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 2012  maggio 30 Mercoledì calendario

Biografia di Giorgio Faletti

• Asti 25 novembre 1950 - Torino 4 luglio 2014. Scrittore (con il thriller Io uccido ha venduto più di quattro milioni di copie). Attore. Comico, agli inizi della carriera. Cantante. Autore. «Se si mette in testa di fare il lampadario, vedrai che se si appende prima o poi gli uscirà la luce dal sedere» (Antonio Ricci).
Vita «Sono cresciuto in una casa modesta, ma uno nasce dove indica il destino. Cinquanta chilometri in là e avrei potuto chiamarmi Agnelli, invece sono, senza rimpianti, figlio di Carlo Faletti. Mio padre era ambulante, mia madre sarta. Vivevano in periferia, quando raggiungevano il centro dicevano seri: “Andiamo ad Asti”. Se uscivo dalla porta principale avevo il viale, sul retro si spalancava il Far West. La pianura, il ponte, la ferrovia, la libertà. La sera, in cortile, i grandi tornati dal lavoro giocavano con i più piccoli a pallapugno. Nessuno aveva niente e ogni cosa era pulita, vivace, meravigliosamente semplice».
• «Mio nonno aveva un magazzino. Come molti altri, nell’Italia del dopoguerra, si arrangiava. Comprava, rivendeva, ammassava senza requie i materiali più vari. Un giorno scaricò alcuni scatoloni di libri. La mia educazione alla lettura sbocciò nella sua cantina. Ho letto dei classici a un’età in cui di solito si leggono i fumetti. Ricordo Per chi suona la campana e un capolavoro dell’umorismo, Tre uomini in barca. Per capire certi meccanismi comici, la lezione di Jerome è stata fondamentale»
• «Non mi piaceva studiare, la laurea in Giurisprudenza l’ho presa solo per non deludere mio padre che era una persona metodica e pragmatica».
• «Con la laurea in tasca il giovane Giorgio non ci pensa nemmeno, a fare l’avvocato. Preferisce aprire, insieme con due amici, uno studio pubblicitario ad Asti, la sua città. È un’attività creativa e indipendente, ma a ventisei anni lui, che la vena comica ce l’aveva nel sangue, scopre che con l’umorismo si può anche campare. E sale sul palcoscenico. “Mi piaceva talmente che lavorare per me era come un’eterna vacanza”. Recita al Derby club di Milano e non solo. È con molti comici oggi di successo, Teo Teocoli, Massimo Boldi, Claudio Bisio, Francesco Salvi. Debutta in tv con Raffaella Carrà e, a metà degli anni Ottanta, approda al mitico Drive in. Passa, tra l’altro, per Emilio e per Zelig e inventa personaggi esilaranti come il Vito Catozzo le cui “vita e gesta” sarebbero poi state raccontate nel libro Porco il mondo che ciò sotto i piedi (Zelig, 1994). Poi un giorno si fa male a un ginocchio, sta fermo per due mesi e muta ancora. “Sentivo che quello che stavo facendo non mi bastava più. Ma, mentre ero sicuro di quello che non volevo, non sapevo ancora che cosa avrei voluto fare. Poi, grazie a quello che avevo imparato fino ad allora, percepii la differenza che c’è tra essere un musicista, e l’essere, come me, un musicale. Il primo è qualcuno che ha studiato e che ha una cultura specifica e mirata. Il secondo è solo un appassionato. Mi accorsi che la tecnica poteva fornire aiuti preziosi a tutti e che, ormai, perfino un semplice tasto è in grado di garantire accordi già pronti”. Detto e fatto, eccolo raccogliere la nuova scarica di adrenalina. Il primo album Disperato ma non serio lo produce Mario Lavezzi e vende ottantamila copie. E quando Faletti va avanti non si ferma più. Nel 1994 arriva secondo al festival di Sanremo con Signor tenente e scrive canzoni per Angelo Branduardi, Fiordaliso, Gigliola Cinquetti e Mina» (Silvana Mazzocchi).
• «Ho inciso altri due album e ho riprovato ad andare a Sanremo. Mi hanno risposto no grazie, vogliamo i professionisti. Il mercato discografico è mosso da logiche imperscrutabili. Ma io non credo ai geni incompresi. Forse non avevo le qualità...».
• «Mi sono reso conto che potevo esprimermi in altri modi. Ho iniziato a scrivere raccontini seriamente, li ho fatti leggere a qualcuno che mi ha esortato a cercare un editore (ma il primo che ha avuto in mano Io uccido neanche mi ha considerato: chissà se se n’è mai reso conto?). Mi sono scoperto in possesso di un’autodisciplina che non sospettavo» (a Gloria Satta).
