30 maggio 2012
Tags : Sergio Givone
Biografia di Sergio Givone
• Buronzo (Vercelli) 11 giugno 1944. Filosofo. Laurea a Torino sotto la guida di Luigi Pareyson (1918-1991), discutendo nel 1967 una tesi sulla ricezione contemporanea del pensiero di Pascal. Insegna Estetica all’Università di Firenze. Tra i suoi libri: Dostoevskij e la filosofia (Laterza 1985), Storia dell’Estetica (Laterza 1988), Disincanto del mondo e pensiero tragico (Il Saggiatore 1989), Storia del nulla (Laterza 1995), Metafisica della peste. Colpa e destino (Einaudi 2012) e, con Remo Bodei, Beati i miti, perché avranno in eredità la terra (Lindau 2013).
• «Di Sergio Givone ce ne sono due, il filosofo e il romanziere. Come succede in questi casi (Calasso sul mito, Magris scrittore di romanzi, l’autobiografismo di Vattimo), il romanziere nasce dopo il filosofo, che per molti versi ne è all’origine. Il filosofo cerca concretezza, espansione creativa, misura e peso dei sentimenti. Filosofia come prospettiva che trova contenuti fuori da se stessa. Il saggista Givone è autore, tra l’altro, de Il bibliotecario di Leibniz (Einaudi 2005), dove mostrava la difficoltà di separare dalla filosofia ciò che dovrebbe appartenere in esclusiva alla letteratura. Questo per dire quanto è stata sempre nutriente la sua attrazione nei confronti del romanzo» (Repubblica). Il Givone romanziere ha firmato Favola delle cose ultime (1998), Nel nome di un Dio barbaro (2002) e Non c’è più tempo (2008), tutti editi da Einaudi.
• «Tanto sono ben disposto su filosofia e romanzo quanto la poesia mi sembra un dono assolutamente raro. Amo molto Petrarca, amo Leopardi, ho letto Montale, Ungaretti, molto Luzi. Amo anche Celan, ma non leggo la sua poesia filosoficamente. Platone ha detto: ci sono delle cose che vogliono essere afferrate dal Logos e cose che vogliono essere afferrate dal Mythos. È già tutto qui» (a Giovanni Tesio) [Ttl-Sta 7/7/2012].
• «Che l’arte sia conoscenza, può essere affermato solo se si comprende che l’arte è una forma conoscitiva di tipo particolare, ossia un conoscere che è prima ancora se non principalmente un fare. Naturalmente vale la reciproca. L’arte è un fare, ma un fare che mette capo a un vero e proprio mondo: nel quale ognuno può sentirsi a proprio agio o a disagio, scoprirvi una patria o un luogo utopico, inoltrandosi in esso come lungo i sentieri di un’avventura conoscitiva. Incontriamo qui una delle maggiori questioni dell’estetica, che continuamente si ripropone. Nel Novecento in Italia abbiamo avuto una grande estetica del conoscere (Croce) e una grande estetica del fare (Pareyson). (…) Vien da chiedersi se non sia venuto il momento di compiere un passo ulteriore: verso un’estetica che sia insieme un’estetica del fare e un’estetica del conoscere. Con ciò verrebbe raccolta l’eredità che più ci appartiene, quella vichiana, per cui l’uomo non conosce se non facendo, e non fa se non conoscendo. È quanto Sergio Givone ha suggerito nel suo saggio più recente, Il bibliotecario di Leibniz» [Dario Antiseri, Silvano Tagliagambe (a cura di), Storia della filosofia vol. 14, Bompiani 2008, pp.285-286].
• Il suo libro dei libri è «L’Astronomia popolare di Flammarion. Racconta la storia del mondo in una luce metafisica anche se è l’opera di un positivista. Era come leggere in cielo le cifre di un destino». Baratterebbe l’intera “Recherche” proustiana per lo “Zeno” di Svevo «È la mia passione per l’ironia. La coscienza di Zeno è un carnevale meraviglioso di deduzioni e controdeduzioni» (a Tesio cit.).
• Dal giugno 2012 ha sostituito Giuliano Da Empoli come assessore alla Cultura del Comune di Firenze.
• «Le esperienze quotidiane non sono niente rispetto all’incontro con un libro» (Sergio Givone).