30 maggio 2012
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Biografia di Paolo Gentiloni
• (Gentiloni Silverj) Roma 22 novembre 1954. Politico. Presidente del Consiglio dal 12 dicembre 2016. Ministro degli Esteri nel governo Renzi (2014-2016). Ministro delle Comunicazioni nel Prodi II (2006-2008). Eletto alla Camera nel 2001, 2006, 2008 e 2013 (Ulivo, Pd). «Anche di Jack lo squartatore Paolo sarebbe capace di dire cose del tipo: “Ha comportamenti un po’ eccessivi”, e non più di questo» (Ermete Realacci a Nicoletta Tiliacos) [Fog 6/11/2014].
• Laureato in Scienze politiche, giornalista professionista, portavoce di Rutelli quando quest’ultimo era sindaco di Roma (1993-2001), nella capitale Gentiloni è stato assessore al Giubileo e al Turismo. Anche coordinatore della campagna dell’Ulivo per le elezioni politiche del 2001, prima di entrare nel Pd faceva parte della Margherita. Alle primarie per il candidato premier del centrosinistra nel 2012 appoggiò Matteo Renzi. Nel 2013 candidato alle primarie del centrosinistra per il sindaco di Roma, arrivò terzo dopo Ignazio Marino e David Sassoli.
• «A De Mita, quando lo incontrava nelle riunioni della Margherita, brillavano gli occhi: “Quando sento il cognome Gentiloni – diceva l’anziano Ciriaco – capisco che questo non è un partito estremista e che ha radici nella vera storia del Paese”. Il riferimento demitiano era ovviamente al Patto Gentiloni, che riportò nel 1913 i cattolici nella politica italiana superando il trauma della Breccia di Porta Pia e il non expedit» (Mario Ajello) [Mes 1/11/2014].
• Figlio di Carlo Alberto, avvocato, e di Maria Berica Venturini, veneta e lontanamente imparentata col romanziere ottocentesco Antonio Fogazzaro. «Un suo antenato diretto (a differenza del collaterale Ottorino), il musicista Domenico Gentiloni Silverj, faceva parte della Guardia nobile del Papa e compose nel 1846, in occasione dell’elezione di Pio IX (un altro marchigiano, Giovanni Maria Mastai Ferretti), l’opera intitolata L’Armonia religiosa, che fu eseguita per la prima messa celebrata dal nuovo Pontefice a San Pietro. (…) Anche Domenico Gentiloni Silverj era stato a suo modo un eccentrico. Guardia nobile del Pontefice, si diceva, ma anche ammiratore e amico di Vincenzo Gioberti e di Massimo d’Azeglio, nel 1849 aveva aderito alla Repubblica romana. Dopo il ritorno del Papa fu espulso (comprensibilmente) dalla Guardia nobile, ma riuscì in seguito a essere totalmente riabilitato. Nel 1857 divenne primo cittadino di Tolentino (carica in precedenza ricoperta dal fratello), e passerà alla storia della sua città come l’ultimo sindaco dello Stato pontificio e il primo del nuovo Regno d’Italia, senza soluzione di continuità. Perché al loro arrivo, nel 1861, i piemontesi lo riconfermarono» (Tiliacos) [cit.].
• «Capo indiscusso del Movimento studentesco al Tasso di Roma, era un leader glaciale, deciso, di pochi gesti e nulle parole. Portava l’eskimo, i capelli lunghi, la frangetta ribelle e niente occhiali. Era alto, magro, inavvicinabile. Piaceva da morire alle ragazze, perché era un leader proletario, ma di grande famiglia. Dava schiaffoni in proprio, ma con parsimonia, preferendo che fosse la manovalanza a sbrigare le faccende sporche. Erano tempi di violenza e i pochi alunni di destra del Tasso venivano annichiliti. Ne sa qualcosa Antonio Tajani, allora capo del microgruppetto monarchico. Un giorno, uscendo di scuola, gli si accostò una Cinquecento. Ne scesero quattro operai che, armati di spranghe, lo bastonarono, procurandogli sette fratture. Assistevano i gruppuscoli di Gentiloni e gli altri, compiaciuti che si realizzasse col massacro l’alleanza tra proletari e studenti» (Giancarlo Perna).