• «Forse non mi sarei mai messo a scrivere se nel frattempo non fosse arrivata la videoscrittura. La possibilità di poter spostare blocchi, cambiare, rifare, mi ha conquistato. Trascinato».
• Con il romanzo d’esordio Io uccido (Baldini Castoldi Dalai 2002) ebbe subito grande successo di pubblico e anche di critica. «Il più grande scrittore italiano» il titolo di copertina (con sua fotografia) di Sette del 21 ottobre 2002: così lo lanciò Antonio D’Orrico sul magazine del Corriere della Sera in occasione dell’uscita del libro. «Fare lo scrittore assomiglia per certi versi al lavoro che si fa nel cabaret: bisogna osservare bene i caratteri dei personaggi della vita reale, e poi fissarli in un testo, in un comportamento. In più, per un libro devi visitare i luoghi (e io l’ho fatto). Ho disseminato il romanzo di soggetti folli, in cui c’è davvero della pazzia a volte cattiva e pericolosa, a volte solo derivata dall’incapacità di elaborare il dolore. E mi è piaciuta l’idea di concentrare questi caratteri, che non fanno mai ridere, al contrario di Vito Catozzo, nel posto che è l’icona della normalità, il Principato di Monaco. Dove ho abitato per quattro anni ai tempi in cui correvo in auto (e poi sono fuggito per noia). Ambientarlo lì o a Matera costava la stessa fatica. Tanto valeva scegliere un posto di fama internazionale» (a Mario Luzzatto Fegiz).
• Altri libri: Niente di vero tranne gli occhi (2004), Fuori da un evidente destino (2006), la raccolta di racconti Pochi inutili nascondigli (2008), sempre editi da Baldini Castoldi Dalai. Poi ancora Io sono Dio (2009) e Appunti di un venditore di donne (2010), romanzi entrambi editi da Baldini Castoldi Dalai, e poi presso Einaudi Tre atti e due tempi (2011), «breve romanzo» («non è un giallo né un thriller, ma una storia di uomini: la scommessa è ambientare un racconto nel calcio parlandone il meno possibile»), e Da quando a ora (2012), autobiografia corredata di due cd (uno di canzoni già portate al successo da altri artisti e uno di inediti).
Io uccido ha venduto oltre quattro milioni di copie, Niente di vero tre milioni e mezzo, Fuori da un evidente destino quasi due milioni, per un totale di circa 10 milioni di copie. Sono stati tradotti in 25 lingue. Diritti acquistati da Dino De Laurentiis.
• «Nei miei libri ho messo le mie passioni: la musica, che è entrata in Io uccido, i fumetti in Niente di vero tranne gli occhi. E poi c’è il West. Anche se il protagonista (...) non monta a cavallo ma guida l’elicottero, lo scenario è quello di un western americano».
• Gialli preferiti: film Gli uccelli, libro Il silenzio degli innocenti, serie tv Csi.
• Ha partecipato come autore al Festival di Sanremo 2007, scrivendo per Milva la canzone The show must go on, dedicata agli artisti falliti (non entrata in classifica).
• Al cinema, in Notte prima degli esami (Fausto Brizzi, 2006), ha interpretato il professore cattivo; è stato un boss spietato in Cemento armato (Marco Martani, 2007). Poi in Baarìa di Giuseppe Tornatore (2009), nel ruolo di un attivista del Pci, e poi nel film televisivo Rai Il sorteggio di Giacomo Campiotti (2010), ricostruzione del primo, accidentato processo al nucleo storico delle Brigate rosse a Torino (1976-1978), in cui Faletti interpreta un operaio e sindacalista convinto della necessità di combattere il terrorismo in fabbrica.
• Nel 2002 fu colpito da un leggero ictus. «Mi sono svegliato in una sala di rianimazione accanto ad altre persone intubate, in coma. Le macchine facevano un casino indiavolato e io mi ricordo di aver pensato: “Ma dove mi hanno ricoverato, a Las Vegas, in mezzo alle slot machine?”. Questo ho pensato. Cosa che fa di me un superuomo o un perfetto idiota. Non so, giudicate voi (...) Adesso che sto meglio non rimando più niente. Non dico più: lo faccio l’anno prossimo. Meglio subito. Ma comprare una barca di 60 metri, quella cosa lì non l’ho rimandata di un anno, l’ho rinviata per sempre» (a Mariolina Iossa).
• Sposato con Roberta Bellesini, viveva a Capoliveri, sull’isola d’Elba: «Non l’ho mai vissuta da turista. Adoro l’inverno, mi fermo a guardare la vegetazione, le foglie degli ulivi mossi dal vento, la pioggia che cade di traverso, la costa dei gabbiani. Sono meteoropatico e, a seconda del clima, sto in casa, osservo, scrivo. Un ottimo luogo per l’autodisciplina. Qui non mi distraggo (...) Non rinnego Asti, nel tempo però ho sviluppato questa esigenza di mare» (a Mauro Remondino).
