30 maggio 2012
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Biografia di Francesco Guccini
• Modena 14 giugno 1940. Cantante. Autore. Scrittore. Attore. Autore di canzoni memorabili come La locomotiva, Dio è morto, Auschwitz, L’avvelenata, Canzone per un’amica ecc. «Lei, Guccini, canta l’etica con parole estetiche» (Ezio Raimondi).
• Ultime Nel 2010 la raccolta Storia di altre storie contenente il brano inedito Nella giungla e nel 2012 l’album L’ultima Thule, dopo il quale Guccini ha dichiarato che non inciderà più dischi e non terrà più concerti. «Non riesco più a suonare, nemmeno dopo la bevuta con gli amici». Appesa la chitarra al chiodo, ha però nominato suo erede Danilo Sacco, l’ex cantante dei Nomadi, per portare in tour il suo ultimo album.
• Ridotta l’attività musicale si è concentrato sopratutto sulla scrittura. Fece discutere il suo libro Tango e gli altri (Mondadori 2007, con Loriano Macchiavelli) dove raccontava di un partigiano comunista ucciso da altri partigiani comunisti: «Io combatto il revisionismo. Leggo Bocca, non Pansa. Ma i libri scritti da chi stava dall’altra parte li ho letti, eccome». Da ultimo Dizionario delle cose perdute (Mondadori, 2012) e Nuovo dizionario delle cose perdute (Mondadori, 2014), nei quali «Guccini getta la maschera e non nasconde di essere tecnicamente vecchio perché si ricorda cose che non ricorda quasi più nessuno» (Antonio D’Orrico).
• Nel 2007 molti libri su di lui: Dio non è morto di Giancarlo Padula (Bastogi), Parole e Canzoni a cura di Vincenzo Mollica e Valentina Pattavina nella collana Stile Libero di Einaudi; Portavo allora un eskimo innocente (Giunti) in cui si è raccontato a Massimo Cotto; Di questa cosa che chiami vita, minuziosa enciclopedia “gucciniana” di Brunetto Salvarani e Odoardo Semellini (Il Margine).
• Partecipò al concerto per l’Emilia a Bologna nel 2012. Sempre nel 2012, laurea ad honorem all’American University of Rome.
• Dopo le politiche del 2008 dichiarò: «Agli operai, della falce e martello non gliene frega più niente».
• Vita Costretto dalla guerra a trascorrere i primi anni della sua vita a Pàvana (appennino tosco-emiliano): «Mio bisnonno Francesco si è trovato capo famiglia a diciassette anni. A quell’età ha cominciato a costruire il mulino».
• «Erano gli anni Cinquanta a Bologna. Eravamo ragazzi. Vedemmo un film americano che ci schiantò: raccontava di un concorso tra complessi di rock’n’roll e ai vincitori toccava di tenere concerti in un campeggio di scout-girl: loro erano in cinque e le ragazze cinquecento. Usciti dal cinema ci dicemmo: dobbiamo mettere su un complesso» (a Carlo Moretti).
• La madre avrebbe voluto che diventasse un professore di storia, ma fu comunque la sua prima insegnante di canto, perché cantava spesso canzoni italiane degli anni Trenta. Da bambino con le cinquemila lire che gli aveva regalato la nonna si fece costruire la prima chitarra da un falegname di nome Celestino: «Su un quadernetto aveva disegnato le corde e dei pallini per indicarmi dove mettere le dita per i primi accordi. L’autunno dopo scrissi la prima canzone: Ancora, con il giro armonico di Only You”» (a Michele Farina).
• «Sognavo di fare il giornalista, e l’ho anche fatto per un po’, nella mitica Gazzetta di Modena, subito dopo il diploma delle magistrali, che avevo preso non tanto per vocazione all’insegnamento quanto perché si finiva un anno prima, e a casa c’era bisogno che cominciassi a lavorare presto. Ricordo che mi fecero scrivere il primo articolo su una certa suor Eustacchio Maria Peloso, che festeggiava i 50 anni dei suoi voti, e io che sognavo i reportage alla Hemingway! Comunque, fra una cronaca locale e l’altra, strimpellavo la chitarra che avevo comprato per cinquemila lire da un falegname di Porretta Terme. Da noi, in Emilia, si nasce e si cresce in famiglie canterine, con la passione per la musica e per l’ascolto: è una sorta di patrimonio genetico, che ti appartiene. Con gli amici avevamo messo su una specie di complesso, I gatti, e ci esibivamo all’osteria delle Dame, a Bologna, e intanto portavo avanti anche l’università: mi ero iscritto a Lettere».