• «Era il 1970. Il Torquato Tasso di Roma, liceo di una borghesia progressista, era occupato dagli studenti. E un ragazzo di nobili origini, comunista e cattolico, insegnante sporadico di catechismo ai bambini assieme ad Agnese Moro, figlia di Aldo, aspettava l’intervento dei poliziotti: capelli lunghi oltre la nuca e riccioli a formare un cespuglio. Lo sgombero fu violento. Allora Paolo Gentiloni capì che la politica era una passione che poteva praticare, che il movimento giovanile di Mario Capanna lottava per i ragazzi e per gli operai, che i sovietici non erano asfissianti seppur non adorasse la figura di Stalin. Dopo i manganelli e le mazzate, in un istituto che era anche del destrorso Maurizio Gasparri, del monarchico Antonio Tajani e del democristiano Marco Follini, il ribelle Gentiloni litigò con i genitori e scappò a Milano per commemorare la strage di piazza Fontana» (Carlo Tecce) [Fat 1/11/2014].
• «Dopo la laurea scrive sul settimanale Fronte popolare, poi su Pace e guerra, la rivista di Luciana Castellina e Michelangelo Notarianni, due fondatori del Manifesto. Nel 1984 la svolta ambientalista che sarà il trampolino per la carriera politica. Diventa direttore di Nuova Ecologia, il periodico di Lega Ambiente. Conosce il verde Francesco Rutelli» (Goffredo De Marchis) [Rep 1/11/2014].
• «Con Rutelli sono come gemelli. Nati a Roma nel 1954, rampolli dell’alta borghesia, con una spiccata propensione alla politica. Ma non è sui banchi di scuola che si conoscono. Francesco si forma dai gesuiti; Paolo frequenta il Tasso dove, a parte Maurizio Gasparri, e Marco Follini, la maggior parte degli studenti milita molto a sinistra. Rutelli approda tra i radicali; Gentiloni sceglie il Pdup. All’inizio degli anni ’80, ormai trentenni, si ritrovano a combattere sui temi del pacifismo. Gentiloni scrivendo per Pace e guerra, Rutelli finendo in carcere per aver invitato alla disobbedienza civile contro il nucleare alcuni militari. Proprio il tema dell’ambientalismo li avvicinerà ma sarà la candidatura a sindaco di Roma di Rutelli a consacrarne il sodalizio» (Antonella Baccaro) [Cds 4/6/2005].
• «Nel dicembre del 1993, Rutelli vinse la sfida per il Campidoglio contro Gianfranco Fini (la sua campagna elettorale era stata curata proprio da Gentiloni). La mattina delle elezioni, per allentare la tensione, Gentiloni giocò un doppio a tennis (c’erano anche Realacci e Chicco Testa). Da allora, ogni volta che si votava e fino ad anni recenti, la partita scaramantica si è ripetuta, nella stessa formazione (ma forse, azzardiamo, non sempre con gli stessi risultati)» (Tiliacos) [cit.].
• «Fin dai tempi della Margherita, le sue posizioni si sono segnalate per essere quasi sempre il contraltare laicizzante di quelle sostenute dal leader dell’epoca – e suo grande amico – Francesco Rutelli. Nel 2005, per esempio, in occasione del referendum sulla legge 40, Gentiloni – che già si era opposto in Aula – andò a votare per la sua abolizione, diversamente dagli esponenti cattolici della sua formazione (e in barba alla riedizione riveduta e corretta del “non expedit” da parte dell’allora presidente della Conferenza episcopale italiana, Camillo Ruini). E anche all’epoca della proposta sui Pacs, i patti di solidarietà tra omosessuali conviventi e coppie di fatto eterosessuali, Gentiloni si schierò a favore» (Tiliacos) [cit].
