle amministrative di Roma del 2013, scelse quest’ultimo: «Non ho nulla contro Alemanno. Anzi, devo dire che è l’unico ad aver portato avanti il Palazzo dei Congressi. Marino non lo conosco, so solo che è medico. Ma sono mosso da spirito di appartenenza. Non so quanto durerà ancora, ma per ora è così». Al primo turno non aveva votato.
• «Fuksas è un nome curioso, all’orecchio italiano. E infatti appartiene a un architetto eccentrico. Fuksas, etimologicamente, contiene “Fuchs”, che in tedesco è volpe. E non pochi, dentro il gran circo dell’architettura, ritengono che il progettista romano sia un bel volpone: non nel senso del vecchio avido tramatore della commedia elisabettiana di Ben Jonson, ma in quello di simpatico e astuto edificatore della propria carriera nello star system. C’è sempre stata qualche malizia, intorno a Massimiliano Fuksas; e la malizia è figlia femmina dell’invidia. Sarà per la sua estraneità al salotto della borghesia illuminata disciplinare sull’asse Milano-Roma-Venezia; sarà per i suoi dieci anni di esilio professionale in Francia, quando “comandava Mitterrand”; sarà per la quantità di commesse pubbliche acquisite dopo il rientro in patria; o forse per aver importato un look “fashion system”, cranio pelato, abiti neri genere Yamamoto e una vaga luciferina somiglianza con Jean Nouvel» (Enrico Arosio).
• Franco La Cecla lo attacca nel saggio Contro l’architettura (Bollati Boringhieri 2008), in cui sostiene che il sistema della moda e dei mass media ha arricchito pochi architetti e ucciso l’urbanistica: «Li ha trasformati in “creatori di trend” (come “stilisti”) al servizio dei potenti di oggi. Senza Prada e Versace non ci sarebbero stati i vari Gehry, Koolhaas, Nouvel, Calatrava e Fuksas. Sono state le marche di moda a trasformare l’architettura in moda».
• Celebre anche per una rissa con Bertolaso in un ristorante, nel 2010. Era a cena con sua moglie e due amici, a un certo punto entrò Guido Bertolaso. L’architetto prese a sbraitare a voce alta: «Pezzo di m..., ’sto c.... di Bertolaso ancora va in giro. Pezzo di m...». Gli si avvicinò Luca Cieri, amministratore delegato della Ecofim, impresa di costruzioni di Roma, pregandolo abbassare la voce e moderare i termini «visto che c’erano dei bambini». In risposta Fuksas gli tirò una formaggiera chiamandolo «fascista squadrista». Seguì scazzottata. Bertolaso rimase seduto al suo posto, Fuksas prese un paio di sberle prima di andarsene.
• Maurizio Crozza ne fa un’imitazione chiamandolo Fuffas.
• Sposato in seconde nozze con l’architetto Doriana Mandrelli, quattro figli (due nati dal precedente matrimonio).
• Tifoso della Roma.