30 maggio 2012
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Biografia di Vittorio Feltri
• Bergamo 25 giugno 1943. Giornalista. Direttore di Libero dal 18 maggio 2016. Già editorialista del Giornale, ex direttore dell’Indipendente, dell’Europeo, del Borghese, di Quotidiano Nazionale, del Giornale e di Libero (da lui fondato).
• «Vengo da una famiglia di modeste condizioni: quando avevo sette anni sono rimasto orfano di padre e mi sono dovuto un po’ arrangiare».
• Comincia all’Eco di Bergamo nel 1962: «A Bergamo c’erano due giornali, uno degli industriali e uno della Curia. Vittorio Feltri finì in quello della Curia. Faceva il critico cinematografico. Erano i tempi di Pietrino Bianchi, critico del Giorno, Giovanni Grazzini, del Corriere della Sera, Alberico Sala, del Corriere d’Informazione. C’era già Morando Morandini alla Notte. Pietrino Bianchi una volta arrivò a Bergamo e disse a Feltri: “Come critico sei una schiappa. Ma sei un grande cronista”. Feltri ci rimase male. Ma Bianchi aveva visto giusto» (Claudio Sabelli Fioretti)
• Dopo l’Eco di Bergamo venne la Notte: «Nino Nutrizio mi ricevette. Ero molto intimorito. Nutrizio dava del “voi’. Disse: “L’Eco di Bergamo è il giornale più brutto del mondo. Se non vi hanno assunto nemmeno lì, ho il sospetto che siate cretino”. Mi sono sentito sprofondare. Nutrizio disse: “Vi assumo in prova per tre mesi. Se supererete la prova - e lo ritengo improbabile - sarete assunto. Altrimenti tornerete alle vostre occupazioni nell’interesse vostro e soprattutto nostro”. Tornai a Bergamo in stato confusionale. Alla vigilia di Natale una prostituta venne sgozzata mentre affettava un panettone davanti alla bimbetta di due anni. Raccontai il delitto con passione, le coltellate, il sangue, la bimbetta piangente. Alle due del pomeriggio corsi in edicola, cercai la cronaca di Bergamo e mi accorsi che l’articolo non c’era. Salii in redazione distrutto, mi accasciai sulla scrivania con la testa fra le mani. Poi vidi la prima pagina. La firma, in fondo, era la mia. Un brivido, vidi il titolone, “Delitto di Natale”, avevo la prima pagina. Suonò il telefono, era Nutrizio: “Non siete cretino, siete assunto”».
• «Prima all’Europeo e poi all’Indipendente (che aveva rianimato, portato al galoppo e mollato prima che stramazzasse come un cavallo drogato) si era fatto le ossa. Basti ricordare un titolo della sobria campagna elettorale a favore di Marco Formentini: “Perfino Marx era meno rosso di Dalla Chiesa” (...) Non che piaccia troppo alla destra italiana. Anzi. In questi anni ha deriso Casini e Mastella come “prefiche” perché stavano sempre a lagnarsi di Berlusconi, ha battezzato Buttiglione “Rocco Tarocco”. Resta indimenticabile il dibattito con Giuliano Urbani, colpevole di “inciucismo” ai tempi in cui Maccanico tentava il governo di larghe intese: “Urbani? Mens nana in corpore nano”. E le punture di spillo a Gianfranco Fini? Cominciò: “È un ducetto felsineo”. Proseguì: “È un parlatore senza rivali che non ha mai detto niente”. Concluse: “In pratica non ha mai fatto un accidenti, eccetto frequenti vacanze dall’altra parte del mondo per riposarsi dalle fatiche dell’ozio”. Il fatto è che lui, nelle gabbie degli schieramenti, ci sta stretto: “Non sono né di destra né di sinistra. Detesto queste etichette. Mi sono sempre definito di destra per il piacere di dare scandalo. Solo per questo, perché tutti erano di sinistra, perché nessuno aveva il coraggio di proclamarsi liberale, perché era vietato essere anticomunista. Ma io, se proprio devo definirmi, sono un anarchico liberale”. Anarchico, soprattutto. È lì che son nati i guai. Si sa com’è il Cavaliere: adora essere adorato. Il suo sogno, raccontò una volta, sarebbe dirigere il Corriere, fare un giornalismo “senza toni accesi”, smetterla con un certo tipo di filosofia al quale dice d’esser stato costretto: “Se vuoi portar via lettori agli altri devi puntare sui più arrabbiati”. Cosa che gli riesce benissimo. Ma sempre un anarchico resta. Dopo la vittoria del 27 marzo 1994, si sottrae al trionfalismo con un editoriale sul tema: “Una certezza, molti dubbi”. Nell’estate del 1996 riapre a quel Bossi odiato dalla destra come un traditore» (Gian Antonio Stella).