• «Avevo fatto tutti gli esami, mancava solo la tesi, mi bocciarono solo in latino, sui paradigmi, e io ricordavo solo i più facili. Uno disse all’assistente: “Lo sa che questo ragazzo ha scritto quella canzone bellissima che si chiama Dio è morto?” (era stata appena incisa dai Nomadi). L’assistente disse: “Sì, bene, ma i paradigmi li chiedo a tutti”. E mi bocciarono. Allora le canzoni mi limitavo a scriverle. Prima le prendevano quelli dell’Equipe 84, poi i Nomadi presero Noi non ci saremo. Quando proposi Dio è morto quelli dell’Equipe non ebbero coraggio, poi quando scrissi Un altro giorno è andato dissero che ero finito. Invece i Nomadi accettarono Dio è morto, e grazie a loro ebbi un contratto come autore, poi Dodo Veroli, che produceva i Nomadi, mi chiese di provare a cantarle in prima persona e così feci il primo disco, era il 1967» (a Gino Castaldo).
• Tra i dischi: Folk beat n. 1 (1967), Radici (1972), Via Paolo Fabbri 43 (1976), Metropolis (1981), Signora Bovary (1987),Quello che non... (1990), Parnassius Guccinii (1993), D’amore di morte e di altre sciocchezze (1996), Stagioni (2000), Ritratti (2004), l’ultima Thule (2012).
• «Auschwitz mi fu ispirata da un paio di libri, uno fotografico, Il flagello della svastica, l’altro era E tu passerai per il camino. Allora ero sempre con la chitarra in mano stavo a casa con i miei, finito di mangiare mi mettevo in camera mia e venivano gli accordi. Ma anche La locomotiva viene da un altro libro, Trent’anni di officina di Romolo Bianconi, memorie di ex operai».
• Sull’ Avvelenata: «All’epoca contestavano i cantautori. Io ebbi solo un breve episodio a Verona, in un teatrino, e mi arrabbiai. Un po’ fu questo, un po’ fu la critica malevola di Bertoncelli all’album Stanze di vita quotidiana: argomentò che io non avevo più niente da dire, ma sfornavo dischi per contratto» (a Marinella Venegoni).
• Suona la chitarra acustica, e la maggior parte delle musiche da lui composte ha come base questo strumento.
• Anche scrittore di gialli (con Loriano Macchiavelli), di romanzi autobiografici (Croniche Epifaniche, Vacca d’un cane con Feltrinelli, Cattanova blues con Mondadori), di un Dizionario del dialetto di Pàvana (Nuèter 1998). Nel 2010 è uscita la sua ultima autobiografia, scritta con il poeta e critico letterario Alberto Bertoni, intitolata Non so che viso avesse. La storia della mia vita (Mondadori).
• Sporadicamente attore: Radiofreccia (Luciano Ligabue 1998), Ti amo in tutte le lingue del mondo (2005), Una moglie bellissima (2007), Io e Marylin (2009) tutti di Leonardo Pieraccioni; Il risveglio del fiume segreto (Scillitani 2012). «Pieraccioni venne a sentire un mio concerto a Firenze e dopo mi chiese di recitare. Accettai per divertimento (…) Avevo visto gli altri suoi film: divertenti, ben confezionati. Leonardo non sogna di essere Bergman» (a Valerio Cappelli).
• Ha anche insegnato Lingua italiana al Dickinson College di Bologna. Umberto Eco lodò in Guccini il «coraggio di far rimare “amare” con “Schopenhauer”». Guccini replicò, lusingato, che si trattava di assonanza, non di rima.
• Divorziato da Roberta, dalla convivenza con Angela ha avuto Teresa (1978), che si è laureata con lode al Dams di Bologna con una tesi, Isole di specchi, in cui confrontava il padre con la popstar inglese Robbie Williams. Dal 2011 sposato in seconde nozze con Raffaella, dottoressa di ricerca in letteratura italiana e insegnante delle medie; a lei è dedicata la canzone Vorrei. Una gatta nera, Paurina.
• Ha lasciato Bologna per rifugiarsi sull’Appennino pistoiese. «Effettivamente la città che mi piaceva non c’è più. Ma può darsi che io la confonda con la mia giovinezza» (a Michele Brambilla).
• Critica «Guccini ha anticipato il Sessantotto fornendo una parte notevole di colonna sonora, è andato avanti malmostoso e indignato tra poeti maledetti e osti generosi» (Mario Baudino).
• «Quando comincia a intonare certi tanghi argentini della guardia vieja che gli ha insegnato il suo chitarrista, El Flaco, tutti capiscono all’istante che il Guccini barbudo, poeta epico dell’anarchia ferroviaria, cantore postremo di Che Guevara, insomma, proprio quel Guccini lì non è un cantante, un poeta, il traduttore di Plauto e il compilatore di dizionari pavanesi: è un deposito vivente di cultura, tanto che bisognerebbe metterlo dentro una teca e conservarlo come monumento nazionale» (Edmondo Berselli).
• Frasi «Io nelle canzoni metto ciò che sento ma non voglio insegnare nulla a nessuno. Non sono un cantastorie, che è un altro mestiere. E nemmeno un cantautore. Mi sento e sono un autore e un cantante, e questo è un mestiere molto bello perché lascia tanto tempo libero».
• «Non ho nessun modello, neppure quando ero più giovane».
