30 maggio 2012
Tags : Livio Garzanti
Biografia di Livio Garzanti
• Milano 1 luglio 1921 - Milano 13 febbraio 2015. Editore. «Un editore è quasi sempre un voyeur. Ama la letteratura ma soffre di impotenza».
• «Nella Garzanti non ha mai rivestito cariche ufficiali, né letto un bilancio. Era solo il padrone, il deus ex machina, la mente, il demiurgo. E ciò fino alla metà degli anni Novanta, quando la casa editrice fu ceduta alla Utet. Se gli chiedete qualcosa di questo o quel best seller storico della Garzanti, si sottrae. “Come potrei aver letto tutti i volumi che ho pubblicato?”. E i libri di oggi? “Non leggo più”» (Nello Ajello).
• Laurea in Filosofia: «Feci una tesi sul trascendentalismo di Kant. Mi laureai nel 1947 con Bariè. Ricordo che doveva esserci anche Antonio Banfi, ma poi in sede di discussione non venne. Mio padre rilevò la Treves. Per due anni gli feci da segretario. Non mi voleva in casa editrice, temeva che gli togliessi spazio. Ricordo che facevo esattamente il contrario di quello che voleva. Mi difendevo da un uomo volitivo e forte. Un romagnolo dotato di gran temperamento. Somigliava a un’edizione aristocratica di Mussolini. Era nato nel 1883 e si era laureato con Pascoli. Era un incantatore. Amava il bluff. E in una società ingenua e primitiva come quella in cui viveva si trovò perfettamente a suo agio. Dino Buzzati una volta gli disse: “Guarda che tuo figlio non è così cretino come pensi”. Mutò allora atteggiamento».
• «Subentrai nel 1953-54. Tra l’altro fu un anno miracoloso, grazie ad Attilio Bertolucci che incontrai in una trattoria del reggiano. A quell’epoca cercavo un consulente. Qualcuno mi segnalò il nome di questo poeta. Era un uomo colto che aveva lavorato per Guanda. Morto Guanda si rese disponibile. Nacquero così una collaborazione e un’amicizia che è durata tutta la vita. Francamente mi sono commosso più alla sua morte che negli anni in cui ci siamo frequentati. Avemmo varie questioni, screzi, differenze di opinioni. Ma so che senza di lui non avrei mai avuto la partenza editoriale che ho avuto. Basti dire che grazie a lui arrivò Quer Pasticciaccio di Gadda»
• «Pasolini se ne sentiva intimidito, quasi da allievo a professore. Veniva spontaneo dargli del lei. Io d’altronde non do del tu quasi a nessuno. Per farlo bisogna che l’interlocutore sia stato con te a scuola o sotto le armi» (a Nello Ajello) [Rep 15/4/2011].
• Sarà inoltre l’editore di Jorge Amado, Pier Paolo Pasolini, Goffredo Parise, Truman Capote. Carlo Emilio Gadda: «Straordinario. Con lui io ero un ragazzino che giocava tra le gambe del gigante. Era falso e cerimonioso. Io ero molto giovane e lui mi scriveva dandomi dell’Illustrissimo. A ogni presentazione che si teneva a Roma, si faceva trovare in doppiopetto sulla porta e mi faceva l’inchino». Pier Paolo Pasolini: «Un vero amico. Quando abbiamo pubblicato Ragazzi di vita, nel ’55, era un momento molto pericoloso per la censura. Gli ho chiesto di rivedere alcune parti troppo forti, ma fu processato ugualmente. Un processo ridicolo. Pasolini era il contrario del sessantottismo». «Mi lasciò per andare da Einaudi perché avevo pubblicato un autore da lui detestato, che poi vinse lo Strega. Mi colpì profondamente la nostra ultima passeggiata notturna, le confidenze che mi fece (…) possedeva il dono, il sentore, la grazia della raffinatezza letteraria. Tranne per Petrolio. Lo lessi per primo e dissi subito: impubblicabile. Erano appunti, non un’opera».
