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 2012  maggio 30 Mercoledì calendario

Biografia di Franco Ferrarotti

• Palazzolo Vercellese (Vercelli) 7 aprile 1926. Sociologo. Professore emerito di Sociologia all’Università La Sapienza di Roma. Si divide tra Italia e Stati Uniti. Ancora nel 2013 teneva lezioni alla New York University (per l’ultimo anno) e alla Sorbona, ma ha insegnato anche in America Latina, Russia, Giappone. A Parigi ha diretto la Maison des Sciences de l’Homme. Nominato Cavaliere di Gran Croce da Ciampi. Dal 1958 al 1963 fu deputato (per il Movimento Comunità di Adriano Olivetti, del quale rilevò il seggio quando, dopo appena un anno di mandato, lui decise di dimettersi): «La politica mi piaceva troppo, finiva per mangiarmi la vita. Il piacere di una vittoria politica è più forte di un orgasmo». Da ex parlamentare prende una pensione di 3.108 euro.
• «Quando nacqui mi diedero per spacciato. La mia salute era fragilissima, la mamma malata non poteva allattarmi. Fui spedito a sei mesi a Robella dai bisnonni che mi sfamarono con il latte di vacca. Ero troppo debole e per le dure leggi del mondo contadino venivo considerato uno scarto. Un peso da cui liberarsi. Ho cominciato a parlare a cinque anni. Pensavano fossi un ritardato mentale. Paradossalmente fu un vantaggio, perché il silenzio sviluppò in me le capacità di osservazione, che arricchii leggendo. Alla biblioteca comunale passavo le giornate. Mio padre cominciò a odiarmi. Diceva con disprezzo: diventerai un uomo di carta. Non ha avuto tutti i torti. L’ho anche scritto: sono nato in mezzo ai libri. Morirò baciando la loro polvere. Aveva ragione mio padre: sono un uomo di carta» (ad Antonio Gnoli) [Rep 27/3/2013]. Non ama essere definito “decano della sociologia”: «Non poteva farmi un insulto peggiore. La sociologia è morta» (Gnoli, cit.).
• Cesare Pavese il suo padre spirituale («Un fratello maggiore»), negli Usa fu amico di Faulkner. Era nel selezionatissimo gruppo di intellettuali su cui Olivetti puntò per fare il grande salto: con lui, anche lo scrittore Paolo Volponi, i poeti Franco Fortini e Giovanni Giudici, il critico letterario Renzo Zorzi, il collega sociologo Luciano Gallino e il designer Ettore Sottsass (Paolo Bricco) [S24 17/2/2010]; e ancora Geno Pampaloni, Furio Colombo, Franco Momigliano, Tiziano Terzani, Bruno Zevi, Ottiero Ottieri. Da «olivettiano doc», raccontò così l’incontro nel 1952 a Chicago tra l’imprenditore di Ivrea e un gruppetto di professori universitari – scienziati sociali, politologi, economisti –, ai quali voleva esporre il proprio pensiero politico: «Uno degli invitati arriva in ritardo e chiede a un collega di riassumergli che cosa avesse detto l’ospite italiano: “Ha appena finito di spazzar via i partiti politici”, si sente rispondere» (Alberto Papuzzi) [Sta 7/4/2009].
• Negli anni 60 fece parte dell’associazione Italia-Urss guidata dallo storico Paolo Alatri, al fianco di figure come Giuseppe Pisanu, Riccardo Lombardi, Giulio Einaudi, Vito Laterza, Walter Pedullà e Claudio Abbado.
• Tra gli ultimi libri: America oggi. Capitalismo e società negli Stati Uniti (Newton Compton 2006), Vita e morte di una classe dirigente (Edup 2006), Diplomatico per caso (Guerini e Associati 2007). In Un popolo di frenetici informatissimi idioti (Edizioni Solfanelli, 2013) attacca il popolo di Google, Facebook, Twitter, quelli che «sanno tutto ma non capiscono niente», Ne La strage degli innocenti. Note sul genocidio di una generazione (Armando editore, 2011) analizza i rapporti travagliati tra giovani e vecchi. Da ultimo La concreta utopia di Adriano Olivetti (Dehoniane, 2013).
• «È un mostro sacro della cultura italiana. Nessuno, che abbia una certa età, può dimenticare che è stato lui a sfondare la cortina di ferro “crocio-marxista” liberando l’insegnamento della sociologia dalla criminologia, dandole la dignità di disciplina autonoma. Poi Franco Ferrarotti non è stato solo professore in patria, ha insegnato in varie parti del mondo, è stato anche deputato, ha indagato sulle borgate non solo romane, ha scritto un sacco di libri, tutti piuttosto provocatori» (Valentino Parlato).
