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 2012  maggio 30 Mercoledì calendario

Biografia di Giovanni Maria Flick

• Ciriè (Torino) 7 novembre 1940. Avvocato. Politico. Ministro della Giustizia nel Prodi I (1996-1998). Nel febbraio 2000 nominato da Ciampi giudice della Corte costituzionale, dal 2005 ne fu vicepresidente, dal 14 novembre 2008 al 18 febbraio 2009 presidente. Già presidente della Fondazione San Raffaele dal gennaio al maggio 2012. Dall’ottobre dello stesso anno siede nel cda dell’Università di Genova. Candidato al senato alle politiche 2013 con il Centro Democratico di Bruno Tabacci (non eletto).
• «Padre di origine tedesca, madre piemontese, quinto di sette figli, Gianmaria è cresciuto nella religione e nella moderazione. Liceo dai gesuiti, zii nella Compagnia di Gesù, una sorella suora, università (con borsa di studio) all’Agostinianum, università cattolica di Milano. Studente modello, si laurea in Giurisprudenza, entra in magistratura e, in pieno 1968, aderisce all’Umi, la corrente delle toghe più conservatrici. Qualche anno dopo, inizia la carriera universitaria a Messina, finché nell’80 Guido Carli lo chiama a Roma, alla Luiss. Negli anni che seguono, Flick si costruisce una solida fama di avvocato, come difensore nei grandi processi di criminalità economica. Svolge anche consulenze per la Banca d’Italia, per la Consob, per l’Abi e per la Bnl. E diventa sempre più stimato e più ricco (“ma denuncio al fisco fino all’ultima lira”, ama sottolineare). Appoggiato perennemente alla sua pipa, occhiali spessi calati sugli occhi, amante dei cani lupo, moglie di nobili origini, tre figlie, Flick è appassionato di montagna (ha una casa a Courmayeur) e di libri. Di diritto, naturalmente. Guardasigilli viene nominato nel 1996. Da tecnico aveva contribuito alla stesura del programma sulla giustizia per il governo Prodi. Sua era stata l’idea di trovare una mediazione per uscire da Mani pulite, una sorta di amnistia condizionata. Una proposta che ad alcuni evocò il ricorrente fantasma del “colpo di spugna” e che, divenuto ministro, lo stesso Flick si affrettò a derubricare in “patteggiamento allargato”» (Silvana Mazzocchi) [Rep 15/2/2000].
• «Ci rendemmo conto che era sbagliato accentrare ogni cosa a Milano, dove si era creata una sorta di procura nazionale anticorruzione. Passammo l’intera estate del 1998 a discutere come uscire da Tangentopoli (...) Purtroppo ci fu una fuga di notizie, Repubblica titolò: “Il perdono dell’Ulivo”, io fui processato politicamente, emersero le ipocrisie della sinistra e non solo di quella giustizialista, in molti chiesero la mia testa» (a Aldo Cazzullo) [Cds 28/7/2013].
• «Alla Giustizia Flick è rimasto fino al 1998. E non senza terremoti. Da “tecnico”, più volte venne sospettato di remare contro la maggioranza di governo. Ma lui rimase fermo, o meglio continuò in quel suo zig zag che per certi supermoderati come lui (“cerchiobottisti” li definiscono i detrattori) è un credo e uno stile di vita. Alla fine del suo mandato, Flick torna alla sua professione, ma non demorde. Nel 1999, in piena polemica per le scarcerazioni facili (anche questo un tema ricorrente come le stagioni), ripropone il braccialetto per controllare i detenuti in permesso premio. Un’idea che aveva già avanzato da guardasigilli e che gli era costata una valanga di no. Lui, allora, l’aveva ritirata. Per ripeterla a caldo, da libero cittadino» [Silvana Mazzocchi, cit.].
• «Giurista colto e raffinato, come ministro qualcosa riuscì a portare a casa (comprese importanti novità sull’uso delle dichiarazioni rese fuori dal dibattimento) nonostante le solite fiere opposizioni dell’Anm e della procura milanese, qui nella persona di Gerardo D’Ambrosio» (Mattia Feltri) [Sta 26/7/2011].
• Smaltì 800 mila procedimenti e promosse azioni disciplinari contro i membri del pool di Mani pulite (che conosceva bene essendo stato il difensore di Raul Gardini). Il motivo: le continue esternazioni dei togati sull’operato della politica.
• Sulla sua riforma della giustizia, poi stoppata: «Nel 1997 fui fermato da D’Alema, che mi scrisse una lettera per dirmi di non intralciare i lavori della Bicamerale» [a Cazzullo, cit.].
• Fu sfiduciato (con Giorgio Napolitano, all’epoca agli Interni) da Lega e Udeur per aver conciliato la fine della latitanza di Licio Gelli con la sua esigenza di non andare in prigione.
• Nel 2011 nominato, sotto indicazione del segretario di stato vaticano Saverio Bertone, nel cda della Fondazione Università San Raffaele del monte Tabor in crisi finanziaria. Appena insediato disse a Don Verzé: «Noi siamo qui per salvare il San Raffaele, anche se forse qualcuno non l’ha ancora capito». Diventò presidente della fondazione il 18 gennaio 2012, incarico che terminò in maggio quando le attività vennero trasferite alla nuova società Ospedale San Raffaele srl.
• Bertone lo avrebbe voluto anche presidente dell’Aif (autorità di vigilanza sull’applicazione delle norme antiriciclaggio in Vaticano) e, soprattutto, dell’istituto Toniolo, per contrastare la forza del cardinale Dionigi Tettamanzi (non se ne fece nulla).
• Nel febbraio 2014 il suo nome circolò come possibile ministro della Giustizia del governo Renzi.
• Problemi di cuore: «Tre bypass aorto-coronarici ed altrettanti stent, oltre ad una più che decennale frequentazione con vari cardiologi. Non posso dimenticare che il mio mal di cuore cominciò all’indomani della fine della mia esperienza di ministro della Giustizia, dove evidentemente la vita non era esattamente un relax» [Iog 16/12/2008].
• Giuliano Pisapia l’ha nominato commissario per l’Expo milanese del 2015.
• Sposato con Marinella, tre figlie.