30 maggio 2012
Tags : Marco Giallini
Biografia di Marco Giallini
• Roma 4 aprile 1963. Attore. Tra i suoi film La bellezza del somaro (2010) di Sergio Castellitto, Io loro e Lara (2010) e Posti in piedi in paradiso (2012) di Verdone. Da ultimo Tutta colpa di Freud (2013) di Paolo Genovese. Visto in tv nella sitcom Buttafuori con Valerio Mastandrea (2006), nella terza serie di Boris (2010, è Valerio «l’attore maledetto del cinema italiano»), in Romanzo Criminale e Romanzo Criminale 2 (2008/2010, è il Terribile) e in La nuova squadra (2011). Molto attivo in videoclip e cortometraggi.
• È rimasto vedovo nel 2011, la moglie Loredana ha avuto un’emorragia cerebrale. «È morta dalla sera alla mattina. Credevo fosse svenuta. Ci siamo messi insieme a 20 anni e per quasi 30 non ci siamo lasciati un giorno. La forza di ricominciare me l’hanno data i miei due figli, Diego ha 8 anni e Rocco 15, mi fissavano come a dirmi: e adesso? Dormiamo insieme in un lettone enorme, c’è un rapporto fisico, mi piace sentire l’odore dei loro capelli. Ho una nuova compagna, è una cosa recente, stiamo bene, vedremo (...)».
• «Una bella faccia da cinema francese a metà tra Marsiglia e la Tiburtina, non a caso è un cultore dei polar, i poliziotteschi francesi anni Settanta. Fascinaccio che porta ruoli da bastardo, cialtrone, duro, solitignoto mai fetente per davvero fino in fondo (...). “Sono entrato all’ Accademia con una borsa di studio che neanche sapevo parlare l’italiano. Oddio, quello manco ora, ma se mi impegno ce la faccio. Antonio Pierfederici mi squadrò e disse ‘Giallini, con lei c’è da lavorare di lima a sgrosso’”. Le prime battute vere le pronuncia a trent’anni nell’Adelchi con Arnoldo Foà: “Mio padre venne nei camerini dell’Argentina e gli fece: ‘Ma ‘nzomma allora come va ‘sto ragazzo?’. A Foà. Come se fossi l’apprendista di un carrozziere” (...)» (a Emilio Marrese).
• «Sono nato in una borgata sulla Nomentana. Mio padre era un operaio con la passione per il cinema. Ho fatto mille mestieri, dall’imbianchino al bibitaro. La mia prima passione era la musica, mi vanto di essere un profondo conoscitore di rock. E poi il cinema, anche se non ho mai avuto il sacro fuoco. Mi sono accorto che ero bravo a esprimere sentimenti. La penso come Mastroianni quando diceva che gli attori sprecano la vita a essere famosi e quando lo diventano si mettono gli occhiali scuri per non farsi riconoscere (...). Ora (...) mi metto a aspettare il film d’autore. Quello che incassa 3.000 euro e devo stare zitto per mezz’ora. Così magari mi danno il David di Donatello» (a Valerio Cappelli).
• Ciak d’oro nel 2012 come personaggio cinematografico dell’anno.
• «Faccia da indiano», è un appassionato motociclista («sono un motociclista, non uno che prende la moto per andare nei posti») e musicista dilettante («strimpello un po’ di tutto: basso, chitarra, batteria, ma senza mai aver studiato»). È romanista.
• «Con una fiction mi sono comprato casa. Soldi che mio padre non ha mai visto lavorando tutta la vita, che vergogna. Ma lui non c’era già più. So che è retorico, ma questo è il mio rammarico più grande. “Romoletto faticone nun c’hai voglia de fa’ ’n cazzo” mi prendeva sempre in giro. Non ci avrebbe mai creduto. Mi veniva da andare al cimitero a risvegliarlo: ahò, papà ce l’ho fatta!».