30 maggio 2012
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Biografia di Salvatore Ferraro
• Locri (Reggio Calabria) 24 gennaio 1967. Uno dei due assistenti di Filosofia del diritto condannati per l’omicidio della studentessa Marta Russo (colpita da un proiettile il 9 maggio 1997 mentre passeggiava sul viale dell’Università La Sapienza di Roma che fiancheggia la facoltà di Giurisprudenza). Secondo l’accusa, non sarebbe comunque stato lui a sparare. Avesse accusato l’altro condannato, Giovanni Scattone, sarebbe uscito dal carcere: il fatto che non l’abbia mai fatto è secondo molti la prova della sua innocenza. Condannato per favoreggiamento, si dichiarò innocente fin dal momento dell’arresto. «Accusato nelle indagini preliminari Ferraro va in carcere e poi ai domiciliari. Condannato in primo grado, torna in libertà. Condannato definitivamente finisce di espiare la pena, dopo di che il suo tentativo di lavorare suscita un moto di indignazione nell’opinione pubblica fedelmente riportato dai mezzi di informazione» (Massimo Bordin) [Fog 27/11/2012].
• La Cassazione ha ritenuto che i due possano ancora avere incarichi pubblici. Tiziana, sorella della vittima: «Non parlo da un punto di vista giuridico ma di opportunità. Ascolto spesso Salvatore Ferraro che dichiara ancora la sua innocenza in tante trasmissioni radio e tv. Anche lui si è costruito una sua dimensione: suona in un gruppo, fa volontariato. Ma sfrutta la sua notorietà per mettere in discussione qualcosa che è definitivo. Stabilito da una doppia sentenza della Cassazione» (a Daniele Mastrogiacomo) [Rep. 19/12/2011].
• Salvatore Ferraro dovrà pagare tutte le spese del giudizio e della detenzione carceraria, circa 300 mila euro: fanno parte della pena, e del resto può lavorare come avvocato e pagare una cifra che, seppure alta, non compromette il recupero e l’inserimento sociale. Lo ha stabilito la Cassazione, rigettando il suo ricorso contro l’ordinanza del magistrato di sorveglianza di Roma che confermava il suo debito di 300.468 euro. Il giudice aveva ritenuto che Ferraro, condannato in via definitiva a 4 anni e 2 mesi, non fosse indigente, anzi disponesse di «un’attività lavorativa idonee a garantirgli una certa agiatezza» (il Fatto Quotidiano 19/4/2013)
• «Non c’è l’arma del delitto. Il proiettile, che ha colpito Marta poco sopra l’orecchio, frantumandosi in undici schegge, è un calibro 22 del peso di 2,6 grammi. Ma quale arma l’ha esploso e soprattutto da dove? Alla Sapienza si trovò un armamentario e un poligono di tiro. C’erano P38, silenziatori, pistole giocattolo, munizioni e tracce di polvere da sparo. Undici giovanotti dell’azienda delle pulizie si divertivano a fare il tiro a segno nei magazzini e nei sotterranei dell’università. Spararono loro? Spararono dalla toilette riservata agli handicappati dove furono rintracciati sedimenti di polvere da sparo? Era una traccia che conduceva al nulla: in quel bagno poteva essere entrato chiunque. Inquirenti e investigatori cambiarono allora strategia. Partirono dal foro d’entrata del proiettile. Marta camminava nel vialetto della Sapienza, era girata verso sinistra con il capo leggermente piegato verso il basso. Se la testa era in quella posizione (ma lo era?), il bagno degli handicappati non c’entrava nulla perché il colpo era venuto dall’alto, alle spalle di Marta. “Quindi” dall’aula 6, dall’aula degli assistenti di Filosofia del Diritto. Sul davanzale di quell’aula, si rintracciano antimonio e bario. Non sono sufficienti per dire che sono tracce di uno sparo (manca il piombo). Occorrono dunque testimoni che affermino: in quell’aula hanno sparato; in quell’aula c’erano Tizio, Sempronio e Caio. Io li ho visti sparare. Passano i giorni (dodici) e i testimoni saltano fuori. Comincia Chiara Lipari che, il 9 maggio, entra nell’aula 6 alle 11,44 (due minuti dopo lo sparo). Dice: “Quando sono entrata nella sala assistenti per chiamare mia madre, avevo la finestra di fronte che era illuminata dall’esterno, ma non ho visto nessuno vicino a essa. Ho avuto la sensazione netta che nella stanza ci fosse una forte tensione nell’aria... Nella stanza c’erano due o tre persone, due certamente di sesso maschile, una probabilmente di sesso femminile...”. Probabilmente la persona di sesso femminile è Gabriella Alletto, impiegata di segreteria. La interrogano in modo perverso e la minacciano di arresto. Lei si difende: “Non ero lì”, confida (intercettata) a un ispettore di polizia, suo cognato. Alla fine, dopo tre giorni, cede: “Sono stati loro. Scattone ha sparato dalla finestra, Ferraro si è messo le mani nei capelli”. Il processo contro Scattone e Ferraro è questo» (Giuseppe D’Avanzo).
• «Erano amiconi già prima del fattaccio Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro (…): la direzione di Regina Coeli li piazzò nella stessa cella e i due chiesero di essere divisi. “Non vorrei che con la scusa di rispettare la loro amicizia vogliano piazzare microspie sotto le brande”, spiegò uno dei legali» (Fabrizio Peronaci) [Cds 7/10/2009].
• Tiziana Russo: «Marta è morta. È stata uccisa da una pallottola. C’è la sua tomba, ci sono i suoi ricordi, c’è la sua figura in tante iniziative pubbliche. Ma ad ucciderla è stato Giovanni Scattone con la complicità di Salvatore Ferraro. Questa è la verità. Storica e processuale. Una verità grande come la memoria di una studentessa, assassinata per gioco all’università» (Mastrogiacomo, cit.).
• Annalisa Chirico ricostruì la sua vicenda giudiziaria in Condannati preventivi (Rubbettino, 2012), mentre Scattone vi dedicò un lungo articolo apparso su L’Europeo (n. 3, 2007).
• Il magistrato che sedette in prima Corte d’assise a Roma sul caso Marta Russo era Giancarlo De Cataldo.