• Da ministro delle Comunicazioni, aveva il delicato compito di metter mano alla riforma del sistema televisivo (e alla legge Gasparri in particolare). Il testo del suo disegno di legge prevedeva, tra l’altro, il passaggio di una rete Rai e di Retequattro dall’analogico al digitale (come già sentenziato dalla Corte costituzionale: i vari governi avevano però sempre rinviato la riassegnazione delle frequenze) e limiti più severi al numero di spot per contrastare l’accentramento degli incassi pubblicitari. Definito da Berlusconi «un atto di banditismo» e «disegno criminale», con la caduta di Prodi non se ne fece più niente. «Un portatore sano di rancore» (Maurizio Gasparri).
• «Il suo sogno nel cassetto non era fare il ministro, ma il sindaco di Roma. Da assessore di Rutelli ci aveva preso gusto. L’occasione propizia si presentò alla fine del 2012 dopo le dimissioni di Gianni Alemanno. Il partito esitava, le primarie incombevano, e Gentiloni avanzò un’autocandidatura drammatica. Piazzò scaramanticamente il comitato elettorale in Piazza delle Cinque Lune dove aveva sede il comitato cittadino di Matteo Renzi. Pensava di avere l’esperienza, gli agganci e che il Pd fosse compatto alle sue spalle per sostenerlo. Invece nella primavera successiva finì terzo, tristemente sconfitto da un maestro del bluff come Ignazio Marino e preceduto perfino da David Sassoli, mezzobusto Rai finito nell’esilio dorato di Bruxelles come europarlamentare. Nemmeno quella volta Gentiloni ebbe uno scatto d’orgoglio, un’arrabbiatura, un’impennata di vitalità. Accettò il verdetto accontentandosi del seggio in Parlamento» (Stefano Filippi) [Grn 12/10/2015].
• Nell’ottobre 2014 la nomina a ministro degli Esteri, in sostituzione di Federica Mogherini. «C’è una continuità nella politica estera italiana che si fonda su quattro elementi: l’atlantismo, l’europeismo, l’apertura agli scambi commerciali e l’impegno per peacekeeping e per i diritti umani. (…) Nell’èra post Torri gemelle e nell’èra post Lehman Brothers è tramontata l’illusione della fine della storia. Le Nazioni unite hanno un ruolo importante in alcuni contesti ma non riescono a colmare il vuoto aperto dalla fine del bipolarismo geopolitico. Tutti i Paesi, compreso il nostro, devono fare la propria parte all’interno di una dinamica nuova: non esiste un soggetto esterno a cui delegare le nostre politiche di sicurezza, magari essendo poi accusato, come gli Usa, di fare il gendarme. E siamo noi, noi Europa, a volte anche singolarmente, i protagonisti del processo. La bussola della nostra politica estera non è cambiata ma ci troviamo di fronte a un mare che è improvvisamente diventato oceano, spesso in tempesta. È inaccettabile pensare che si possa essere passivi nel determinare la nostra sicurezza. L’interventismo umanitario è e deve essere un principio saldo del pensiero democratico» (a Claudio Cerasa e Paola Peduzzi) [Fog 22/11/2014].
• «Il passato lo inchioda all’accusa di essere romano-centrico, di non avere la competenza necessaria per occuparsi del mondo. Accusa spazzata via dai due anni trascorsi a capo della diplomazia, dai rapporti stretti in tutti i Paesi e in particolare in Europa dove il legame con l’omologo tedesco Steinmeier è molto solido. Ha ottenuto alcuni risultati brillanti (il ritorno dei due marò in Italia), ha vissuto situazioni difficili (il caso Regeni ancora appeso a un filo) e per ultimo ha gestito l’imbarazzo per l’astensione italiana all’Unesco su una mozione che nega agli ebrei millenni di storia intorno al Muro del Pianto» (De Marchis) [cit.].
