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 2012  maggio 30 Mercoledì calendario

Biografia di Daniele Gatti

• Milano 6 novembre 1961. Direttore d’orchestra.
• Direttore dell’Orchestre National de France (debutto a Bayreuth il 25 luglio 2008 con Parsifal) e della Royal Philharmonic Orchestra di Londra (1996-2009). Ex direttore musicale del Teatro Comunale di Bologna (1997-2007) e dell’Accademia di Santa Cecilia (1992-1997). Direttore ospite principale della Royal Opera House di Londra. Nel 2008 ha diretto tra l’altro Wozzeck (di Berg, alla Scala), Parsifal (Wagner, all’Auditorium di Roma), ricevendo quasi sempre critiche entusiaste. Nel 2010 ha fatto il suo debutto operistico al Grosses Festspielhaus di Salisburgo con l’ Elektra di Richard Strauss. Nello stesso anno è alla Scala con la Lulù di Alban Berg e il Concerto di Natale. Nel 2010 e nel 2011 ha celebrato i 150 anni dalla nascita e i 100 anni dalla morte di Gustav Mahler in una lunghissima tournée con orchestre diverse, dirigendo molte Sinfonie, fra cui la Quinta e la Nona con i Wiener Philharmoniker. Nel novembre 2012 la “sua” Orchestre National de France ha eseguito le nove Sinfonie di Beethoven al Théâtre des Champs-Élysées. Nel 2013, bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi, ha diretto il Requiem al Teatro Regio di Parma e ha inaugurato la stagione della Scala con La Traviata.
• «Questo onesto lavoratore col carisma di un tranviere, questo bravo professionista che pure l’aveva ammesso: “la Traviata non mi attirava molto”, parole sue. Ma poi si era redento e si era calato nella solita parte: “Non sarò un direttore che tira il carro della tradizione”. E figurarsi: voi trovatene uno che dica “farò Verdi come qui alla Scala lo facciamo da 160 anni”, uno che si accontenti dell’intensità eloquente di un Muti con la sua lettura morbidamente severa, leggermente marziale, ciò che la ripulitura di Gatti ha un po’ sfibrato. Ma va bene così, sempre meglio del primo tedesco che passa e che avrebbe appesantito tutto. Perlomeno bravo, Gatti, a non fissarsi sul zum-pa-pa toscaniniano, a non ridondare e a donare respiro cosmopolita a valzer e danze e bravo ad asciugare e ad accelerare, talvolta magari troppo: ma va bene, benissimo. Ecco: se nel finale avesse evitato di alzare i violini di un’ottava (come da acerba indicazione di Verdi, poi rinnegata) saremmo comunque sopravvissuti» (Filippo Facci) [Lib 8/12/2013].
• «Deve tener presente che ascoltare Verdi vuol dire confrontarsi con le miserie della vita. Finalmente si sta chiudendo l’anno verdiano. Non ne posso più di Brindisi di Traviata o Va pensiero, di cliché che impoveriscono Verdi» (a Piera Anna Franini) [Grn 3/12/2013].
• «Mio padre aveva studiato canto con Aureliano Pertile, poi si mise a lavorare in banca e lasciò la musica. Mia mamma ha sempre amato la musica classica e suonava il pianoforte a orecchio. Io, da piccolo, ero bravo a cantare e a riprodurre con immediatezza ogni melodia con strumenti giocattolo. Avevo senso del ritmo e orecchio, ascoltavo una canzone alla radio e la imitavo. Così fino ai dieci anni. Entrai in conservatorio in prima media, e a tredici anni compresi che il mio destino era la direzione d’orchestra. La rivelazione avvenne alla Scala, quando assistetti dal loggione alla Cenerentola
di Rossini diretta da Claudio Abbado. Rimasi folgorato dal suono dell’orchestra e dalla comunicazione tra i diversi strumenti. E poi l’evento, l’attesa, l’accordatura, gli applausi al maestro... Ancora oggi sono molto preso dal rito. Decisi che nella vita non avrei voluto fare altro. Debutto il 3 maggio del 1980, a Milano, in un teatro parrocchiale, con un complesso di archi di amici. Vennero a suonare come rinforzi quattro professori della Scala che erano alcuni papà dei ragazzi coinvolti. Mi sono subito sentito bene lì sul campo, con la precisa percezione che era quello il mio posto» (a Leonetta Bentivoglio) [Rep 2/9/2012].
• «L’umanità di Carlo Maria Giulini. Da ragazzo trovai il suo numero sull’elenco telefonico, lo chiamai e lui mi ricevette a casa sua, concedendomi il suo tempo. Come interprete ho poi riscoperto recentemente Arturo Toscanini: più invecchio e più lo apprezzo. E quindi Claudio Abbado: negli anni in cui ero studente del conservatorio a Milano c’era il festival Stravinskij, quello dedicato a Berg, un altro a Musorgskij, e poi a Debussy; per un giovane come me un’illuminazione dopo l’altra. Grazie a lui mi sono avvicinato al mondo di Mahler. Abbado è una persona che sa essere anche disponibile. Lo stesso accadeva con Giuseppe Sinopoli: ci sentivamo al telefono ogni tanto e mi dava qualche prezioso consiglio. Gli anni di Muti alla Scala li ho vissuti un po’ meno perché già lavoravo: anche lui, comunque, ha lasciato delle interpretazioni che mi hanno molto colpito» (da un’intervista di Riccardo Lenzi).
• «Io non ho avuto mai problemi con le prime donne: tutto sta nel fare chiarezza prima dell’inizio della cooperazione. Non c’è nessuno al servizio di qualcun altro: siamo tutti al servizio della musica. Puntare sempre sulla qualità, è il mio segreto. E sui giusti criteri interpretativi, sulla profondità delle letture. Non soltanto preparare uno spettacolo tecnicamente perfetto, ma percepire la profondità di un’idea, di un messaggio musicale».
• «Non si può bacchettare il pubblico su ogni cosa, per come si veste, perché talora esprime il suo dissenso, perché qualche volta si dimentica il telefonino acceso. Ci si lamenta che la musica classica è poco frequentata, ma mi pare che si sta facendo di tutto per rendere la vita difficile a chi ci prova».
• «Da un po’ di tempo odio prendere l’aereo così mi sono comprato un fuoristrada potente e in un anno ci ho fatto 40.000 km. Preferisco prendermi un giorno in più piuttosto che fare due scali. E poi telefono, ascolto musica, vado in trattoria... È un altro modo di viaggiare. Tempo fa avevo Falstaff a Dresda e Simone a Vienna: finivo Simone alle 22, prendevo tre lattine di Coca-Cola, due panini coi wurstel e via in Porsche. Alle 4 andavo a dormire a Dresda; dopo lo spettacolo tornavo a Vienna» (da un’intervista di Alfredo Gasponi).
• «A volte, mentre sto al volante, ripenso alla scelta di un tempo o a un fraseggio. C’è un inarrestabile lavoro di limatura e approfondimento che può attraversarci nei momenti più impensati» (a Bentivoglio cit.).
• «Antidivo per eccellenza, Gatti svetta nella marmellata del consumismo musicale odierno come un campione di serietà e puntiglio» (Leonetta Bentivoglio).