30 maggio 2012
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Biografia di Giorgio Ferrara
• Roma 19 gennaio 1946. Regista (teatrale, cinematografico e televisivo). Dal dicembre 2007 direttore del Festival dei due mondi di Spoleto, riconfermato nel 2012 per altri cinque anni. In precedenza direttore dell’Istituto italiano di cultura di Parigi (dal novembre 2003). Tra gli ultimi lavori teatrali, Aldo Moro: una tragedia italiana.
• Nel 2010 successo al debutto nella regia lirica «con un’inquietante e elegante operina di Henze Gogo No Eiko. Standing ovation, pubblico estasiato» (Lina Sotis). Nel 2011 ancora opera, con Amelia al ballo di Menotti (il fondatore del Festival, a cento anni dalla nascita), e così anche nel 2012, con Madama Buttefly di Puccini e Il giro di vite di Britten, «la sua migliore regia» (Paolo Isotta). Nel 2013 lo spettacolo di teatro-danza The Piano Upstairs (con il ritorno sul palcoscenico dell’étoile Alessandra Ferri).
• «È cresciuto in una famiglia con forti motivazioni politiche. Le ha schivate tutte in favore dell’arte, fin dalla precoce iscrizione all’Accademia nazionale d’arte drammatica che pose la parola fine al corso di filosofia che gli aveva consigliato papà, primo presidente comunista della Regione Lazio. “Mia madre era il capo della segreteria di Togliatti, mio padre lavorava all’Unità, mio fratello Giuliano non era ancora nato, io ero piccolo e venivo parcheggiato sistematicamente a casa Togliatti, nel quartiere Montesacro, a Roma”, racconta. “Palmiro era temutissimo ma io lo consideravo un vecchio zio. Le frequentazioni di mio padre e mia madre (e più tardi di mio fratello) erano quasi esclusivamente politiche, un giorno Amendola e l’altro Alicata, Napolitano o Berlinguer. L’intera famiglia si trasferì a Mosca nei primi anni Sessanta, quando mio padre, all’epoca di Krusciov, fu nominato corrispondente dell’Unità in Russia (Ferrara parla russo fluentemente, ndr). Ma la politica ha appassionato mio fratello più di me, ci voleva una reazione in famiglia. Io amavo Mick Jagger più dei Beatles, ammiravo Andy Warhol e la sua Factory – precocemente intrigato dall’idea del laboratorio”» (Giuseppe Videtti).
• «Allievo di Luca Ronconi nella regia e spronato da Luchino Visconti a fare pure l’attore, nascondeva in famiglia la propensione a esibirsi in palcoscenico. La nonna materna era un’ottima pianista, il padre Maurizio, personaggio di spicco dell’aristocrazia comunista, scrisse un musical in versi con lo pseudonimo di “Anonimo italiano”, e il più giovane fratello Giuliano fin da piccolo cercava di trovare lo spazio a lui più consono sulle scene affollate della politica di casa nostra. Per di più Giorgio si è scelto per moglie la straordinaria e simpatica Adriana Asti, una delle migliori attrici italiane. E proprio lei, la compagna della vita, Ferrara ha voluto dirigere nei film Un cuore semplice del 1977, con cui Giorgio vinse il David di Donatello, e Tosca e altre due del 2002. In teatro la coppia Asti-Ferrara si è ritrovata anche nel campo interpretativo, dando vita ai due coniugi protagonisti de Le sedie di Eugène Ionesco» (Franco Manzoni).
• Nel 2011 coppia nuovamente in scena per celebrare i 150 anni dell’Italia unita con lo spettacolo di lettura Patrie lettere. Giudizio della moglie sul marito interprete: «Abbastanza bravo, molto disinvolto e soprattutto, non essendo un vero attore e avendo il buon gusto di andare in scena raramente, non ha l’ansia del palcoscenico» (a Emilia Costantini).