• «Ho fatto cose importanti. Ho fatto andare bene i giornali che dirigevo. L’Europeo l’ho preso a 85 mila copie e sono arrivato anche a 200 mila. Al Giornale ho sostituito un mostro sacro del giornalismo come Montanelli, e ho raddoppiato le vendite. Questo ha irritato. Non bastasse, sono riuscito a farmi pagare tanto, molto più degli altri direttori».
• «All’inizio sono ingessato perché non conosco ancora i lettori. Poi, quando li ho capiti, me li vedo davanti come in un teatro e volo libero. Quello che mi dava fastidio al Giornale, anche se facevo come volevo, era far parte di una scuderia» (a Giancarlo Perna).
• «Il suo Giornale confesso che non lo guardo nemmeno, per non avere dispiaceri. Mi sento come un padre che ha un figlio drogato e preferisce non vedere. Comunque, non è la formula ad avere successo, è la posizione: Feltri asseconda il peggio della borghesia italiana. Sfido che trova i clienti!» (Indro Montanelli nel 1995).
• «Quando lasciai il Giornale, Fedele Confalonieri mi commissionò un progetto per un tg diverso. Io lo elaborai assieme a Massimo Donelli, che allora era condirettore di Panorama. Il progetto entusiasmò i capi di Mediaset. Confalonieri mi disse solo che serviva l’ok di Berlusconi e la scelta della rete. Da allora non ne ho più saputo nulla, salvo che c’era stata una sorta di sollevazione dei capi testata» (a Renzo De Rienzo).
• «Ho fatto campagne giuste, ma ho anche commesso un paio d’errori. Quando è uscito il rapporto Mitrokhin ho sparato il titolo “Giornalisti di Repubblica vergogna”. Io volevo solo accusarli di doppiopesismo perché quando uscirono le liste della P2 non andarono tanto per il sottile, mentre ora diffondevano molto scetticismo su quelle liste del Kgb. Sarebbe stato meglio che avessi espresso un’opinione, invece di lanciare un’invettiva».
• «Il nostro è un mestiere anche ripetitivo: benché sembri vario e interessante, in realtà spesso ci conduce a ripercorrere le stesse strade; e allora, pur immersi nella routine, pur schiacciati da mille timori, è importante riuscire a non andare troppo distante dalla propria personalità».
• Nel 2001 venne radiato dall’Ordine dei giornalisti della Lombardia per aver pubblicato la lista dei nomi dei cittadini sotto procedimento giudiziario per accuse di pedofilia, nel febbraio 2003 l’Ordine nazionale annullò il provvedimento.
• Nel mirino delle Nuove Brigate Rosse, ha subìto varie minacce, da ultimo una busta anonima priva di simboli politici recapitata il 5 marzo 2008 alla redazione milanese di Libero («L’umanità sarà più felice quando Vittorio Feltri sarà morto»).
• Nel 2009 ripescò sul Giornale una condanna per molestie subita nel 2004 dal direttore dell’Avvenire Dino Boffo, riportando il testo dell’informativa del casellario secondo cui il giornalista avrebbe avuto una relazione omosessuale. A seguito dell’attacco, Boffo dovette dimettersi. Sebbene la condanna fosse in seguito confermata, l’informativa si rivelò essere inesistente. Nel 2010 il Consiglio dell’ordine dei Giornalisti della Lombardia lo sospese per sei mesi (poi ridotti a tre).
• Il 18 maggio 2016 torna alla giuda di Libero sostitudento Maurizio Belpietro. Per Feltri si tratta del ritorno alla guida del giornale da lui fondato nel 2000, di cui è stato direttore ed editore per 9 anni, fino alle dimissioni nel 2009, per poi ritornare tra il dicembre 2010 e il giugno 2011.
• È pro Matteo Renzi («È un leader») ma sprea che alle amministrative romane vinca il Movimento 5 stelle «per un motivo molto semplice: Se la signora Raggi risolve i problemi di Roma, cosa che mi sembra altamente improobabile, tanto di guadagnato per tutti. Se fa dei pasticci come i suoi predecessori, ci toglieremo finalmente dai coglioni anche i 5 stelle». A Milano «Sala perde».
• Tra i suoi libri, Fascimo/antifascismo (Rizzoli, 1994, con Furio Colombo), Il vittorioso (Marsilio, 2010, con Stefano Lorenzetto) e Una repubblica senza patria. Storia d’Italia dal 1943 ad oggi (Mondadori, 2013, con Gennaro Sangiuliano). Da ultimo Buoni e cattivi. Le pagelle con il voto ai personaggi conosciuti in 50 anni di giornalismo, con Stefano Lorenzetto (Marsilio 2014).
• «È un grande giornalista. Prende i cadaveri e li resuscita» (Vincino).
• Sposato, quattro figli (tra i quali Mattia Feltri, vedi).
• Comproprietario di un allevamento di cavalli da equitazione, vende puledri. Ha corso al trotto.