30 maggio 2012
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Biografia di Elio Fiorucci
• Milano 10 giugno 1935 - 19 luglio 2015. Stilista. «La moda è una delle scritture della nuova democrazia delle idee».
• «Guru della moda presa dalla strada e teorico dell’originalità individuale nel vestire» (Egle Santolini).
• «Io sono nato il 10 giugno del 1935, in un periodo sfortunato per umanità perché dopo pochi anni scoppia la seconda guerra mondiale. Dopo un bombardamento a Milano, i miei genitori hanno deciso di lasciare la città. Temevamo sarebbe finito il mondo» (a Eloisa Reverie Vezzosi) [Vice.com 19/5/2015].
• «Da bambino ero discolo, mi ribellavo, volevo la mia autonomia, non mi piaceva andare a scuola. Così ho cominciato a lavorare presto. Il lavoro mi ha realizzato: non ho perso il sapere della scuola, piuttosto ho acquistato i saperi della vita. Lavoravo come commesso nel negozio di calzature di papà: lì ho capito che sapevo scegliere, che ero in sintonia con quello che piaceva alla gente. Sentivo la necessità di fare delle cose perché vedevo che le persone intorno a me le capivano. Risolvere i problemi è sempre stata un’attività che mi affascinava: in fondo è nella natura di tutti gli uomini essere un po’ bricoleur».
• Dopo aver lavorato col padre se n’è andato a Londra: una folgorazione davanti alle vetrine di Biba. Torna, e nei negozi paterni compaiono all’improvviso meravigliosi stivaletti di tutti i colori [Specchio].
• Oltremanica aveva trovato un caos che «testimoniava un rapporto nuovo, libero con il problema del vestire (...) La moda non scendeva più dall’alto, come lo Spirito Santo, ma dal basso. Ho soltanto un merito. Averlo capito» [Sofia Gnoli, Moda. Dalla nascita della haute couture a oggi, Carocci, 2012].
• Nel 1967 aprì la sua prima boutique a Milano. Il successo fu tale da fargli aprire in breve tempo punti vendita anche a Londra (1975), New York (1976) e Los Angeles (1979).
• «Negli anni che poi sono stati definiti di piombo, i colori di Fiorucci danno un tono al luogo. Il suo negozio, inizialmente senza insegna, imperniato intorno alla scala azzurra disegnata da Achille Castiglioni, con le vetrine prive di quinte, che annullano la separazione tra il dentro e il fuori, conviveva con le tute paramilitari e i vestiti borghesi dei sanbabilini (cappotti color cammello chiaro e guanti neri), e il verde dell’eskimo dei compagni» (Marco Belpoliti) [Sta 20/11/2007].
• «Aprimmo senza fare pubblicità, Panorama diretto da Lamberto Sechi ci dedicò 5 pagine: diventammo subito un fenomeno! Nel 1974 fu la volta del megastore di via Torino dove servivamo hamburger (non c’erano ancora i fast-food) su piatti Richard Ginori. Colori fluorescenti, stivali mandarino e i dischi in hit-parade che compravo a Londra e New York. Il sesso non era più un tabù, ma le nostre campagne pubblicitarie con le splendide foto di Oliviero Toscani non erano mai volgari. Basta Levis. Nel 1973 a un modellista di Valentino feci fare i primi “fashion jeans”, tagliati per fasciare il sedere delle ragazze. Fu un vero boom: un milione e 200 mila pezzi venduti in Europa. Erano gli anni in cui la gente cominciava a viaggiare, a scoprire altri modi di vivere. Ogni sei mesi andavamo a Kabul a comprare i montoni. Fantastici, dignitosi afghani! Al capo del Bazar con l’ordine anticipavamo i soldi: non è mai mancata una lira!» (da un’intervista di Chiara Beria di Argentine).
• «Angioletti, jeans e minigonne Insieme alle t-shirt stampate con gli angioletti vittoriani e alle minigonne di tulle, i jeans aderentissimi sono una sorta di tratto distintivo del marchio Fiorucci» [Gnoli, cit.].
• «Volevo dimostrare costantemente alle persone di volergli bene e così nel 1970 è nato il logo con i due angioletti, su un’immagine vittoriana riadattata da Italo Lupi» [Eloisa Reverie Vezzosi, Vice.com 19/5/2015].
