Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  maggio 30 Mercoledì calendario

Biografia di Emilio Gnutti

• Brescia 6 agosto 1947. Finanziere. «Nessuno sa come funziona la Borsa» (da un’intercettazione dell’estate 2005).
Vita Infanzia difficile: i genitori, sarti, si ammalarono entrambi di tubercolosi quando lui era ancora ragazzo. I soldi in casa erano pochi, Emilio si arrangiava con lavoretti per mantenere la famiglia e la sorella parrucchiera. Dopo il diploma di elettrotecnico, fece il venditore di fotocopiatici, poi l’operaio in una fabbrica di motori elettrici. Nel frattempo studiava Economia e commercio a Parma, ma si laureò in Lettere e filosofia. Nel 1969, poco più che ventenne, fondò, assieme a un amico e al datore di lavoro, la Gi-Em, resistenze elettriche. L’azienda ebbe successo e gli garantì i primi soldi veri. Intanto nel 1971 sposò Ornella, figlia di un vecchio operaio della Om-Iveco, dalla quale ha avuto due figli: Thomas (1972) e Arianna (1973).
• «All’inizio girava con una vecchia Fiat 500 a vendere avvolgimenti per motori elettrici che produceva in un capannone alla periferia di Brescia. Poi ha scoperto la finanza e ha toccato con mano che è un metodo più veloce per far soldi» (Gianni Barbacetto e Marco Maroni) [Fat 28/7/2010].
• Esordio in finanza nel 1979: assieme a Mauro Ardesi, erede di un’antica impresa edile del bresciano, fondò Fine-Eco Leasing, società che si occupava di locazione finanziaria, un mercato ancora giovane in Italia. Il progetto funzionava, tanto che all’inizio degli anni Ottanta la Banca Popolare di Brescia, guidata da Bruno Sonzogni, prima entrò nel capitale del gruppo, poi comprò una quota di controllo. Con questa operazione Gnutti fece il suo ingresso nel comitato esecutivo di Bipop: ci resterà fino al 1992, quando l’alleanza con Sonzogni si guasterà per questioni di rivalità personale e Bipop risolverà comprando tutta Fin-Eco Leasing e pagando a Gnutti 70 miliardi di lire.
• Gnutti distribuì questa somma tra le sue società, in modo da creare un sistema di scatole cinesi: in cima c’era Fingruppo (fondata nel 1988) che controllava Hopa (del 1990) che controllava Fin-Eco holding. Aderirono una settantina di imprenditori del bresciano medio-grandi, tra i quali i Lonati e i Lucchini, e grandi investitori italiani e internazionali: Comit, Banca agricola mantovana (passata poi a Monte dei Paschi), Antonveneta, Unipol, Chase Manhattan Bank.
• Hopa acquistò nel ‘92 la Colmark, catena di supermercati che in quel momento fatturava 240 miliardi. In quattro anni la portò a 1.200 miliardi di ricavi e poi la vendette alla Rinascente, nel 1996, per 500 miliardi.
• In quel periodo Gnutti conobbe Roberto Colaninno, amministratore delegato di Olivetti (gruppo De Benedetti). I due diventarono soci e amici. E decisero di scalare Olivetti. Iniziarono a comprare azioni della compagnia nel 1997, l’anno dopo diedero vita alla Bell, finanziaria lussemburghese controllata al 56,6% da Hopa e Fingruppo, a loro volta partecipate dai due assieme ad Antonveneta, Finsthal, Unipol e Gazzoni Frascara, Banca di Roma, Monte dei Paschi, Comit, Mediobanca, Chase Manhattan Bank. Bell acquisì una quota sufficiente a controllare Olivetti (l’8%) a inizio 98: a fine anno ne aveva rastrellato il 22%.
