30 maggio 2012
Tags : Inge Feltrinelli SchÖnthal
Biografia di Inge Feltrinelli SchÖnthal
• Gottinga (Germania) 24 novembre 1930. Editore. Terza moglie di Giangiacomo Feltrinelli (1926-1972), che nel 1955 fondò l’omonima casa editrice. Madre di Carlo. «Mi affascina la mondanità. Quella vera: perché è piena di informazioni e pettegolezzi, creativa e divertente. Ogni giorno due colazioni, due pranzi, sicuramente quattro cocktail e due o tre bicchieri dopo mezzanotte» (nel 1994).
• «Il padre si chiamava Siegfried Schönthal, un ebreo tedesco della media borghesia, impiegato come direttore in una azienda tessile. “Era un bravo tedesco sciovinista, dal tipico nome wagneriano. Reagì all’incrudelirsi della campagna antisemita con stupito candore. Non capiva cosa accadesse, innocente come tanti altri. Fu mia madre Trudl, protestante luterana di tutt’altra tempra, a prendere le redini in mano. L’azienda tessile aveva una fitta rete di rapporti commerciali con l’Olanda. Grazie a questi, mia madre riuscì a trovare i soldi e i mezzi per farlo scappare in America. Accadde nel 1938. Dopo circa due anni di parcheggio in un campo olandese per ebrei, mio padre s’imbarcò alla volta di New York. Io avevo appena otto anni. Non compresi nulla di quella tragedia”. La fuga di Siegfried pone fine a una crisi coniugale scoppiata a causa della sua apatia. “La protratta indecisione nel lasciare la Germania aveva finito per esasperare mia madre”. Trudl, che lavora nel campo della floricoltura, presto lo sostituisce con Otto Heberling, ufficiale della cavalleria tedesca, “carino e vitale”, profondamente innamorato: Inge trova un nuovo padre, che l’ama e la protegge. “Ma ero pur sempre una bambina mezza ebrea, e lui un ufficiale di Hitler”» (Simonetta Fiori).
• Fotoreporter per diverse testate europee, intervistò Hemingway, Picasso, Simone de Beauvoir ecc. «Una casa editrice le offrì un contratto per scrivere un libro sulla sua professione, e lei chiese consiglio a Rowohlt che le disse subito di lasciar perdere e di raggiungerlo invece in ufficio dove era arrivato un famoso editore italiano suo amico, quello che l’anno prima aveva scoperto e pubblicato il Dottor Zivago di Pasternàk. Era il 14 luglio del 1958, e quell’uomo silenzioso, coi baffi, l’aria molto timida, poco più che trentenne, era Giangiacomo Feltrinelli. “È un comunista di famiglia molto ricca” le disse Rowohlt, “questa sera faccio un ricevimento per lui, porta qualche tuo amico di sinistra”. Inge arrivò con un’ora di ritardo perché aveva dovuto lavare e stirare l’unico vestito decente che aveva. Feltrinelli era solo, appartato, in una stanza piena di gente, fumava Senior Service con un lungo bocchino e si mangiava le unghie. Per sembrare disinvolta lei gli disse: “Io so tutto di lei”. Ma fece una gaffe nominando persone che lui disprezzava, come Luigi Barzini jr., che era stato il suo non amato patrigno. Lui era diventato di ghiaccio, lei cercò di farsi perdonare sfoderando tutto il suo charme. Romanticamente, girarono per la città chiacchierando sino al mattino» (Natalia Aspesi).