• Nel 2016 ancora sul palcoscenico da attore in Danza Macabra di Strindberg, «lo spettacolo teatrale che Luca Ronconi allestì a Spoleto nel 2014, la sua penultima creatura prima della scomparsa nel febbraio 2015, un testo insidioso che Ferrara affronta con imprevedibile, potente spavalderia, considerando la sua poca esperienza come attore. “A Ronconi divertiva il fatto che fossi io a farlo, e con le spalle coperte dal genio ho accettato”, racconta. “L’inchiavardamento registico che ha fatto del mio personaggio è talmente forte che non posso far altro che ripetere esattamente la parte come lui l’ha concepita. È tutta farina del suo sacco. Ho accettato proprio perché a chiedermelo è stato il mio maestro, colui che mi strappò all’Accademia già al primo anno e mi portò a lavorare con sé. Sono stato per dieci anni il suo aiuto regista, poi ogni tanto mi metteva in scena a fare delle particine, in spettacoli immensi come l’Orlando furioso. Pensi che ho avuto l’onore di fare una piccolissima parte accanto a Gassman, quando Luca mise il scena quel meraviglioso Riccardo III”» (Giuseppe Videtti).
• «Il teatro di prosa è la sua vita. Due anni fa ha scoperto la lirica e ora dice che è la cosa che più gli piace al mondo: “Rispetto alla prosa, poi, un regista è più tranquillo. Ci sono meno problemi perché hai la musica, non si scappa, è un’operazione matematica. Bisogna cercare di non disturbare i cantanti con delle stramberie”. Una passione tardiva di famiglia, quella per l’opera, visto che suo fratello, Giuliano Ferrara, ormai si vede a ogni prima» (Valerio Cappelli).
• Risollevò il Festival dei Due mondi dopo una dura crisi finanziaria e gestionale: «Tutti gli amici mi dicevano, lascia perdere, chi te lo fa fare? Io invece ero incuriosito, perché venivo da un’esperienza simile, avevo diretto per quattro anni l’Istituto italiano di cultura a Parigi. Anche lì trovai una situazione disperante, un posto dove venivano soltanto italiani a far merenda. Così pensai di raccontare la nostra cultura ai francesi attraverso lo spettacolo, costruendo all’interno del salone un teatrino del Settecento. Sono ottimista per natura, e con lo stesso spirito affrontai Spoleto. Il primo anno fu faticosissimo, perché il festival era diventato un fantasma. Così mi affidai alla mia agenda: chiamai Robert Wilson e Luca Ronconi. La loro ripetuta presenza è stato un traino formidabile» (a Giuseppe Videtti). Risultato: da cinquemila presenze il festival si è stabilizzato nel 2015 su settantamila, recuperando lo smalto che si pensava avesse perso per sempre.
• Adriana Asti ha tredici anni più del marito: «Secondo me lui è più vecchio di me, dimostra più della sua età. Quando ci siamo conosciuti, Giorgio era poco più di un ragazzino, ma io sono sempre stata un po’ sua figlia» (a Emilia Costantini).
• Si conobbero nel 1970, durante un viaggio a New York per l’allestimento dell’Orlando Furioso di Ronconi.
• «Adriana si sente molto più giovane di me. E lo è nello spirito. Io, d’altronde, ho sempre frequentato persone più grandi, non ho amici della mia età. Abitudinario e sedentario io, asociale lei; si rifiuta categoricamente di seguirmi nelle attività di rappresentanza, ha paura della noia. Dice: sono sicura che quando morirò sarà per noia, quindi non voglio accelerare la fine. Quarantacinque anni insieme son tanti, ma non troppi per un rapporto che non è mai degenerato in routine. La vita coniugale è stata per noi, prima di tutto, un divertimento. La Ginzburg scrisse per Adriana una commedia intitolata Ti ho sposato per allegria (1964; nel 1967 diventò un film con la Vitti e Albertazzi per la regia di Luciano Salce), quella è l’essenza del nostro rapporto. Sono sedotto dall’ottimismo di mia moglie e dal suo buonumore. Ci piace occuparci delle nostre case, ci piacciono i cani, ci piace condurre una vita molto privata e solitaria. Accanto a una donna così allegra, spiritosa e intelligente non mi è mai mancata la vita sociale» (a Videtti).
• Abitano a Parigi dal 1987, case anche a Roma e a Todi, «dove ormai andiamo solo d’estate».