• Il 12 dicembre 2014, dopo la débacle renziana al referendum costituzionale del 4 dicembre, l’approdo a Palazzo Chigi. «Renzi, si dice, lo ha scelto perché non buca il video, perché non ha carisma, perché non gli fa ombra. Ma Gentiloni non è un fedelissimo, semmai è un anticipatore del renzismo. La filiazione avviene al contrario: è Renzi ad appropriarsi di una cultura politica “scritta” da Rutelli e Gentiloni. Blair, la terza via, la Neue Mitte, i dem americani sono stati i fari del quasi premier. L’ossessione di una nuova sinistra lo ha portato sempre a scontri duri con la Cgil e tutto il mondo ex Ds. “Il giorno più bello. Perché abbiamo distrutto il moloch comunista”, disse in occasione della vittoria di Renzi per la segreteria» (De Marchis) cit.].
• «Francesco Rutelli una volta ha spiegato: “La Margherita è stata una sorta di cantera, il vivaio del Barcellona”. E in quel vivaio Gentiloni è stato una delle figure di spicco, insieme a Rutelli di cui è stato portavoce e uomo forte negli anni del Campidoglio e del Giubileo del 2000, a Michele Anzaldi, a Ernesto Realacci, a Roberto Giachetti, a Filippo Sensi. Il rutellismo è diventato insomma renzismo, ma senza perdere il proprio Dna» (Ajello) [Mes 10/12/2016].
• Sposato con l’architetto Emanuela Mauro, non hanno figli. «Emanuela, detta Manù, conosce Paolo quando lei ha già abbandonato le squadriglie degli scout e lui sta decidendo di lasciare la sinistra parlamentare, ma non gli amici sodali di quel gruppo. Due, in particolare: Ermete Realacci e Chicco Testa, compagni anche nelle interminabili partite a tennis. È il 1988 quando – quasi per gioco – Paolo Gentiloni ed Ermete Realacci lanciano l’idea di sposarsi insieme e di farlo a Londra, il giorno di Capodanno. Emanuela Mauro raccoglie l’idea con entusiasmo» (Alessandra Arachi) [Cds 13/12/2016].
• «Abita a Roma nel palazzo di famiglia dove sul citofono tutti i cognomi sono uguali. L’unico Gentiloni che non abita nel palazzo è zio Pippo, gesuita spretato che ha scritto per anni di materie religiose sul Manifesto, il quotidiano comunista. Quando prese i voti la famiglia gli disse “tanto tu non hai più bisogno dell’appartamento”. Se lo sono diviso gli altri, cugini e nipoti» (Goffredo De Marchis) [Rep 11/12/2016].
• «Un approccio anti-retorico, pragmatico, con un lessico asciutto e privo di colori, un look all’antica (loden verdi, mocassini, completi grigi), un’idiosincrasia per i mezzi motorizzati (prima di diventare ministro degli Esteri si muoveva in città sempre a piedi) e uno stile di vita che lo ha sempre tenuto fuori dalla Roma dei salotti» (Fabio Martini) [Sta 11/12/2016].
• «Paolo ha il difetto di apparire senza verve ma il pregio di non tradirti. Se lo decide ti avverte sempre prima e ti spiega perché lo fa» (Michele Anzaldi).
• «Mi ricorda il conte zio di Manzoni. Troncare, sopire, padre molto reverendo; sopire, troncare» (Fabrizio Cicchitto) [Aldo Cazzullo, Cds 14/12/2016].
• Ascolta musica lirica e gioca a tennis. «Juventino non forsennato ma convinto, gran lettore di autori americani e grande amante della buona cucina e del buon vino (ma a commuoverlo più di ogni altra prelibatezza, per sua stessa ammissione, è il mirabile salume delle sue parti, il morbido ciaùscolo)» (Tiliacos) [cit.]. «Discreto giocatore di poker» (Ajello).
• «Dei romani ha la battuta pronta. Tempo fa un militante vedendolo insieme a Enrico Letta gli urlò: “Tirate fuori le palle”. L’ex premier non rispose alla contestazione, Gentiloni invece si voltò e disse: “Adesso?”. Più conte Max che conte vero, in quel frangente» (De Marchis) [cit.].
• Citazione preferita: «Siamo una generazione che a diciotto anni era come ne avesse quaranta, ma poi non ha mai accettato di compierne quarantuno» (Vázquez Montalbán).