30 maggio 2012
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Biografia di Pietro Forno
• Torino 15 agosto 1946. Magistrato. Sostituto procuratore milanese, noto come “pm dei bambini”. «Le assoluzioni dei miei imputati fanno sempre un gran rumore, ma il 95 per cento delle sentenze mi ha dato ragione. Passo per un persecutore solo perché nessuno sa quante archiviazioni ho chiesto: più del doppio delle richieste di giudizio».
• Vicino a Magistratura democratica (Md) ma non iscritto, è uno dei procuratori del caso Ruby (vedi Silvio Berlusconi).
• «Un pm di ferro, che amici e nemici concordano nel definire tenace, rigoroso, inflessibile. Fin troppo, secondo le critiche che da sempre accompagnano il suo lavoro. Magistrato dal 1972, è il “padre” del pool investigativo che ha riorganizzato le indagini a Milano sulle violenze sessuali e sulla pedofilia. Negli anni Settanta e Ottanta, come giudice istruttore, aveva guidato importanti inchieste sul terrorismo di destra e di sinistra: da Prima Linea ai Nar di Mambro e Fioravanti. Già allora, il suo carattere deciso aveva diviso i giudizi degli stessi colleghi: magistrati come Colombo e Turone si fidavano di lui al punto da nascondere in un suo fascicolo per banda armata (Co.co.ri.) l’originale della lista degli affiliati alla loggia massonica P2; ma ancora oggi molti ricordano i suoi “memorabili scontri” con pm come Carnevali e Spataro. Dopo i maxi-processi per terrorismo ha inaugurato un settore di indagini a sfondo psicologico che hanno provocato nuove polemiche: dall’accusa di plagio a Verdiglione (condannato) alle inchieste sulla chiesa di Scientology e sui pretesi aborti facili alla clinica Mangiagalli (tutti assolti). Nel 1992, ha cominciato a occuparsi dei reati sessuali, all’inizio come unico titolare, poi come riferimento per un pool di una decina di colleghi. A lui viene attribuito il merito (o il demerito) di avere creato un metodo investigativo utilizzato in centinaia di processi per stupri o abusi: denunce e testimonianze delle presunte vittime raccolte da sezioni specializzate di polizia; perizie affidate a ginecologi e psicologi di fiducia; inserimento nelle indagini delle confidenze dei bambini agli educatori; contestazioni di complicità a coniugi e parenti che non confermano le accuse; coordinamento con il Tribunale dei minori, per allontanare subito i bimbi dai genitori sospettati; stretta collaborazione con un ristretto gruppo di istituti di tutela dell’infanzia. Una macchina giudiziaria tanto efficiente da diventare, secondo i critici, implacabile anche con gli innocenti. Di qui le proteste di questi anni contro Forno: madri che si incatenano a Palazzo di Giustizia; cortei di quartiere in difesa di imputati insospettabili; presunte vittime che ritrattano le denunce; campagne di stampa e volantinaggi contro la “fabbrica dei mostri”» (Paolo Biondani).
• «Ha affrontato la difficile inchiesta sulla P2 ed ha permesso un salto di qualità nelle indagini sugli abusi sessuali, abusi su minori» (Roberto Saviano) [Rep 23/1/2011].
• Saviano dedicò a lui e al pool che indagava su Ruby la laurea honoris causa conferitagli dall’Università di Genova, perché «stanno vivendo momenti difficili solo per aver fatto il loro mestiere di giustizia». Marina Berlusconi commentò: «Il mestiere di giustizia, come lo chiama Saviano, e coloro che sono chiamati a esercitarlo non dovrebbero avere nulla a che vedere con la persecuzione personale e il fondamentalismo politico» [Gianni Barbacetto e Antonella Mascali, Fat 6/10/2011].
• Denunciò anche abusi in comunità e istituti religiosi. Nell’aprile 2009, sulla rivista Minori giustizia parlò di «pedofilia, omertà tra i religiosi», educatori cattolici «collusi in termini culturali» con chi abusa dei minori: «Ben poche comunità hanno il coraggio di denunciare», «nessuna in ambito cattolico», e nel «fenomeno dell’abuso da parte dei religiosi, vige la regola per cui la persona sospettata, anziché essere denunciata, viene trasferita mettendo in pericolo nuove ignare vittime» mentre «la gerarchia cattolica non pende posizione».
• «Nei tanti anni in cui ho trattato l’argomento non mi è mai, e sottolineo mai, arrivata una sola denuncia né da parte di vescovi, né da parte di singoli preti, e questo è un po’ strano. La magistratura quando arriva a inquisire un sacerdote per questi reati ci deve arrivare da sola, con le sue forze. E lo fa in genere sulla base di denunce di familiari della vittima, che si rivolgono all’autorità giudiziaria dopo che si sono rivolti all’autorità religiosa, e questa non ha fatto assolutamente niente. (…) Nel 2000 scrissi su una rivista giuridica che esisteva un problema di pedofilia nella Chiesa, e un sacerdote che va per la maggiore mi replicò negando semplicemente l’esistenza del problema. Adesso quello stesso sacerdote riconosce che questo dramma è reale. Meglio tardi che mai, mi vien da dire. E visto che nelle recenti direttive del Papa è previsto che le diocesi possano rivolgersi a laici per essere aiutate e consigliate nella prevenzione di questi fatti, io sono a disposizione. Qualche idea da suggerirgli ce l’avrei» (a Luca Fazzo) [Grn 1/4/2010]. Dopo questa intervista subì un’ispezione ministeriale (Van n.14 14/4/2010).
• «Esperto di indagini su violenze sessuali e pedofilia ma protagonista nei suoi anni milanesi di alcuni errori giudiziari che discendevano da una valutazione acritica delle denunce» (Marco Imarisio) [Cds 29/3/2009].
• «Nel 2000 scoppia un vero e proprio “caso Forno” al Csm. Protagonista un tassista milanese, Marino Viola, accusato di violenze sessuali sulla figlia. Il pm Tiziana Siciliano subentra al collega Forno nel corso del processo, ne demolisce l’impianto di accusa e chiede in aula il proscioglimento di Viola. Che nel frattempo passa in carcere due anni e mezzo. Il procuratore generale Francesco Saverio Borrelli difende Forno, e lo sbaglio viene attribuito ai due consulenti del pm. Ma Forno chiede a quel punto di essere trasferito a Torino, e lì rimane per sette anni» (Angela Gennaro) [Rif 20/10/2010].
• Come pm condusse l’istruttoria nel caso Cesare Battisti (2009), e, da procuratore aggiunto coordinatore del dipartimento sui reati sessuali, con il sostituto Antonio Sangermano ascoltò più volte Ruby (l’invito a comparire per l’allora premier Berlusconi, oltre alle 26mila pagine dell’inchiesta, sarà firmato dai due con la collega Ilda Boccassini): «A giugno aveva avviato un’indagine autonoma, dopo aver ricevuto una relazione del tribunale dei minori sulla notte in questura e una seconda su una lite furiosa avvenuta il 5 giugno tra Ruby e la prostituta che la ospita, Michelle. Sangermano non sa dell’inchiesta di Forno e Forno non sa dell’inchiesta di Sangermano. Il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati si accorge che le due indagini hanno gli stessi protagonisti e le riunisce, assegnando il fascicolo ai due magistrati» (Gianni Barbacetto e Antonella Mascali) [Fat 15/6/2011]. I tre indagarono anche su Lele Mora, Emilio Fede e Nicole Minetti, accusati di induzione e favoreggiamento della prostituzione minorile e condannati nel processo “Ruby bis”.