• «“È un sognatore, signora, guarda sempre fuori dalla finestra”. Così diceva il maestro a una mamma bruna, con gli occhi neri e brillanti e un sorriso di quelli che si fanno perdonare tutto. Lo stesso sorriso del figlio. La mammina e quel bimbetto, sfollati durante la guerra sul lago di Como, si assomigliavano moltissimo, tanto che il figlio, diventato grande e famoso, dice con tenerezza: “La mia mamma sembrava me”. Il maestro di quel bambino aveva capito fino a un certo punto perché da adolescente, da giovinotto, da adulto quel sognatore si rivelò uno che i piedi sapeva tenerli anche per terra. Elio Fiorucci, quel ragazzino che tanto somigliava alla mamma, ereditato un negozio di pantofole, ha costruito da solo il più allegro, avanguardistico impero della moda che il made in Italy ricordi. Fiorucci è sempre stato l’avanguardia e lui rispecchiava le sue vetrine. Con quella faccetta tonda da signora perbene e quegli occhi malandrini da ragazzino permale Fiorucci ha segnato la moda giovanile italiana e lui si è lasciato segnare dai giovani. È sempre la curiosità a guidarlo. Lui vuole sapere tutto prima degli altri. Se una nuova moda arriva dall’America, dalla Cina o dall’India è certo che lui già lo sa e ha già fatto in modo che il suo negozio abbia tutto» (Lina Sotis).
• "Elio Fiorucci è stato il primo a portare il jeans in Italia". Quando ha capito che era proprio quello il materiale su cui puntare? E cosa rappresenta per lei questa sua rivoluzione?
• Tra i primi a portare il jeans in Italia: «Questa è stata l’invenzione che ha cambiato il mondo. Un giorno ero con mia moglie a Ibiza e, mentre stavamo girando in macchina, tra i casolari sparsi abbiamo visto delle bellissime ragazze in topless e jeans che si tuffavano nell’acqua e questi pantaloni restavano completamente aderenti. Il risultato erano gambe e sederi bellissimi. Non erano semplicemente donne, ma statue blu indaco. Una delle mie ossessioni è diventata questa: far indossare alle donne non jeans da uomo, ma un tipo che fosse adatto a loro. Così è nato il fashion jeans. Una volta tornato a Milano ho comprato un rotolo di denim, era un tessuto che si ristringeva e fasciava la gamba. Questo è stato il nostro successo. E sicuramente questo è l’oggetto a cui sono più legato. Tutte le donne facevano la fila per comprarli, volevano esibire le loro gambe pur tenendole coperte» [Eloisa Reverie Vezzosi, Vice.com 19/5/2015].
• «Più siamo contadini e più abbiamo la possibilità di diventare intelligenti. Gli stupidi che ho conosciuto nella mia vita sono tutti cresciuti in un grattacielo».
• Ha venduto il marchio ai giapponesi di Edwin International nel 1990. Collabora con Oviesse, gruppo Coin, con due linee dedicate ai più giovani: Baby Angel e Love Therapy. «Il business dell’abbigliamento non è finito, più che altro è spostato verso il low cost. Perché l’abito è fonte di gratificazione e, anche in tempi di crisi, fare shopping resta un piacere a cui non si rinuncia» (a Laura Asnaghi) [Rep 28/11/2008].
• Nel 2013 con Love Therapy ha disegnato una collezione per il quarantesimo degli accendini Bic. Nello stesso anno sua la prima maglietta di Milano Design, progetto del capoluogo lombardo che coinvolgeva grandi firme per dare lustro al brand Milano.
• Ha detto che a un uomo, per rifarsi il guardaroba, bastano 200 euro: 79 per un completo classico, il resto per jeans, camicia e giacca a vento da usare anche di sera. Poco di più per le donne, 250 euro: un paio di jeans, due camicie bianche, un bel cappotto e un paio di stivali.
• Gran frequentatore del Plastic di Milano, dove negli anni Ottanta riuscì a portare Andy Warhol e il giro della Factory. Nel 2012 ha prestato alcuni suoi oggetti alla mostra sul kitsch in scena alla Triennale: una serie di Brontolo, Pisolo e altri nani, manette di piume di struzzo rosa e una lampada leopardata sostenuta da due gambe di donna.
• «Andy mi invitava spesso alla Factory, il mio inglese anche allora era stentato, ma riuscivamo comunque a capirci in quella bolgia meravigliosa fatta di parole italiane, spagnole, francesi, tutte mescolate. Ad un certo punto gli chiedo perché i suoi quadri mi sembrassero così moderni e lui risponde: “Perché mi sono ispirato ai neon di New York facendo la mitologia della contemporaneità”. Io timidamente, non sentendomi all’altezza di parlare di pop art con lui, dico: “È vero, qui ci sentiamo al centro del mondo, ma io sono più felice in campagna”. Tutti mi hanno guardato come se fossi uno scemo. Passano due mesi e Warhol mi invita di nuovo, questa volta a casa sua dove viveva con Bob Colacello, il più prestigioso antiquario d’America, e lì mi mostra la raccolta di dipinti dell’Ottocento inglese, con immagini di animali al pascolo. Vedo quei quadri e risento le emozioni di quando ero ragazzino e mi avvicinavo alle capre con le mani piene di sale. Mi sono commosso: lì, davanti ai dipinti, ho capito quanto Warhol mi stimasse. Era affascinato da chi rompeva gli schemi e aveva il coraggio di andare controcorrente» (a Daniela Monti) [Cit.].
