30 maggio 2012
Tags : Carlo Giuffré
Biografia di Carlo Giuffré
• Napoli 3 dicembre 1928. Attore. Studi all’Accademia nazionale d’arte drammatica, debuttò nel 1949 con Eduardo De Filippo, nel 1963 entrò a far parte della mitica Compagnia dei Giovani (De Lullo-Falk-Valli-Albani), con la quale rimase per ben otto stagioni. «Sono orgoglioso di rifare il teatro come si faceva nell’800: un buon testo, l’attore e via».
• «In famiglia eravamo 4 figli. Papà era un apprezzato musicista del Teatro San Carlo di Napoli. Ma ci lasciò presto. Io avevo 8 anni, Aldo 12. Mamma non lavorava , di soldi non ne giravano e cosi io, che ero il più piccolo dei figli maschi, venni mandato in collegio. Non avevo neanche le scarpe, e me la cavavo con gli zoccoli, andavo a mangiare dagli zii. Aldo spesso mi veniva a trovare. Era in carne, all’epoca, e con spietatezza i miei compagni di collegio lo prendevano in giro: “Maronna quanto si chiatto, madonna quanto sei grasso”, gli dicevano in coro. Io soffrivo per lui, lo difendevo dai loro attacchi . Però andavo anche orgoglioso della sua voce. Che gli aveva consentito, dopo tanta gavetta, di sfondare nel mondo teatrale, regalandogli dagli studi rai, anche la gioia di dare l’annuncio a tutti gli italiani, della fine della seconda guerra mondiale, il 25 aprile del 1945». «Una volta vidi mia madre chiedere l’elemosina e compresi quanto le doveva esserle costato quel gesto fatto per noi, per i suoi figli» (ad Antonio Gnoli) [Rep, 20/1/2013]. «Ma ebbi un forte spirito di sopravvivenza. E lì accettai qualsiasi cosa: suonavo la tromba, feci teatro con un atto unico di Marchesi e Metz, coi personaggi di Timiducci (ero io) e Franconi».
• «Eduardo nel dicembre del 1948 cercava uno che sapesse parlare bene italiano per fare, dietro le quinte, lo speaker radiofonico nel suo La paura numero uno. Io ero ventenne, ero in Accademia, mi scritturò, e la mia prima battuta era da giornale-radio, “A proposito di una possibile invasione dell’Europa occidentale, il ministro ha detto, eccetera eccetera”. Facevo anche la comparsa condominiale. Subito dopo, per sostituire un interprete ammalato, fui promosso a portiere ne Le voci di dentro». «Eduardo mi fece fare una prova nel pomeriggio e imparai parecchio in quell’ora: mi ricordo che mentre muovevo le mani. lui mi disse: "Levate chelle ppalette ‘a miez’". E significava: togliete quelle mani, le muovete troppo».
• «Con Valli, la Falk e i Giovani ho trascorso otto memorabili stagioni di spettacoli, un tirocinio classico, etico ed estetico, e De Lullo mi insegnò un mistero del teatro, il parlare sottovoce e farsi sentire dall’ultima fila della platea. Poi un giorno impallidì quando gli chiesi di arrivare in ritardo alle prove per girare un Carosello, che non feci più. Visconti mi diresse nel 70 nell’ Egmont di Goethe, e con la sua ironia bella e robusta quando mi vide fare una passeggiata lungo tutto il proscenio mi rimproverò: “Carlo, non siamo a via dei Mille a Napoli!”».
• «Non mi sono fatto mancare Cechov, Ibsen e Shakespeare, ho avuto la fortuna di prendere parte a Metti una sera a cena di Patroni Griffi, e nella maturità ho cominciato a ridire battute di Eduardo da quando un anno prima che morisse, nell’83, mi concesse La fortuna con la effe maiuscola scritta assieme a Curcio» (a Rodolfo Di Giammarco).