Critica «Io uccido è un libro di quasi settecento pagine, che segue alla lettera la tradizione del thriller americano di alto artigianato e dove nulla denuncia la cittadinanza dell’autore (niente misteri da capoluogo di provincia, neanche un filo di nebbia padana, non un arancino, non un proverbio in dialetto) né, tanto meno, le sue precedenti appartenenze» (Loredana Lipperini).
• «Pochi inutili nascondigli prosegue il sentiero artistico percorso con i suoi romanzi, e offre un comune denominatore originale attraverso le variazioni di quel segmento oscuro che determina ogni umana esistenza (...) Racconti sorprendenti e fascinosi, che non senza ironia aiutano a squarciare il buio dell’incomprensibile e che confermano il poliedrico talento di Faletti» (la Repubblica).
• «Oggi la lettura tende a diventare una specie di orgia, dove ciò che conta è la volgarità dell’immaginazione, la banalità della trama e la mediocrità dello stile. Credo che sia molto meglio non leggere affatto, piuttosto che leggere Dan Brown, Giorgio Faletti e Paulo Coelho» (Pietro Citati) [Cds 9/3/2012].
Frasi «Mi piacerebbe che qualcuno dicesse che sembro il nuovo Anthony Hopkins: un po’ gli assomiglio anche. Il problema è che mentre recito mi sembra di avere la faccia di De Niro e la voce di Amendola. Poi mi rivedo sullo schermo e la faccia è la mia, mentre la voce sembra quella di Paperino».
• «Darei indietro tutto per avere un talento come quello di Jimi Hendrix».
• «Forse la cosa che mi piace di più è ancora la musica, salire sul palco per condividere le mie emozioni con il pubblico. Creare quel rapporto magico che dura il tempo di una canzone e ti lega a chi ti ascolta. Scrivere una storia è legato al flash di un momento, un libro ha centinaia di pagine, mentre una canzone è un’istantanea, il trionfo della sintesi: c’è un mondo in quattro minuti» (a Silvia Fumarola) [Rep 18/1/2014].
• «Io sto sempre dalla parte dei buoni. Quando devo far morire un personaggio buono ci metto delle ore, quando devo accoppare un cattivo digito sulla tastiera velocissimo» (a Silvia Nucini) [Vty 27/5/2009].
• «Quello che mi spinge a fare le cose è soprattutto il desiderio di rivivere l’attimo straordinario in cui ho sentito che stava per arrivare il successo».
• «Mi sono stancato dei comici che vogliono propinarmi un messaggio. Una risata è fine e messaggio insieme» (a Malcom Pagani) [Esp 8/9/2011].
Vizi Scriveva tenendo in bocca una vecchia pipa: «Con un duplice risultato: non fumo sigarette e fa molto scrittore da un punto di vista iconografico».
• «Ho giocato, benino, a basket, ma quello è uno sport classista: se sei corto, stai a casa. Ho corso in auto, rally, dall’85 al ’98, c’ero al Rally di Sanremo nel ’92 con la Martini Delta. Anche se facevo più ridere da pilota che da comico».
• «La pittura è l’ultima passione: quadri che colpiscono l’immaginazione, con un aspetto ludico quasi infantile: Flights, file di aereoplanini che volano e poi giù, in picchiata; Flags, bandiere tricolori su cui sono impresse le orme dei piedi, stelle e strisce ondeggianti, animali che spiccano in un mare di colore: zebre, pecore, pinguini; New York symphonies: frammenti di spartiti musicali sulla tela. “È cominciato tutto per caso, perché ho la faccia tosta. Un amico mi ha chiesto di fare un quadro per una mostra, era per beneficenza. Ho accettato per curiosità, il riscontro è stato positivo e ho continuato. Ho scoperto che mi piaceva davvero, davanti a una tela mi sento libero, posso esprimermi con i colori, giocare con i collage, usare i giornali, gli animaletti di plastica. Quando vedo un negozio di giocattoli entro sempre a curiosare”» (a Silvia Fumarola) [cit.].
• «Ogni tanto mia moglie Roberta mi dice: “Giorgio, adesso andiamo in vacanza”, e mi viene il panico. Mica è facile stare lontano dal computer, dai pennelli, dal pianoforte. Non so stare senza far niente» [ibidem].
Tifo «Vagamente juventino»: «Tifo per Del Piero perché si è fatto male, è stato in crisi, ma si è saputo risollevare con l’impegno, senza polemizzare e autodistruggersi».