• «Ci fu quell’incredibile foto che scattai a Greta Garbo, mentre ferma a un semaforo sulla Madison Avenue, probabilmente raffreddata, stava per soffiarsi il naso. Vendetti quello scatto, la mia prima foto, alla rivista Life, per 50 dollari. Era il 1952. Poi arrivò Hemingway. (…) In quel periodo Hemingway viveva a Cuba. Giunsi all’Avana e aspettai un po’ prima che il “papa” mi ricevesse. Mi restavano pochissimi soldi e quando in una tarda mattinata mi telefonò, avevo quasi persa del tutto la speranza di incontrarlo. Mi disse che avrebbe mandato una macchina a prendermi. Gli risposi che preferivo arrivare con un autobus. Il viaggio durò un paio d’ore. C’era caldo. Eppure, mi sembrava di stare in una cella frigorifera. Ero nervosa e in totale subbuglio. Lui invece mi sembrò di pessimo umore. Credo che avesse fatto un’uscita con una barca ma che non si fosse divertito. Mi invitò al bar. Andava sempre al Foridita. Arrivammo in pieno pomeriggio. Si sedette al bancone e ordinò un daiquiri. A un certo punto fecero il loro ingresso dei ragazzi, malmessi e senza scarpe. Ernest tirò fuori delle monete e le lasciò cadere sul pavimento. Erano per loro. Trovai la scena umiliante e glielo dissi. Mi sembrava il gesto frutto del peggior colonialismo. Mi ignorò, continuando a bere. Solo la sera tardi, rivolgendosi mi pare alla moglie Mary, commentò l’accaduto. Disse che la giovane tedesca era un po’ troppo nazista per i suoi gusti. Decisi che al mattino seguente me ne sarei andata. Alle sei, era già sveglio, seduto nel soggiorno. Lo salutai. Mi guardò e disse: “Stalin is dead”. È morto? Feci io. Sì, e ora cambierà il mondo, aggiunse. Era il 5 marzo 1953. Per due ore tentò di farmi una lezione di politica sull’importanza di quel vecchio dittatore. Fu così che le tensioni svanirono e restai con lui per due settimane, scattando foto che avrebbero fatto il giro del mondo» (ad Antonio Gnoli) [Rep 9/12/2013].
• «Ho immortalato Picasso, John F. Kennedy, Elia Kazan, Sophia Loren, Anna Magnani, Marc Chagall e molti altri. Alcuni sono stati veri colpi di fortuna come Greta Garbo, che ho riconosciuto ferma a un semaforo su Madison Avenue, o Winston Churchill, che casualmente usciva dalla casa di un banchiere proprio mentre passavo di lì» (a Silvia Icardi) [Cds 3/3/2014].
• A Milano dal 1960, si dedicò con il marito (infine dilaniato da una carica di tritolo su un traliccio elettrico a Segrate) alla Giangiacomo Feltrinelli editore, di cui nel 1972 divenne presidente.
• «Ostenta d’ignorare la lingua italiana, che parla con accento da Fräulein, declinando articoli fasulli (“un piazza Duomo bello”), verbi finti (“non mi disaffecto”), e sostantivi a orecchio (“il pornografer”). È riuscita a fronteggiare le avversità dell’esistenza, prendendo prima il controllo della casa editrice negletta, come un’amante appassita, dal fondatore. E ponendosi poi sotto l’ala protettiva del Pci. Non potendo bloccare l’emorragia di grandi autori, come Günther Grass, Gabriel García Márquez e Mario Vargas Llosa, ha arginato le perdite occupando il centro dell’egemonia culturale della sinistra grazie alla rete capillare di grandi librerie, volute da Giangiacomo sul modello tedesco» (Pietrangelo Buttafuoco).
• «Per capirla a fondo bisogna vedere il suo letto. Ha i lenzuoli più allegri che mente femminile possa immaginare. Fioriti? Zebrati? A righe? No, rosa shocking o arancioni» (Lina Sotis).
• «Sono abbastanza intelligente e svelta, il mio background è ricco, soprattutto ho avuto molte opportunità nella vita. Ma non mi considero un’intellettuale. Non è necessario che un editore lo sia. Rowohlt annusava i libri e solo dopo tre pagine sapeva se andava bene. Il vecchio Knopf, quando un redattore gli presentava un libro dicendo che era “abbastanza buono”, rispondeva: “Lei mangerebbe mai un uovo abbastanza buono?”» (a Simonetta Fiori) [Rep 1/11/2010].