30 maggio 2012
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Biografia di Filippo Graviano
• Palermo 27 giugno 1961. Mafioso, reggente del mandamento di Brancaccio, a Palermo, insieme al fratello Giuseppe (titolare formale della reggenza). Tra i due fratelli, dicono i giudici, Filippo era la mente. Detenuto dal 27 gennaio 1994, al 41 bis dall’8 marzo successivo, in espiazione di quattro ergastoli cumulati, più anni 21 e mesi 8 di reclusione.
• «Sono stato assolto in tutti i procedimenti che mi vedevano imputato esecutore di delitti, ma ahimè sono condannato definitivo all’ergastolo come mandante, per teorema e perché non potevo non sapere, in pratica nulla. Nei processi in cui sono stato condannato non c’è mai stato collegamento tra il delitto e la mia persona, al punto che il Pubblico Ministero di Firenze mi ha definito un fantasma in quel procedimento» (Sergio D’Elia, Maurizio Turco, 2002).
• Arrestato insieme al fratello quel 27 gennaio 1994 a Milano nella trattoria “Da Gigi il cacciatore”, anche lui fu condannato per associazione mafiosa, e per le stragi di Capaci, di via D’Amelio (del 92), e di Roma, Firenze, Milano (del 93) (vedi Giuseppe Graviano).
• A differenza del fratello, fu assolto in primo grado, ma poi condannato come lui in secondo (sentenza confermata dalla Cassazione il 7 novembre 2001), in quanto mandante dell’omicidio di don Giuseppe Puglisi, parroco della chiesa di San Gaetano, nel quartiere Brancaccio, ucciso il giorno del suo compleanno (15 settembre 1993) con una pistola calibro 7,65, tra gli altri da Grigoli Salvatore, detto “il Cacciatore”, che poi si pentì, facendo condannare con le sue dichiarazioni anche Filippo. Don Puglisi, il prete che «infaticabilmente operava sul territorio, fuori dell’ombra del campanile» (come scrissero i giudici di primo grado), fu ucciso perché i Graviano, allora latitanti, temevano che ospitasse nella propria abitazione agenti di pubblica sicurezza infiltrati per individuare il loro nascondiglio. Non era vero, lo negò lo stesso Lorenzo Matassa, il pubblico ministero che sostenne l’accusa contro di loro:«Nessuna traccia anche minima dell’indagine ha mai confermato questa vocazione sbirresca del prete di frontiera. Lo ripetiamo qui, davanti a tutti e soprattutto davanti a questi imputati, mai don Pino diede aiuto alla polizia e gli armadi del centro di accoglienza Padre Nostro erano pieni di medicinali, di pasta, di pane, di vestiti, di giocattoli e di ogni altro bene che serviva alla sua gente, alla gente che egli curava e che, disperata, non aveva nulla». Vero, invece, era che don Puglisi, nelle prediche, a messa, parlava contro la mafia e «la gente sentiva questo suo fascino, soprattutto i giovani» (come disse Grigoli). A nulla erano serviti gli avvertimenti (incendi e danneggiamenti vari): «Puglisi continuava a fare quello che aveva sempre fatto, parlare contro la mafia...» (ibid). Per sviare le indagini, nel tentativo di fare attribuire il delitto a un tossico, Grigoli e tale Spatuzza simularono una rapina: «Spatuzza gli tolse il borsello e gli disse: padre, questa è una rapina. Lui rispose: me l’aspettavo. Lo disse con un sorriso. Un sorriso che mi è rimasto impresso» (ibid).
• Les Tours d’Orient (“Le Torri d’Oriente”): nome di un locale notturno dei fratelli Graviano, gestito da Tony Calvaruso, aperto in località Buonfornello, ai confini di Termini Imerese (Palermo), all’interno di un villaggio turistico, sulla spiaggia. Per continuare a stare con le entraîneuses gli avventori dovevano fare ogni quarto d’ora una consumazione (costo, quarantamila lire), mentre alle donzelle veniva servito solo un cocktail chiamato “il messicano” (hai voglia che i cavalieri glielo offrissero per farle ubriacare, in realtà si trattava di zucchero, limone e acqua). Nella lista era incluso anche un Dom Perignon del 62, ma dello champagne le bottiglie avevano solo l’etichetta. « “Minchia come è buono questo sciampagne”, dicevano i clienti», che invece si bevevano Asti Cinzano come se fosse champagne (Alfonso Sabella, sostituto procuratore del pool antimafia diretto da Gian Carlo Caselli, presso la Procura di Palermo, in Cacciatore di mafiosi).