• Nel febbraio 1999 la coppia Gnutti-Colaninno lanciò la scalata più grande della storia del capitalismo italiano, quella su Telecom. Riuscirono a mettere insieme 120 mila miliardi di lire, di cui 100 mila attraverso indebitamento con le banche (40 solo da Chase Manhattan) ed emissione di obbligazioni di Tecnost, piccola società scelta per condurre l’operazione. Per superare vincoli antitrust, Olivetti vendette Omnitel e Infostrada. A giugno l’Opa andò in porto. I «capitani coraggiosi» (come li definì Massimo D’Alema, allora presidente del Consiglio) rastrellarono il 51% delle azioni di Telecom spendendo 61 mila miliardi di lire. Ma la nuova gestione di Telecom non ebbe successo: era una società troppo complessa, come spiegherà anni dopo lo stesso Gnutti. Il 27 luglio 2001 l’incontro con Marco Tronchetti Provera, che si candidò ad acquisire la quota di controllo di Bell. Trascorsa una notte di riflessione, l’affare fu concluso il giorno seguente, nonostante il parere contrario di Colaninno. Gnutti incassò 18 mila miliardi, ottenendo una plusvalenza di 1.500 miliardi. Quattro anni dopo l’Agenzia delle entrate accuserà Bell di non avere pagato le tasse dovute per la cessione, diatriba che si risolvette con una multa di 156 milioni di euro. Altri problemi con la giustizia nel 2002: condannato per insider trading in Telecom e Unipol, condannato per corruzione di uomini della Finanza alla Pineider.
• Nell’estate del 2005 fece parte del gruppo di uomini che tentò la tripla scalata dei furbetti (vedi RICUCCI Stefano): contendere Bnl agli spagnoli del Bilbao insieme con Giovanni Consorte, disputare Antonveneta agli olandesi di Abn Amro insieme con Gianpiero Fiorani, sostenere la scalata al Corriere della Sera di Ricucci. Sua la telefonata, intercettata il 12 luglio 2005, che spiegava tante cose di quell’estate. Gnutti era a cena in un ristorante di Valeggio sul Mincio, con lui anche Berlusconi, era passata da poco la mezzanotte. Lo chiamò sul telefonino Fiorani, per dirgli che Tonino (cioè il governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio) aveva appena autorizzato l’Opa di Banca Popolare su Antonveneta. Gnutti si congratulò e subito dopo chiamò Ivano (quasi certamente Ivano Sacchetti, numero due di Unipol): «Stanotte è arrivata l’autorizzazione...». Ivano: «Ieri Caltagirone che ha visto Berlusconi, ma soprattutto ha visto Letta l’altro ieri, aveva riferito che c’era un po’ di preoccupazione». Gnutti: «Non c‘è assolutamente preoccupazione. Ho detto a Berlusconi che a loro interessava molto appoggiare Gianpiero perchè dall’altra parte stanno facendo quell’altra. Per cui, per una questione di equilibrio, si fa una per una, quindi vado in appoggio anche di là. Berlusconi mi ha risposto che faccio bene...». È su questa telefonata che si basa l’interpretazione secondo cui l’estate delle scalate fu il risultato di un accordo tra centro-destra e centro-sinistra: Bnl sarebbe andata al centro-sinistra, Antoveneta al centro-destra ed entrambi gli schieramenti avrebbero controllato il Corriere della Sera.
• Nel dicembre 2005, andate a monte le scalate, Gnutti lasciò i consigli di amministrazione di Unipol, Montepaschi, Asm Brescia. A gennaio abbandonò quelli di Olimpia (di cui aveva ancora comprato una quota nel 2002) e Hopa. Lo stesso mese, al Tribunale di Brescia, contro di lui scattò un’indagine per falso in bilancio. Fu l’inizio della fine. Hopa, abbandonata, era allo sbando: tentò una fusione con Palladio, ma l’operazione saltò. A maggio 2008 il 3,6% di Telecom ancora in mano ad Hopa fu sequestrato da Royal Bank of Scotland, che aveva avuto quel pacchetto da un miliardo di euro come garanzia di un credito. A giugno il Tribunale di Brescia chiese il fallimento di Fingruppo: la holding aveva 410 milioni di euro di debiti con le banche, di cui 284 a vista. Saltò anche l’ultimo, disperato, tentativo di fusione tra Hopa e Sopaf. A fine mese Gnutti, malato, decise di abbandonare la finanza e darsi alla sanità: lasciò il 50% della holding Gp ai figli e sottoscrisse il 30% di Medicalspa, una società che gestisce una struttura sanitaria per terapie estetiche e cura del corpo. Hopa venne salvata da Bazoli (Mittel) alleato con Equinox (Salvatore Mancuso-Gaetano Miccichè), Mps e Banco Popolare.