• «La mia amica Mary Pole mi disse di essere convinta che era stato più lui a essere rimasto impressionato da me che io da lui!» [Eloisa Reverie Vezzosi, Vice.com 19/5/2015]
• «Per tanto tempo ho avuto paura. Poi, provando e riprovando, ho perso la timidezza, che non vuol dire diventare arroganti, ma sentire che attorno ci sono tante persone che ti vogliono bene e che sono pronte a sostenerti. Troppo spesso siamo bloccati dal timore di non essere accettati: io l’ho superato vedendo che, in definitiva, riuscivo a fare le cose con passione. Adesso “fine della paura, inizio della vita” è il mio motto. E per vita intendo la mia insieme a quella di tutti noi».
• «La t-shirt è un foglio di carta bianca dove ognuno può applicare un messaggio» (a Gabriella Ledda) [Cds 8/6/2012].
• «La moda è la scrittura della nostra personalità e questo diventa ancora più vero con il passare del tempo» [a Santolini, cit.].
• «Non bevo, non fumo e sono vegetariano. Determinante è stata la lettura di Se niente importa. Perché mangiamo gli animali di Safran Foer. Mi ha convinto che abbiamo una responsabilità individuale verso il nostro sistema di alimentazione che non può favorire la tortura degli animali. Penso si possa provare piacere per la tavola anche senza la carne, non è poi una grande rinuncia» (a Roberta Schira) [Cds 5/3/2013].
• «Ho scritto una lettera al ministro per le Riforme Boschi perché introduca nella Costituzione il principio del rispetto per gli animali. Come possiamo vendere l’immagine dell’Italia Paese della cultura, se poi strappiamo i figli alle madri che li hanno appena partoriti? Perché è questo che facciamo alle mucche e ai vitelli. Non sono religioso, ma sono sicuro che esista una sorta di “religione cosmica” per cui se sei distruttivo, sarai distrutto. Ci siamo ridotti ad essere come pidocchi su quel grande albero che è il nostro me pidocchi su quel grande albero che è il nostro pianeta. Dobbiamo finalmente capire quello che si può mangiare e quello che non si può, perché è frutto di una violenza senza fine. Io un giorno ho detto basta. Non è stata una decisione improvvisa, erano anni che ci pensavo. Ho smesso di mangiare la carne» (a Daniela Monti) [Cds 11/7/2014].
• «Ad ascoltarmi, sembro un saggio, invece poi nella vita, o per distrazione o per leggerezza, si finisce per dimenticare gli affetti più veri. Io non posso insegnare nulla a nessuno. In certi momenti si diventa diavoli non perché si sia cattivi, ma perché la vita ci porta in un’altra direzione, ci distrae, ci fa prendere scorciatoie e passare con il rosso. Io sono stato distratto dal privilegio di poter fare ciò che mi piaceva. Così ho avuto persone che mi volevano un bene dell’anima, ma quando hanno avuto bisogno di me ho risposto: non ho tempo, ho così tante cose da fare. Ho tanti sensi di colpa».
• Abitava in un appartamento di viale Vittorio Veneto a Milano. La sua giornata tipo: «Mi alzo molto presto, faccio un salutare bagno disintossicante, poi c’è la colazione, i giornali e il tg. Alla fine esco bello fresco, riposato e pieno di energia. E quelli che mi incontrano mi dicono che non invecchio mai» [ECus, grn cit.].
• Domenica 20 luglio 2015 all’età di 80 anni, è stato trovato morto nella propria abitazione a Milano stroncato da un malore. Lo stilista non rispondeva da domenica al telefono e per questo i familiari hanno dato l’allarme. A trovarlo senza vita sono stati i soccorritori.
• «Chi sono oggi i miei eredi? I milioni di ragazzi che come me, in ogni angolo del mondo, grazie a Internet, stanno cambiando la nostra coscienza collettiva» (a Daniela Monti) [Cit.]
• Sposato due volte, tre figlie, due dal primo matrimonio, una dal secondo («niente nomi, credo nella privacy»).