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 2012  maggio 30 Mercoledì calendario

Biografia di Marco Fossati

• Monza 20 ottobre 1959. Industriale. Presidente della Findim. Quarto figlio di Danilo (morto a Lugano il 10 marzo 1995) che nel 1948 fondò la Star lanciando i famosi dadi inventati dal padre Regolo nel retro della sua macelleria di Muggiò. Fratello di Giuseppe (18 aprile 1955), Daniela (11 aprile 1956), Stefania (1967).
• «Dalla comunità finanziaria milanese Fossati è considerato alla stregua di una scheggia impazzita. Un ricco signore, conosciuto per essere il figlio di un grande industriale ma poco incline a subire i diktat del “sistema” (…) Carattere esuberante, inclinazione a giocare da outsider più che da protagonista, Marco ha faticato non poco a inserirsi in un’azienda in cui vigeva la disciplina ferrea del capostipite il cui motto era: “il primo ad entrare in azienda e l’ultimo a uscire”. Un confronto duro e una frase sbagliata del padre convincono Marco a scappare in America in tenera età. In un anno di California riesce però a costruirsi il suo piccolo mondo fatto di surf, frequentazione alla Ucla e lavoro serale. La voglia di indipendenza è tale che firma con disprezzo la delega in bianco a favore del fratello Luca che il padre gli fa pervenire via posta. Ma è proprio il legame molto forte con il fratello a farlo rientrare in Italia e a rimettersi a disposizione dell’azienda di famiglia. Il banco di prova è rappresentato dalla gestione della Mantovani, una piccola azienda dell’igiene personale, che Marco riesce a far crescere e poi vendere con profitto alla Reckitt & Colman. Ma ovviamente il difficile arriva dalla scomparsa del padre in poi, quando Luca e Marco vengono convocati in Mediobanca da Cuccia e Maranghi, per vedere in che mani finisce un’azienda fin lì molto prosperosa. “Abbiamo passato l’esame?”, chiede Marco a Cuccia appoggiandogli una mano sul braccio e prendendosi un calcio negli stinchi dal fratello. “Buon ceppo non mente”, gli risponde il grande vecchio della finanza» (Giovanni Pons) [A&F 16/12/2013].
• «I Fossati sono fra i più “liquidi” d’Italia: nella loro cassaforte lussemburghese custodiscono oltre 1 miliardo pronto per investimenti. Di recente, oltre che in Telecom, si sono impegnati anche in Gas Plus, la società metà utility e metà estrazione-ricerca che fa capo alla famiglia Usberti. Una diversificazione avviata dopo la svolta seguita alla scomparsa di Luca Fossati, dal 1995 successore del padre Danilo alla presidenza della Star, nel tragico incidente di Linate l’8 ottobre 2001. Dopo la disgrazia alla guida del gruppo alimentare è subentrato il fratello di Luca, Marco. Successivamente però tensioni in famiglia hanno dato luogo a una specie di “dynasty” con divisioni tra i fratelli Fossati da una parte e dall’altra i legali di Patrizia Montagni, vedova di Luca. Una dynasty corsa parallela alla vendita della Star, marchio storico dell’industria alimentare italiana e caso di scuola di marketing e pubblicità nel nostro Paese come dimostra il “doppio brodo” che ha reso famoso il marchio. Una vendita peraltro già avviata anni prima, nel 1989, quando la multinazionale francese Bsn ha rilevato il 35% dell’industria di Agrate e contestualmene la Ifil degli Agnelli ne ha comprato un altro 10%. A fine 2006 la Star ha siglato un accordo con Agrolimen, holding che fa riferimento alla famiglia catalana Carulla. Il contratto ha previsto il passaggio del 100% della Star al Pasa group, società di Barcellona che controlla Galina Bianca. In cambio la Findim si è impegnata a investire nel 50% di Pasa group, lasciando comunque la gestione agli spagnoli. L’accordo ha chiuso una fase di ricerche e trattative che si protraeva già da più di un anno. E che ha portato i Fossati a colloquiare con fondi di private equity come Doughty Hanson e colossi alimentari come Premier Foods, Kraft e Heinz. Nel frattempo la famiglia aveva giù avviato la politica del disimpegno dal core business di un tempo: nel 2005 ha ceduto agli olandesi della Numico un altro marchio storico, quello dei biscotti Mellin» (Sergio Bocconi).
• L’accordo con la Montagni, che aveva da subito rinunciato all’eredità in favore dei due figli, è stato chiuso nel 2007 con l’uscita dal gruppo per 672 milioni.