• Nel 2011 la sua ex finanziaria chiese il conto, inoltrandogli un’azione di responsabilità: sotto accusa la maxi consulenza da 18 milioni di euro pagata ai vertici di Unipol (Consorte e Sacchetti) quando, poco dopo aver venduto la partecipazione in Telecom, la Hopa rientrò nel gruppo telefonico affiancando la Olimpia di Tronchetti Provera e Gilberto Benetton.
• Nel 2009 costituì una nuova società, la Aton Spa, attiva soprattutto nel business del mattone: «L’unica cosa diversa, dallo schema tradizionale da lui operato, è il numero civico della sede: non Corso Giuseppe Zanardelli 32, bensì 38. Per il resto, le cose non mutano: un pacchetto consistente in capo alla sua famiglia, più una serie di imprenditori bresciani a portare soldi» (Paolo Bricco) [S24 25/9/2009]. Insieme alla Pineider (cartoleria) e alla Medicalspa (cliniche) la Aton è il fulcro delle sue attuali attività.
Sentenze Condannato in primo grado nel 2006 per insider trading sui titoli Unipol, assolto il 30 maggio 2012 dall’accusa di aggiotaggio perché il fatto non sussiste: secondo la corte d’appello gli aspiranti acquirenti di Bnl non avevano «inquinato con false informazioni e patti segreti i valori dei titoli in Borsa in modo che l’Unipol riuscisse ad acquisire la Bnl». Il 7 dicembre dello stesso anno la Cassazione ribaltò però la sentenza. Il processo si concluse definitivamente il 6 dicembre del 2013, quando venne assolto con formula piena.
• Nel luglio del 2010 rinviato a giudizio per bancarotta fraudolenta nell’ambito del fallimento (nel 2003) della Shs, un’azienda di software nella quale era entrato nel 2010. Condannato il 25 gennaio 2012 a quattro anni, assolto in appello nel maggio dello stesso anno per non aver commesso il fatto: secondo i giudici non c’erano prove che i soci della Shs si fossero appropriati del capitale di rischio, sottraendo venti miliardi di vecchie lire in cambio delle partecipazioni.
• «Non è finito in cella, come i suoi alleati Fiorani, Ricucci, Coppola. Ma ha dovuto dire addio alle grandi ambizioni. Non solo: ha anche dovuto sentire le proteste dei vecchi amici. Li ha arricchiti, in passato. Poi sono arrivate le perdite causate dalla svalutazione della partecipazione in Olimpia-Telecom (2 miliardi e mezzo bruciati in tre anni). E allora i vecchi compagni di scalate, famiglie di industriali e professionisti bresciani come i Lonati, i Moreschi, i Consoli, i Bertoli, i Marniga, non l’hanno presa bene, soprattutto dopo il rifiuto di Gnutti di fare la sua parte quando si è trattato di mettere capitali freschi per salvare la società dal fallimento. “I vecchi amici gli hanno girato le spalle e lui in giro si fa vedere poco, si è rifugiato in affari di piccolo cabotaggio”, dice un bresciano che lo conosce bene» (Barbacett, Meroni).
• Vizi Appassionato di automobili, ne ha possedute oltre cento tra Ferrari, Rolls-Royce, Porche e Bentley. I modelli d’epoca era solito farli sfilare alla Mille Miglia, di cui per anni fu tra gli animatori. Parentesi anche in Formula 1: tra i finanziatori della Scuderia Italia di Giuseppe Lucchini, poi fusa con la Minardi nel 1994.
• Nel 2003 era uno degli uomini più ricchi del mondo secondo la classifica di Forbes.