• Da quando Eduardo è morto rifà i suoi testi tali e quali, tentando di assomigliargli il più possibile (nel ritmo, nelle pause): «È un esempio di teatro universale. Semplicemente immenso. Da lui ho cercato di “rubare” tutto» [a Gnoli, cit.]. «Signore assoluto di quel teatro all’antica che oggi, tra soap e sit-com, sembra nuovo: un teatro di sano professionismo in tempi di non professionismo» (Anna Bandettini). Franco Cordelli: «Grande attore (ma non meno sapiente regista) alla soglia dei suoi 80 anni ha compiuto una trasformazione meravigliosa: egli ha superato il maestro. Non ho timore di dire che Carlo ormai è un attore più grande di Eduardo. Eduardo aveva una mimica magnetica, di conturbante rilievo. Carlo recita da fermo, o con piccoli gesti, sottili, quasi impercettibili. Eduardo era un attore drammatico, a volte perfino dionisiaco. Carlo è un attore apollineo, pacato, il cui pathos appare riassorbito nella sapienza della vita, negli anni che gli è toccato vivere. Insomma, usa meno mezzi e ottiene gli stessi risultati».
• «Mi sono commosso per la bravura di Giuffré. Io sono per l’ innovazione, ma quando la tradizione è così, quando è a questo livello, mi inchino» (Bertinotti).
• «Quando ero giovane ho fatto qualche film, poi mi sono concentrato solo sul palcoscenico. Mario Monicelli non mi ha mai perdonato di aver rifiutato di interpretare con lui Speriamo che sia femmina: mi disse che avevo commesso un grave errore, così come quando rifiutai una parte importante nell’altro suo filmAmici miei, perché ritenevo che fosse un personaggio volgare, poco adatto alle mie corde» (ad Emilia Costantini).
• • Nel 1971 condusse il festival di Sanremo accanto ad Elsa Martinelli. Vinse il David di Donatello come miglior attore non protagonista per Son Contento (Maurizio Ponzi 1984): «Però Suso Cecchi D’Amico, che era in giuria, mi disse che me lo volevano dare per l’interpretazione offerta ne La pelle di Liliana Cavani un anno prima» (a Fat, 29/4/2012). Nel 2007 vinse il Premio alla Carriera.
• «Non c’è al mondo qualcos’altro con cui potrei vivere e che potrei amare come il mio mestiere. Io mi cibo di teatro e il teatro si ciba di me (...) Certe volte la notte penso a cosa sarebbe stata la mia vita senza il teatro. E l’idea non mi piace». È talmente appassionato al teatro che ha espresso il desiderio di morire in scena, come Molière: «Mi accontenterei del camerino». Come molti attori è superstizioso: «Mi incazzo se un copione cade in palcoscenico o se uno si veste di viola» [a Gnoli, cit.].
• Della sua città natale, Napoli, dice: «Questa città così bella io non la riconosco più. Alla fine degli anni Cinquanta recitavo con Glauco Mauri e Umberto Orsini: la notte facevamo lunghe camminate a piedi, ovunque, in posti dove adesso non avrei più il coraggio di mettere piede neanche a mezzogiorno». «Non ho apprezzato del tutto Gomorra (il libro di Roberto Saviano ndr). Dice cose giuste, ma sono cose che tutti sanno. L’arte deve andare oltre: farti vedere che cosa c’è all’orizzonte (...) Ci vuole l’utopia. Gomorra è un documentario, ma non è poesia, perchè manca la speranza» [a Vty, cit.].
• Fratello di Aldo (1924-2010), anch’egli attore, con il quale i rapporti non furono sempre pacifici. «Lui, che era il fratello più grande, pensava di poter estendere questa condizione anagrafica anche al teatro. E a quel punto ci intendemmo sempre meno» [a Gnoli, cit.]. Tuttavia, nonostante le incomprensioni legate alla carriera, disse a proposito della scomparsa di Aldo: «So di aver perso più di un fratello, una parte di me (...)» (a Ansa, 27/6/2010). Il figlio, Francesco, è un regista teatrale. Insieme hanno portato in scena La Lista di Schindler (2014). È sposato con Lilli.