• «Famiglia di agricoltori, le malattie infantili fecero di lui un lettore precocissimo. Passava molto tempo da solo, cominciò a parlare e camminare tardi. “Credevano che fossi un po’ ritardato. Così, ho vissuto più tranquillo. Non ti assillano di richieste. Non ti si mette alla prova”. Occupava il tempo leggendo libri trovati in un cassettone: Tolstoj e Dostoevskij. Sui dieci anni, I dialoghi di Platone sono stati il suo Salgari: “Li divoravo come libri d’avventura”. La passione per la sociologia ha avuto la stessa origine, un po’ carbonara. I genitori mandavano il giovane Ferrarotti al mare a Sanremo, per curare l’asma. Invece di stare in spiaggia al sole, lui si rifugiava nella biblioteca civica, fornita di tomi della sociologia positivista: “Mi trovai fra le mani Cesare Lombroso o Alfredo Niceforo, salvandomi dal vaniloquio ‘io/non io’ di Gentile e Croce”. Quando si iscrive a Filosofia a Torino, persegue questo interesse disciplinare» (Alberto Papuzzi).
• «A Torino, ferita dai bombardamenti e dalla fame, Ferrarotti arriva, molto giovane, “povero di soldi, ricco di energia”, nel 1943, dopo aver tagliato i ponti con la famiglia. L’obiettivo è conquistarla. Studia 10 ore al giorno. Conosce la città “camminando da pensione a pensione, da alloggio a alloggio”. Si dà molto da fare per tradurre, il suo modo per sopravvivere. Si imbatte in alcuni “amici straordinari”, per puro caso e persino per errore: Felice Balbo; Cesare Pavese, che gli dà da fare delle traduzioni, attorno alle quali si costruisce il loro rapporto e con il quale si intende “a occhiate”; Nicola Abbagnano, dalla cui collaborazione nascono I Quaderni di Sociologia (il primo numero esce nell’estate del 1951). “Abbagnano riconobbe nella sociologia lo strumento che gli dava la possibilità di uscire dalla filosofia tradizionale e di dare alla sua coscienza problematica un fondamento scientifico”. Sono anni meravigliosi. E deve ringraziarli: gli fanno capire che “la ricerca sociale, empirica, di fatto consentiva, per prima cosa, la partecipazione dell’umano all’umano... E poi significava anche lotta contro l’ufficialità”. Che è il pane per uno studente universitario che si considera un “anarco-sindacalista”, interessato alla sociologia critica americana. A dispetto di Benedetto Croce che aveva stroncato sul Corriere della Sera la sua traduzione del saggio di Thorstein Veblen La teoria della classe agiata. Ivrea suggella l’incontro, politico, ideologico, spirituale e ideale, con Adriano Olivetti, e i primi collaboratori delle Edizioni di Comunità, sulla strada dell’utopia. “L’utopia era industrializzare senza rovinare l’ambiente. Anticipavamo di 50 anni le chiassose polemiche odierne contro il G8. Eravamo l’avanguardia, misconosciuta, del ‘popolo di Seattle’”. L’ingegnere è “la possibilità di avere una sintesi della ricerca sociale, sociologica, e dell’impeto trasformatore e riformatore che era in fondo ciò che volevo”. A Ivrea non esisteva la parola licenziamento; c’era un grande rispetto per l’ambiente in cui la fabbrica era nata e si sarebbe sviluppata. Ed è “nel Canavese”, punto di partenza, che “avevamo la possibilità di praticare le nostre idee”, di affiancare l’attività pratica allo studio teorico. “La comunità canavesana cresceva senza perdere la sua anima contadina. Questo è il punto: senza perdere la sua stabilità fondamentale”. Ma l’esperimento comunitario si infrange, agli inizi degli anni Sessanta, per l’odio dei partiti politici e delle strutture esistenti. A Roma, dove arriva quasi per caso nel 1953, si dipana il terzo scenario della inarrestabile volontà di ricerca di Franco Ferrarotti, alimentata dalle borgate, dai grattacieli proletari e sottoproletari, naturalmente dall’università e dall’insegnamento» (Luigi Vaccari).
• Tra i suoi molteplici interessi, i problemi del mondo del lavoro e della società industriale e postindustriale, i temi del potere e della sua gestione, i giovani, la marginalità urbana e sociale, le credenze religiose, le migrazioni. Frase manifesto: «Più che “la conoscenza” contano “le conoscenze”». Una particolare attenzione ha dedicato alla città di Roma. «Le periferie sono un mosaico culturale ed etnico, e se si fermassero non andrebbe avanti il centro. Il futuro è della metropoli policentrica, com’è stato giustamente intuito dall’attuale amministrazione capitolina (Giunta Veltroni - ndr). Oggi non c’è più un centro e una periferia, c’è una comunità umana» (a Simona De Santis).
• «Oggi il chief executive officer - o ceo - non legge. Pianifica. Non sa. Intuisce. E decide. Senza esitazione. Senza troppi scrupoli. Tiene a mente quello che sapeva Shakespeare: « Conscience doth make coward of us all», “La coscienza ci fa codardi ed esitanti”» (da America oggi. Cit.).
• Dorme al massimo 5 ore: «Funzioniamo h24, senza distinzione tra giorno e notte. E il lavoro vero lo si fa solo rubando ore al sonno» (ad Alessandra Mangiarotti) [Cds 27/3/2010].
• Sposato, tre figli.