• A proposito di Giulio Einaudi: «Non l’ho mai conosciuto, ma era un presuntuoso senza cultura propria. Ha imposto la sua forma di presunzione a tutta la cultura italiana. Era un comunista megalomane. Io posso sembrare un po’ nervoso nel rispondere, o polemico, ma quando penso al Sessantotto... In Francia è durato due o tre giorni, in Germania li hanno accoppati, da noi è arrivato tardi, alla fine del 69, ed è durato un tempo infinito: una cultura del cavolo, volevano fare gli eroi senza i fucili dei partigiani». Truman Capote: «Era talmente femminile... Una volta sono andato a trovarlo in albergo, parlava mentre lavorava a maglia. Mi sono detto: in fondo è una bella donnina». Calvino: «Mi si è offerto nell’83, era chiuso e restio. Mai avuto confidenza con lui. Era grande ma non era l’unico...». Paolo Volponi: «Un matto nobilissimo. Focoso, feroce, un po’ balordo. Una volta, a proposito di Corporale, mi insultò per strada... Un amico, specie negli ultimi anni». Mario Soldati: «Gli parlavo come fosse un giocatore di bocce. Faceva tante smorfie. Contagiose. Le persone che lo circondavano davano l’impressione di fare le stesse sue smorfie». Riccardo Bacchelli: «Era umano e io da ragazzo lo scambiavo per Manzoni, autore quest’ultimo che non ho mai troppo amato. Aveva aplomb, era onesto, sapeva parlare». Eugenio Montale: «Quando lo conobbi era già un mito. L’ho avvicinato per brevi momenti negli ultimi anni della sua vita (…) di poesia so poco, ci sento male e con Montale non ho certo tentato di parlare né di ascoltarlo. Ho guardato solo un poco l’uomo».
• «Sono ancora abbagliato dal ricordo di ciò che erano Milano e l’Italia negli anni feroci e miracolosi fra 1946-47 e i Sessanta. Cominciava l’era di De Gasperi, che aveva stile. Si era formato all’estero, come d’altronde Togliatti. Mi presentarono ad Andreotti, ma non mi fece molta impressione. Mi pareva di avere tutta l’Italia in mano» (a Nello Ajello, cit.).
• «Ho venduto tutto nel 1996. Ci sono stati anni in cui ho guadagnato l’ira di dio».
• «Della cattiveria ha fatto una civetteria, dell’antipatia quasi un mestiere. Dice tutto quel che pensa, al punto da irritare persino chi gli è amico. Amici? Ecco una parola che non ama sentire pronunciare. Se si è amici non occorre dirlo. Questo è Livio Garzanti, editore in pensione, come ama crudelmente definirsi. E di editoria se ne intende. È stato tra i principi di questo mestiere, non solo in Italia, ma in Europa» (Antonio Gnoli).
• «I suoi giudizi sul mondo culturale e sugli scrittori, anche quelli che amava, sono diventati una leggenda editoriale, così come le invettive, le improvvise furie, i sorrisi timidi che alla fine placavano le situazioni più compromesse. Livio Garzanti è stato un grande editore, simbolo di un’epoca in cui i libri si sceglievano e si stampavano con piglio decisionista e artigianale insieme, un padre padrone amato e odiato, e soprattutto un uomo di genio(…) Se era feroce, la sua era un ferocia tutta letteraria. Voleva essere filosofo (in coerenza con gli studi e la laurea), si ritrovò editore nell’azienda che il padre Aldo aveva rilevato dai Treves dopo le leggi razziali. In via della Spiga, nel palazzo ideato da Giò Ponti, fece ben presto vedere di che pasta era fatto. Per certi versi era un monaco dei libri: grafiche dimesse, simpatia per il grigio, nessuna concessione alle mode. Per altri, ebbe intuizioni estetiche geniali, come quella di far affrescare da Tullio Pericoli, correvano gli Anni 80, una saletta al pian terreno, la “Sistina Garzanti”» (Mario Baudino) [Sta 14/2/2015].
• «A giorni alterni, per un anno e mezzo mi ha confidato il suo sogno più caro: l’incendio della casa editrice: «Se trovo qualcuno che le dà fuoco, gli do dieci milioni». Naturalmente sarebbe poi corso a spegnere le fiamme. Si vantava di non avere amici (se uno è un vero amico non c’è nemmeno bisogno di dirselo). Consumi di sobrietà monacale (solo Gina Lagorio l’aveva convertito ai Baci di Cherasco e al vino Pelaverga che si produce a Verduno). Viveva isolato nel centro di Milano, scrupolosamente lontano da ogni mondanità e pubblica apparizione. I suoi giudizi taglienti erano un modo per dire l’insofferenza ai modelli correnti, ai rituali vacui, ai luoghi comuni, anche specie se radical chic» (Ernesto Ferrero) [Sta 14/2/2015].
