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 2012  maggio 30 Mercoledì calendario

Biografia di Raffaele Ganci

• Palermo 4 gennaio 1932. Mafioso. Detto Faluzzu. Detenuto dal 10 giugno 1993, al 41 bis. Sposato, con figli (dei maschi, due, Domenico e Stefano, detenuti, uno, Calogero, pentito nel 96). Detenuto a Pianosa dal 93 al 97, in quei quattro anni perse 40 chili. Cardiopatico, vive attaccato a un pacemaker.
• Negli atti giudiziari definito «braccio destro del capo riconosciuto Salvatore Riina», schierarsi dalla sua parte nella seconda guerra di mafia gli valse nell’83 la promozione da sottocapo a capo mandamento della Noce (rione di Palermo), previa eliminazione del predecessore Totò Scaglione. È stato condannato a più e più ergastoli (dal 7 giugno 96 in poi accusato anche dal figlio Calogero), per associazione mafiosa, estorsione, decine di omicidi (tra gli altri di Salvo Lima, del capitano dei Carabinieri Mario D’Aleo e dei carabinieri Giuseppe Bommarito e Molici Pietro, del giudice Rocco Chinnici), e stragi: di via Chiarini (guidava una delle macchine di copertura dei killer che uccisero Dalla Chiesa, moglie e agente di scorta), di Capaci (individuò il luogo idoneo all’attentato e fu tra quelli che brindarono per la sua riuscita un mese dopo in casa Guddo), di via D’Amelio (la mattina del 19 luglio pattugliò la zona dell’abitazione del giudice Borsellino), “della circonvallazione” (vedi Benedetto Santapaola).
• Il figlio si pentì dopo aver saputo delle sorti del piccolo Giuseppe Di Matteo (vedi Santino Di Matteo), iniziò la prima deposizione il 7 giugno 1996 («voglio dare una lezione di civiltà a Cosa Nostra, rompere con il passato e garantire un futuro ai miei due figli... Tanto per cominciare: ho ucciso il generale Dalla Chiesa»), e la finì dopo quindici giorni, autoaccusandosi «d’un centinaio fra stragi e delitti» (Saverio Lodato).
• Dieci giorni dopo l’arresto di Totò Riina, quando, stando a Giovanni Brusca, questi lo consultò per sapere: « zu’ Raffaele cosa dobbiamo fare? Cioè, dobbiamo andare avanti, non dobbiamo andare avanti, ci dobbiamo fermare, dobbiamo portare avanti quella linea, quella strategia che, bene o male, sapevamo?», lui rispose: «no, no, non abbiamo finito or ora di parlare, cioè di fermarci, cioè, non abbiamo stabilito che ci dobbiamo fermare?».
Secondo il pentito Nino Giuffrè, fu arrestato grazie a una soffiata della fazione di Bagarella, per evitare che votasse a favore di Provenzano nella successione al vertice dopo l’arresto di Riina (Nicola Biondo, Sigfrido Ranucci, Il patto) (a cura di Paola Bellone).