• «Le mie influenze letterarie sono infinite. Partendo da Salgari son passato agli americani, Dos Passos, Faulkner, Caldwell e Bob Dylan, all’università gli italiani, in seguito Borges, e questo si riflette nelle canzoni»; «Sono agnostico, ma lascio una porta aperta, non si sa mai. È un peccato pensare che finisca tutto e poi non ci sia più niente» (a Antonio Lodetti).
• «Incontro ragazzi che vengono a vedere anche cinque concerti di seguito e mi dicono che è un’esperienza sempre diversa. Bontà loro, io non reggerei» (a Franco Giubilei).
• «Se qualcuno mette una mia canzone per farmi un tributo, gli intimo di toglierla subito. Non mi sopporto e in generale non ascolto quasi nulla. Mi incuriosiscono solo i rapper: sono molto distanti da me musicalmente, ma abbastanza interessanti» (a Andrea Scanzi).
• «Si è esaurita la mia vena da compositore. Pensare che una volta mi sentivo male, se non suonavo tutti i giorni la chitarra. Adesso invece saranno sei mesi, che non la tocco neanche»; «io non sono, e non sono mai stato, come Vasco, o come i miei amici Ligabue e Zucchero. Loro credono molto in quello che fanno e non vedono l’ora di buttarsi in un disco. Io invece ero sempre contento quando l’avevo finito, il disco. Diverso è con i libri: lì non mi viene l’ansia»; consiglio ai giovani cantautori: «li invito con affetto a cambiare mestiere: quello di noi cantautori è stato un dolce stil novo, e si sa che queste cose non succedono spesso» (a Riccardo Bocca).
• Perché non è mai andato a Sanremo: «il genere di canzoni che faccio io non si presta per Sanremo. Direi che è un fatto reciproco: io non voglio Sanremo e Sanremo non vuole me» (a Enzo Biagi).
• Politica Di sinistra. Unanimemente considerato un vessillo della rivoluzione, «semmai è da sempre un tranquillo riformista, arrabbiato soprattutto per via letteraria» (Edmondo Berselli).
• «È Guccini il cantautore-simbolo della sinistra: il fiasco di vino, la chitarra, i jeans – l’eskimo di una canzone-mito, “con l’incoscienza dentro al basso ventre e alcuni audaci, in tasca l’Unità, / la paghi tutta, a prezzi d’inflazione, quella che chiaman la maturità…”»; «Un sondaggio, un paio d’anni fa, rivelò che ai giovani di destra Guccini piaceva quanto Battisti. Era il perfetto collante, dunque, il cantore delle osterie di fuori porta» [Fog 21/5/2013].
• «Penso all’Italia, alla politica italiana e quello che c’è, naturalmente da giullare, non da politico perché non ho la stoffa. Non ho mai fatto politica né mai la farò».
• «Sono di sinistra come lo ero anni fa. Ma non mi considero un autore politico, anzi sono più intimista-esistenzialista, anche se uno che parla di se stesso, con le opinioni che ha, cade in un vizio politico» (a Valerio Cappelli) [Cds 21/12/2009].
• Ha sostenuto Prodi fino all’ultimo: «Resistere, resistere, resistere!». Poi del Pd: «Prima di Craxi votavo Psi. Non sono mai stato estremista, anche adesso non amo la sinistra radicale, quella che mette i bastoni tra le ruote al premier», ma nel maggio 2013 dichiarò «il Pd non è più il mio partito».
• Vizi «Non è che beva molto. Due o tre bicchieri, durante il concerto. Serve ad aiutare la voce». Non ha né patente né cellulare. Nel 2007 ha provato a smettere di fumare: «Mi avevano detto che avrei sentito meglio i sapori e gli odori; non è vero, è tutto come prima».
• «Una volta mi è capitato di fare l’amore di gruppo ma non mi sono divertito in maniera particolare, oltretutto faceva molto freddo e la mattina dopo mi sono svegliato con la bronchite».
• Promuove i suoi concerti sempre con la stessa locandina, la copertina di Via Paolo Fabbri 43 (1976), uno dei suoi dischi storici. La foto fu scattata nel 1971 durante una vacanza in Grecia: «Non è che non voglio arrendermi al tempo che passa: piuttosto considero ormai quella foto come il mio logo, una specie di marchio di fabbrica».
• Si definisce meteoropata e ansioso: «quando prendo il treno da Porretta Terme a Bologna, arrivo sempre un’ora prima. C’è solo quello, impossibile sbagliare. Io però, ogni volta, chiedo in stazione: “È quello delle ore ‘X’ per Bologna?”. Non lo chiedo mica per sapere a che ora arriva: lo chiedo per sapere se arriva» (a Andrea Scanzi)..
• Imparò a leggere e a scrivere prima della scuola leggendo Pinocchio; saltò la prima elementare.
• Appassionato di fumetti.
• Per annunciare il progetto e l’uscita dell’ultimo cd della sua carriera, pubblicò un video su YouTube.