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 2012  maggio 30 Mercoledì calendario

Biografia di Pablio Echaurren

• Roma 22 gennaio 1951. Pittore. Figlio del surrealista cileno Sebastian Matta (1911-2002).
• Considerato dalla critica internazionale un artista in grado di esprimersi a pari livello in numerosi campi creativi, dalla pittura alla scultura, dalla grafica al fumetto, dal cinema alla letteratura. «Le tele sono di grandi dimensioni e grondano colori forti, incubi, immagini inquietanti. Si avviluppano corpi nudi, galleggiano bocche spalancate, si inseguono occhi sbarrati o cani che azzannano uomini. Mostri divorano mostri in una vorticosa mescolanza di interferenze fumettistiche, ruvidezza punk, echi dell’immaginario colombiano» (Liliana Madeo).
• «Mi hanno sempre ossessionato l’idea del riempimento e la bellezza del mostruoso. Penso all’horror vacui dei mostri aggrovigliati sulle cattedrali gotiche. Non stanno lì per spaventare, semmai servono a confondere il Maligno. Hai mai notato che hanno tutti una tripla fila di denti? L’immaginario mostruoso non mira a spaventare te, ma le tue paure. È esorcismo» (a Pericle Guaglianone).
• «All’anagrafe fu iscritto come Pablo (da Neruda), Miguel, Papageno (da Mozart), Matta, Echaurren (dal cognome della nonna paterna di origine basca). L’impiegato comunale, confuso da tutti questi appellativi, trascrisse solo l’ultimo, che si pronuncia eciàurren, un suono “a metà tra il rumore di uno starnuto e quello di una macchina in corsa”, come dice la moglie Claudia Salaris, studiosa del Futurismo» (Colonnelli, Cds, 31 gennaio 2011).
• «Ha esordito a 18 anni sotto la guida di Gianfranco Baruchello e di Arturo Schwarz, a 19 ha partecipato alla Biennale di Parigi entrando in contatto con Louis Aragon e Max Ernst e ha attraversato il mondo delle immagini lasciando tracce profonde sulla nuova creatività con i suoi Quadratini, firmando le copertine dei testi guida della controcultura dell’editore Savelli, primo tra tutti Porci con le ali, e poi con le esperienze di Lotta Continua, Il Male, i fumetti di Alter Alter, Linus, Frigidaire, le ceramiche» (Paolo Biamonte). Da piccolo «resta ben presto solo con la madre, l’attrice siciliana Angela Faranda, ma riceve dal padre distante lettere fatte di giochi di parole e disegni. La sua stanza di bambino è piena di cose d’arte, dai disegni dei gatti “mito-lirici” di Victor Brauner alle immagini di Disney, dal poster di Guernica che gli sembra un fumetto alle nere forme di una stampa di Mirò che creano bizzarre analogie con le orecchie di Topolino. Come scrive Claudia Salaris, si può far risalire a queste prime impressioni quella abilità metamorfica che indurrà Pablo a contaminare il linguaggio delle avanguardie, specialmente del dada-surrealismo, con l’immaginario dei cartoon. Il ragazzo vorrebbe fare il naturalista e colleziona francobolli, farfalle, coleotteri, fossili, ma poi, sotto la suggestione degli autori della Beat Generation, si fa crescere i capelli, incomincia a frequentare il Piper, impara a suonare il basso, prende parte a dei complessini e, nei ritagli di tempo, studia un po’ per realizzare i primi “quadratini”, acquerelli e smalti di piccole dimensioni ma pieni di estro. Finito a mala pena il liceo al Giulio Cesare, conosce Gianfranco Baruchello, il quale lo presenta ad Arturo Schwarz, che gli compra i primi “quadratini” e gli firma un contratto. In seguito tende a distinguersi dal padre, dice che non voleva fare il pittore ma il bassista, ripete che i suoi lavori nulla hanno a che fare con quelli di Matta, ma Renato Barilli, osservando le grandi tele che realizza dopo la morte del padre, scrive che padre e figlio non sono uniti soltanto da un Dna biologico ma anche da qualcosa di equivalente a livello stilistico. Sono i molti altri elementi che accomunano padre e figlio: la tendenza al gioco, l’ironia, l’autoironia, la leggerezza» (Costanzo Costantini).
• «Elenca, fra i suoi percorsi, il lavoro con persone chiuse in carcere o in manicomio, le scoperte che ha potuto fare a fianco di sommi artigiani, i quadri dipinti con Emilio Tadini, il fumetto fatto con Francesco De Gregori, i libri scritti a quattro mani (ad esempio con il terrorista nero Fioravanti), un film girato con due soci e un dialogo settimanale di gastroribellione con Luigi Veronelli su Carta» (Madeo).
• «Ritrovarmi in un negozio di chitarre elettriche è il mio sogno più ricorrente. Immerso in quell’odore magico di corde, del legno dei manici e di vernici plastiche. Forse perché vivo con i Ramones sempre in sottofondo. Li ascolterei all’infinito» (a Guaglianone).
• Da una decina d’anni raccoglie chitarre elettriche storiche, trovate soprattutto tra i rivenditori americani o acquistate su e-bay. «Le ha accumulate in un appartamento dalle parti di ponte Milvio a Roma. Settanta pezzi, ognuno racchiuso nelle sua custodia nera o marrone, grande a misura d’uomo. Custodie accatastate una sull’altra ovunque: nella grande sala trasformata in studio, in cucina, dentro gli armadi a muro. Di ogni pezzo Echaurren conosce tutti i segreti: chi l’ha progettato, dove è stato costruito, chi sono i musicisti più famosi che l’hanno suonato e in quali concerti. Apre le custodie e si sprigiona un mondo di luce, emanato dai rivestimenti in velluto color giallo oro, verde smeraldo, turchino. Adagiati all’interno, come gioielli, ecco i bassi: elegantissimi, con i corpi sottili e curvilinei, i lunghi colli slanciati, i legni pregiati, le vernici brillanti. Echaurren spiega che la sua passione per questi strumenti nasce proprio dalla bellezza della loro forma: “Anche se sono costruiti con intenti puramente funzionali e non estetici, alla fine risultano opere d’arte”» (Colonnelli, Cds, 31/1/2011).
• Nel 2011, al Macro di Roma, viene presentato il ciclo Baroque’n’Roll, una serie di edicole in ceramica dedicate alla sua passione per il basso elettrico. Nel 2014 la serie di collage "Iconoclast" viene mostrata all’Estorick Collection di Londra.
• «Fin da piccolo sentivo il bisogno di graficizzare tutto, di disegnare qualunque cosa vedessi. Così, una volta, mio padre, che visitava spesso il deserto nordamericano ed era un appassionato della cultura pellerossa, ha disegnato per me e mio fratello un indiano con tanto di piume, diadema, frecce. Quello strano tipo ci affascinò. Per molto tempo non abbiamo fatto altro che scarabocchiare ritratti di capitribù e scenette western. Una produzione cartacea impressionante: mia madre prima ha lottato contro quel mare di fogli, poi si è rassegnata. Ci dava pacchi di carta per il pane, quella giallina che costava poco. Perlomeno limitava il danno economico” (...)» (Antonella Ottolina). (a cura di Lauretta Colonnelli).