• «Detestava le riunioni: per lui erano adunate sediziose. Ne era ossessionato. Quando passava nervosamente davanti alle porte a vetri, e vedeva più di due persone chiacchierare, diventava furente. “Eh, ma che bello, oggi si fa una riunione”. Il massimo dell’ingiuria. Forse ne sono rimasto traumatizzato a vita» (Gianandrea Piccioli). «Non sapeva vivere in società, ma era di un’intelligenza e di una cultura superiore (…) Se volevo prendere un autore non potevo fargli capire che ne ero entusiasta, dovevo mostrarmi un po’ tiepido. Erano trattative estenuanti ma anche divertenti» (Piero Gelli). Gelli e Piccioli lavorarono in Garzanti come direttori editoriali.
• «Non c’è dunque da meravigliarsi se in Garzanti i direttori di più lungo corso sono stati Piero Gelli e Gianandrea Piccioli. Il primo arrivò nell’inverno del ‘69 per studiare le carte di Gadda e fu assunto dall’editore nel giro di pochi giorni con il triplo dello stipendio che Gelli guadagnava come insegnante. Il secondo, Piccioli, sarebbe stato chiamato nel 1972 da Giovanni Raboni per scrivere le voci teatrali della Garzantina letteraria e poi entrare alla redazione di quell’impresa monumentale che fu l’Enciclopedia» (Paolo Di Stefano) [Cds 14/2/2015].
• «La mia stagione aveva alle spalle Sonzogno, che fondò l’Umanitaria, Bompiani, Mondadori, Rizzoli. Gente spesso venuta dal basso. C’era la famosa battuta di Raffaele Mattioli: “Arnoldo, non ti dispiacere di aver fatto la quinta elementare, tanto Rizzoli ha solo la prima”».
• Ideò Le Garzantine, collana enciclopedica nota per il suo carattere pratico e sintetico, la prima edizione nel 1962: «Rileggevo le voci e sovente consigliavo dove e come ridurre, arrivando all’essenziale. Furono considerate un modello linguistico oltre che di informazione» (ad Armando Torno, cit.).
• Alla fine degli anni Ottanta fece affrescare da Tullio Pericoli la sede della casa editrice in via Senato.
• È il protagonista de Il padrone (Feltrinelli, 1965) di Goffredo Parise. «Parise veniva sovente a pranzo da me per poi scrivere male di me».
• Autore dei romanzi L’amore freddo (ripubblicato da Viennepierre) e La fiera navigante (Garzanti) e dei racconti Una città come Bisanzio (Longanesi). Da ultimo ha pubblicato Amare Platone (Garzanti 2006), dedicato al Fedro e scritto, a suo dire, da dilettante. Testo ripreso in mano dopo una dozzina d’anni per consolarsi della morte della seconda moglie, la scrittrice ed ex parlamentare Gina Lagorio (1922-2005). Il primo matrimonio era stato con Orietta Sala, il terzo con Louise Michail, esperta d’arte orientale.
• Gina Lagorio, scomparsa nel 2005. I pochi frammenti di vita privata dell’editore in circolazione sono legati a lei: cene con selezionati amici, fine settimana nelle sue Langhe, sodalizio umano e professionale (Lagorio ha lavorato a lungo in casa editrice). Leggenda vuole che quando nel ‘77 la Garzanti candidò con gran convinzione Lagorio al premio Campiello col romanzo La spiaggia del lupo , e per soli tre voti vinse Saverio Strati, edito da Mondadori, lui la prese malissimo. Con la stessa schiva sobrietà, l’anno successivo alla morte di Lagorio, creò la Fondazione Lucia Ravasi Onlus (il nome è della madre), che si occupa di anziani poveri e malati d’Alzheimer. E dalla stessa riservatezza sono avvolti gli ultimi anni di vita tra i libri nella casa milanese: «Vedere i “letterati” di oggi mi fa senso, anzi mi sembra di essere caduto in una pozzanghera... Quando andavo alla Garzanti, nel mio ufficio incontravo Dino Buzzati, Pietro Bianchi, Orio Vergani, Attilio Bertolucci. Ludovico Geymonat veniva con il suo progetto di una storia del pensero filosofico e scientifico, Emilio Cecchi e Natalino Sapegno con quello dedicato alla letteratura...» (Maurizio Bono) [Rep 14/2/2015].