• Il bilancio consolidato 2012 di Findim Finanziaria si è chiuso con un utile di 11,7 milioni di euro, significativamente migliore della perdita di 11,9 milioni del 2011. È il frutto della cessione alla controllante lussemburghese del 50% di Pasa, veicolo partecipato per il restante 50% dal gruppo alimentar spagnolo Gallina Blanca cui i Fossati hanno venduto la Star.
• Nel maggio 2013, a meno di quatto anni dall’aver rilevato il controllo della Banque de Crédit et de Dépôts (Bcd) attraverso l’Institut de Crédit et de Dépôts Holding (Icred), ha messo in liquidazione volontaria l’istituto di credito svizzero che operava con struttura da private banking sulla piazza di Lugano. Fossati era vicepresidente della banca, mentre il suo uomo di fiducia Nicola Biase sedeva nel comitato esecutivo presieduto da Rodolfo Zurcher. Il bilancio 2012 della banca si era chiuso con una perdita di oltre 11,6 milioni di franchi svizzeri (che ha eroso quasi l’intero capitale di 12,6 milioni di Icred) e un attivo di 27,7 milioni [Andrea Giacobino, Iog 3/5/2013].
• Tra il 2007 e il 2008 Findim divenne il secondo azionista Telecom dopo Telco, con il 5%, un’operazione costata 1,2 miliardi di euro e sulla quale la perdita potenziale a fine 2013 è di circa 600 milioni. Nell’aprile 2008 Fossati si è mostrato favorevole a una fusione di Telecom con Telefónica: «Sarebbe l’ideale per noi che avremmo così una partecipazione in un’azienda più forte e più internazionale. Ma prima di arrivare lì c’è molto lavoro da fare, oggi non sarebbe opportuno». Le voci che operi in realtà per conto di Marco Tronchetti Provera sono state ripetutamente smentite da entrambi.
• Nel novembre 2013, in seguito all’accordo per la cessione a Telefónica del controllo di Telco (la scatola che a sua volta controlla Telecom), ha tentato di convincere i grandi fondi d’investimento a votare per la sua proposta di revocare i tutti i consiglieri eletti. Ha ottenuto la convocazione di un’apposita assemblea per il 20 dicembre 2013. Questi i fatti spiegati da Giorgio Meletti: «Ciò che è accaduto il 7 novembre scorso ha dell’incredibile. Il consiglio d’amministrazione di Telecom Italia, di cui Fossati non fa parte benché sia il secondo azionista dopo Telefónica, delibera, su proposta dell’amministratore delegato Marco Patuano, un prestito obbligazionario da 1,3 miliardi “convertendo”, cioè destinato a trasformarsi in azioni. L’annuncio del “convertendo” compare sul sito di Telecom Italia alle 18,47. Fossati apprende la cosa e subito telefona alla merchant bank incaricata dell’emissione, la Morgan Stanley. Parla con il presidente, Domenico Siniscalco, simpatica persona, che giura di non saperne niente ma lo rassicura: l’emissione sarà offerta sicuramente a tutti gli azionisti. L’indomani mattina Fossati chiama per prenotare la sua parte, ingolosito dalla cedola offerta (6,125 per cento), ma scopre che il collocamento si è esaurito la sera prima, alle 22. In sole tre ore decine di investitori di tutto il mondo sono stati contattati, informati dell’operazione e condotti alla firma di contratti per complessivi 1,3 miliardi di euro. Un record di velocità che ha spinto Fossati a presentare un esposto alla Consob. Quando Fossati, rimasto a bocca asciutta, chiama nuovamente Siniscalco, quello gentilmente lo fa contattare a stretto giro da una gentile signora che si dichiara dispiaciutissima: “Ieri sera l’abbiamo cercata, caro dottor Fossati, ma lei non ha risposto alla nostra telefonata”. Così le obbligazioni convertende sarebbero rimaste “inoptate” e subito se l’è prese il fondo americano Blackrock. Dunque Fossati ha imparato, e noi con lui, che in Italia il mercato finanziario è quel posto dove ti sfilano di tasca obbligazioni per 65 milioni di euro perché non hai risposto a una telefonata. Altro che far west: le prenotazioni per l’agnello pasquale sono regolate meglio. È dunque utile capire l’ira funesta che ha spinto Marco Fossati a ottenere un’assemblea degli azionisti Telecom Italia per la revoca del consiglio d’amministrazione» [Fat 20/11/2013]. Nell’assemblea del 20 dicembre poi la richiesta di licenziare l’intero cda è stata respinta dal 50,3% del capitale votante (ma avendo votato solo il 54,6% del capitale votante, facendo le debite proporzioni, si tratta in realtà del 27,9% degli azionisti).