• Secessioni Nel 2001 il Gip di Palermo ha archiviato, su richiesta della Procura, il procedimento che lo vedeva indagato, tra gli altri, insieme a Licio Gelli, Stefano Delle Chiaie, Salvatore Riina, Benedetto Santapaola, Aldo Ercolano, Paolo Romeo. Accusa: associazione con finalità di eversione dell’ordine democratico, mirata a ottenere la secessione della Sicilia e di altre regioni meridionali dal resto d’Italia (reato di cui all’art. 270 bis codice penale). Testimone chiave Tommaso Cannella (vedi scheda), che ha rivelato il graduale passaggio della strategia di Cosa Nostra, dal progetto separatista al sostegno di Forza Italia. «Alcuni, come Bagarella, erano tutti proiettati, in un primo momento, sul progetto separatista. Altri, come i Graviano e Provenzano, pur coltivando lo stesso progetto, ritenevano tuttavia che si trattasse di un progetto che richiedeva tempi lunghi di attuazione, e che, quindi, pur non abbandonando il progetto, bisognasse nell’immediato trovare una soluzione politica, che, in attesa del maturare delle condizioni per l’attuazione della strategia separatista, desse risposta alle esigenze più impellenti e immediate di Cosa Nostra, e cioè i processi, i magistrati, i pentiti e il carcere. Per questo motivo i Graviano e Provenzano, pur continuando a coltivare il progetto separatista, si impegnarono e profusero le loro energie per favorire e ed appoggiare l’affermarsi di un nuovo partito politico e cioè Forza Italia». È il primo procedimento che ritrae Filippo Graviano come mafioso bene introdotto nella politica. Parola di Cannella: «Verso la fine del 1993, nel corso di un incontro con Filippo Graviano, questi, facendo riferimento al movimento “Sicilia Libera” di cui ero notoriamente promotore, mi disse testualmente: “Ti sei messo in politica, ma perché non lasci stare, visto che c’è chi si cura i politici…, ci sono io che ho rapporti ad alti livelli e ben presto verranno risolti i problemi che ci danno i pentiti…».
• Ultime Nel 2008 si pente Gaspare Spatuzza, il killer a suo tempo agli ordini dei fratelli Graviano. Conseguenza, si riapre l’inchiesta sulla strage di via D’Amelio. «Ci sono voluti vent’anni da quel 19 luglio 1992 per “scoprire” che la pista che portava al boss Pietro Aglieri era falsa e che quella vera conduceva al capo mafia di Brancaccio Giuseppe Graviano e al fratello Filippo. La differenza non è da poco. Aglieri, capo mandamento della Guadagna, coinvolto nella strage di Capaci, era l’espressione dell’ala militare e più interna di Cosa Nostra, mentre i boss di Brancaccio vantavano collegamenti con i vertici di Forza Italia, nonostante Filippo Graviano abbia negato qualsiasi rapporto di conoscenza con il senatore Marcello Dell’Utri e il fratello si sia rifiutato di rispondere ai giudici» (Giuseppe Oddo, “Il Sole 24 Ore”). Spatuzza indica nei fratelli Graviano la fonte da cui ha saputo che i referenti politici di Cosa Nostra nella stagione terroristica sarebbero stati Dell’Utri e Berlusconi. Filippo lo smentisce: «Non conosco Marcello Dell’Utri. Non ho avuto contatti né diretti né indiretti con Marcello Dell’Utri». Ma nel 2004, nel carcere di Tolmezzo, a Spatuzza avrebbe detto: «Se non arriva niente da dove deve arrivare è bene che anche noi cominciamo a parlare con i magistrati».
• «Nel frattempo, però, studia Economia e sostiene esami in teleconferenza coi professori dell’università La Sapienza di Roma. Al confronto con Spatuzza s’è presentato esibendo i certificati di 10 prove (quasi tutti trenta, un paio di lodi) e un biglietto di complimenti fattogli recapitare dal docente di Statistica» (Marco Imarisio). (a cura di Paola Bellone).