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 2012  maggio 30 Mercoledì calendario

Biografia di Alberto Garutti

• Galbiate (Como) 1948. Artista. Tra i primi a realizzare in Italia, fin dall’inizio degli anni Ottanta, progetti d’arte pubblica. «L’arte ha a che fare con la luce, proprio come nell’architettura il vuoto ha a che fare con il pieno. Per me la luce racconta la realtà, è una metafora dell’arte e ha anche un’implicazione con la tecnologia». Insegna all’Accademia di Brera di Milano e alla IUAV di Venezia.
• «Sollecitare una diversa attenzione dello spettatore: è l’invisibile filo che lega il percorso artistico di Alberto Garutti, che insegue una personalissima ricerca di progettualità mentale. Sono interventi minimalisti, a volte romantici come quello che ha realizzato a Gand. Ha collegato gli ospedali con i lampioni di una piazza: si accendono ogni volta che nasce un bambino» (Paolo Vagheggi).
• «La semplice accensione della lampadina (...) è una miccia che innesca una serie di relazioni all’interno del tessuto della città e coinvolge lo spazio mentale e l’immaginazione dello spettatore» (a Guido Molinari).
• Ha cambiato il suo modo di lavorare agli inizi degli anni Novanta: «“La guerra del Golfo e la diffusione di Internet hanno innescato una serie di reazioni a catena nella psicologia delle persone che ha avuto dei riflessi anche nel modo di pensare e fare arte. (...) Improvvisamente ho sentito il bisogno di uno sguardo differente, che andasse oltre quello autoreferenziale e immobile che caratterizzava un sistema come quello dell’arte contemporanea”. Che cosa ti ha portato a intervenire sull’aura dell’opera d’arte? “Credo che l’opera esista solo nello sguardo di chi la osserva (...) L’artista, come primo spettatore dell’opera, posando il proprio sguardo sulla realtà, conferisce un senso ‘auratico’ alle cose. (...) Penso, per esempio, all’opera che ho realizzato in occasione della mostra Territorio italiano, a cura di Giacinto Di Pietrantonio, nella stanza numero 402 dell’Hotel Palace di Bologna. In quel periodo insegnavo all’Accademia di Belle Arti di Bologna e quel luogo per me era diventato una sorta di seconda casa. Su una parete ho installato un grande quadrato di cristallo, dipinto sul retro con un pigmento fosforescente.. Nel momento in cui l’abitante della stanza spegne la luce, l’opera appare, restando luminosa per una quindicina di minuti, e poi sparisce a poco a poco. L’opera riesce a compiersi solo nel momento in cui instaura un rapporto di complicità, denso di aspettativa, intimo, amoroso, con chi vive la stanza e sta per andare a dormire”. A Bolzano ha creato in una piazza del quartiere Don Bosco, in periferia, un parallelepipedo di cemento e vetro, dove ogni tre mesi viene esposta ai passanti una differente opera della collezione del museo. “Superate le prime resistenze dei cittadini, lo spazio espositivo è entrato nella vita del quartiere, divenendo una presenza familiare”. A Bergamo è al centro di un duro contenzioso a causa di una fontana. “Nel 1998 ho progettato una fontana che voleva muoversi dentro una logica che definisco ‘dell’accoglienza’. Una fontana di acqua tiepida, per mettersi in relazione con la specificità delle stagioni. Per motivi che non riguardano me ma tecnici non ha mai funzionato correttamente. Si è trasformata in una pozzanghera. Una notte qualcuno ha installato su questa fontana un arlecchino di bronzo di due metri. Mi hanno chiesto di rinunciare alla paternità dell’opera. La mia opera non può essere la base dell’arlecchino. La possono togliere ma non usare per un’altra cosa. Ecco il contenzioso. A volte l’arte pubblica viene usata e non rispettata”» (Vagheggi).
• Nel 2004 ha murato un lingotto d’oro in una cella della Certosa di Padula. «Dal punto di vista sensoriale l’opera funziona come uno stimolatore: gli sguardi corrono tra pavimento e soffitto e si vestono di interrogativi, chiedendosi dove sarà nascosto il lingotto e sentendo nella cella l’aura di una presenza» (Angela Vettese).
• Il 7 novembre 2012, inaugurata al Pac di Milano la sua prima retrospettiva.
• Vive e lavora a Milano. (a cura di Lauretta Colonnelli).